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Il mobbing in Italia -parte seconda-.
di Erminia Acri  ( erminia.acri@lastradaweb.it )

14 ottobre 2007

Tutela risarcitoria e tutela ripristinatoria.



Il mobbing non trova nel nostro ordinamento giuridico una normativa specifica ad esso dedicata, però, le varie forme di comportamento che ad esso sono ricondotte rientrano, spesso, in fattispecie già delineate dal legislatore.

Principali riferimenti normativi:


  • Art.3 Costituzione: sancisce la pari dignita’ sociale e l’eguaglianza davanti alla legge di tutti i cittadini, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali, e prevede che devono essere rimossi gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la liberta’ e l’eguaglianza tra i cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

  • Art.32 Costituzione: definisce “la salute” come fondamentale diritto dell’individuo ed interesse della collettività.

  • Art.35 Costituzione: prevede che è compito dello Stato tutelare il lavoro in tutte le sue forme.

  • Art.39 Costituzione: garantisce la libertà sindacale.

  • Art.41 Costituzione: sancisce la libertà di iniziativa economica privata, che, però, non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale, o se reca danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana.

  • Art.2043 Codice civile: prevede che chiunque ponga in essere un fatto, doloso o colposo, che provochi ad altri un danno ingiusto, è obbligato al risarcimento del danno.

  • Art.2087 Codice civile: impone al datore di lavoro l’adozione di tutte le misure e cautele necessarie per tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori.

  • Art. 2049 Codice civile: prevede che il datore di lavoro è responsabile per il fatto commesso dal proprio dipendente (responsabilità indiretta).

  • Art.2103 Codice civile: vieta il trasferimento del lavoratore se non per provate ragioni tecniche, organizzative e produttive, e vieta di adibire il lavoratore a mansioni inferiori a quelle da ultimo svolte.

  • Art.571 Codice penale: <<Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina -Chiunque abusa dei mezzi di correzione o di disciplina in danno di una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, ovvero per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito, se dal fatto deriva il pericolo di una malattia nel corpo o nella mente, con la reclusione fino a sei mesi. Se dal fatto deriva una lesione personale, si applicano le pene stabilite negli articoli 582 e 583, ridotte a un terzo; se ne deriva la morte, si applica la reclusione da tre a otto anni>>.

  • Art.572 Codice penale: <<Maltrattamenti -Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, maltratta una persona della famiglia, o un minore degli anni quattordici, o una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito con la reclusione da uno a cinque anni. Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a otto anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a venti anni>>.

  • Art.582 Codice penale: <<Lesione personale. Chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale, dalla quale deriva una malattia nel corpo o nella mente, è punito con la reclusione da tre mesi a tre anni. Se la malattia ha una durata non superiore ai venti giorni e non concorre alcuna delle circostanze aggravanti previste negli articoli 583 e 585, ad eccezione di quelle indicate nel numero 1 e nell’ultima parte dell’articolo 577, il delitto è punibile a querela della persona offesa>>.

  • Art. 583 Codice penale: <<Circostanze aggravanti. La lesione personale è grave e si applica la reclusione da tre a sette anni:

    1. se dal fatto deriva una malattia che metta in pericolo la vita della persona offesa, ovvero una malattia o un’incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai quaranta giorni;

    2. se il fatto produce l’indebolimento permanente di un senso o di un organo;

    [3. se la persona offesa è una donna incinta e dal fatto deriva l’acceleramento del parto.] (numero abrogato)

    La lesione personale è gravissima, e si applica la reclusione da sei a dodici anni, se dal fatto deriva:
    1. una malattia certamente o probabilmente insanabile;

    2. la perdita di un senso;

    3. la perdita di un arto, o una mutilazione che renda l’arto inservibile, ovvero la perdita dell’uso di un organo o della capacità di procreare, ovvero una permanente e grave difficoltà della favella;

    4. la deformazione, ovvero lo sfregio permanente del viso;
    [5. l’aborto della persona offesa.] (numero abrogato)>>.

  • Art. 590 Codice penale: <<Lesioni personali colpose. Chiunque cagiona ad altri per colpa una lesione personale è punito con la reclusione fino a tre mesi o con la multa fino a euro 309.

    Se la lesione è grave la pena è della reclusione da uno a sei mesi o della multa da euro 123 a euro 619, se è gravissima, della reclusione da tre mesi a due anni o della multa da euro 309 a euro 1.239. Se i fatti di cui al secondo comma sono commessi con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale o di quelle per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena per le lesioni gravi è della reclusione da tre mesi a un anno o della multa da euro 500 a euro 2.000 e la pena per le lesioni gravissime è della reclusione da uno a tre anni.

    Nel caso di lesioni di più persone si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse, aumentata fino al triplo; ma la pena della reclusione non può superare gli anni cinque. Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo nei casi previsti nel primo e secondo capoverso, limitatamente ai fatti commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all’igiene del lavoro o che abbiano determinato una malattia professionale>>.

  • Art.610 Codice penale: <<Violenza privata - Chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa è punito con la reclusione fino a quattro anni>>.

  • Art.629 Codice penale: <<Estorsione. Chiunque, mediante violenza o minaccia, costringendo taluno a fare o ad ammettere qualche cosa, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni e con la multa da euro 516 a ero 2.065. La pena è della reclusione da sei a venti anni e della multa da euro 1.032 a euro 3.098 se concorre taluna delle circostanze indicate nell’ultimo capoverso dell’articolo precedente>>.

  • Art.660 Codice penale: <<Molestia o disturbo alle persone - Chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo è punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda fino a euro 516>>.

  • Decreti legislativi nn. 215/2003 e 216/2003: rispettivamente di attuazione della direttiva 2000/43/CE, in tema di parità di trattamento indipendentemente dalla razza e origine etnica, e della direttiva 2000/78/CE, per la parità di trattamento in materia di occupazione e condizioni di lavoro, definiscono e disciplinano la ’discriminazione’ anche in sede di occupazione e condizioni di lavoro, compresi gli avanzamenti di carriera e le condizioni di licenziamento.



Il mobbing come malattia professionale.


L’ Inail ha iniziato a considerare il mobbing come malattia professionale indennizzabile: infatti esso è stato inserito nella categoria delle malattie professionali non tabellari, cioè non comprese nelle tabelle - con onere della prova del nesso eziologico tra l’ambiente di lavoro e la malattia contratta a carico del lavoratore -.


Il Decreto del Ministero del Lavoro del 27.04.2004 riporta nell’elenco delle malattie professionali per le quali è obbligatoria la denuncia ai sensi dell’artico 139 del D.P.R. N° 1124/65, le malattie psichiche e psicosomatiche derivanti da disfunzioni dell’organizzazione del lavoro.

Quindi, l’inclusione nell’elenco di patologie correlabili al mobbing, come il disturbo dell’adattamento cronico ed il disturbo post traumatico cronico da stress, ha reso obbligatori, da parte del medico competente, la denuncia di sospetta malattia professionale, anche la comunicazione del referto all’autorità giudiziaria ai sensi dell’articolo 365 del Codice Penale.

Secondo il decreto, il datore di lavoro, se ritenuto responsabile, dovrà rispondere di eventuali danni nei confronti dei dipendenti.



Tutela civile risarcitoria: la responsabilità del datore di lavoro; la responsabilità del mobber collega della vittima.


La responsabilità del datore di lavoro per le condotte mobbizzanti dallo stesso poste in essere viene ricondotta alla violazione degli obblighi di cui all’art.2087 codice civile, che impone all’imprenditore l’obbligo di adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e morale del prestatore di lavoro (responsabilità di tipo contrattuale).

La natura contrattuale della responsabilità del datore di lavoro è stata affermata anche quando il lavoratore lamenti, oltre alla lesione di interessi di natura patrimoniale, anche la lesione di diritti fondamentali costituzionalmente tutelati, quale, appunto, il diritto alla salute.

Anche se autore della condotta mobbizzante è un altro dipendente, la giurisprudenza tende a riconoscere, anche in questi casi, la responsabilità del datore di lavoro per violazione degli obblighi di protezione di cui all’art. 2087 c.c., o in applicazione degli artt. 1228 e 2049 c.c., in virtù dei quali il debitore – ossia il datore di lavoro - è responsabile dei fatti dolosi o colposi dei terzi di cui si sia avvalso nell’adempimento dell’obbligazione. Pertanto, il lavoratore mobbizzato da un altro dipendente può agire sia contro il datore di lavoro – per violazione degli obblighi di protezione di cui all’art.2087 c.c. (responsabilità di tipo contrattuale)e/o per omessa vigilanza sui propri dipendenti ai sensi dell’art.2049 c.c.(responsabilità di tipo extracontrattuale), sia contro l’autore del mobbing che risponde dei danni per fatto illecito, in via extracontrattuale, ai sensi del citato art.2043 c.c..

Quando le condotte mobbizzanti sono poste in essere da colleghi o superiori del mobbizzato all’insaputa del datore di lavoro, quest’ultimo potrà rivalersi nei confronti degli autori delle condotte persecutorie per gli eventuali danni che venga condannato a rifondere al lavoratore, ma anche per eventuali danni subiti dall’azienda - ad esempio, il danno all’immagine-.


Tutela civile ripristinatoria.


Oltre al risarcimento del danno il lavoratore ha diritto ad una tutela ripristinatoria, ossia diretta ad ottenere l’annullamento di tutti i provvedimenti a lui dannosi (ad esempio licenziamento illegittimo, demansionamento, dimissioni non frutto di libera autodeterminazione, ecc.) ed il ripristino della situazione lavorativa antecedente alla condotta mobbizzante.


Come si fornisce la prova del mobbing?


Il lavoratore che lamenti di aver subito comportamenti mobbizzanti e che intenda tutelarsi affrontando un processo deve raccogliere le prove delle condotte vessatorie subite, in base al principio secondo cui chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento (art.2697 c.c.).

La prova è più agevole per il lavoratore quando si intende far valere la responsabilità contrattuale del datore di lavoro, perchè, in tal caso, è a carico del mobbizzato solo l’onere di provare gli episodi mobbizzanti, cioè la reiterazione degli stessi, il loro carattere pretestuoso e nocivo, nonché di fornire la prova del danno patito e del nesso causale tra le condotte mobbizzanti ed il danno subito, danno che deve poterne costituire una conseguenza immediata e diretta. Il datore di lavoro, per esonerarsi da responsabilità, dovrà provare di aver adottato tutte le misure e le cautele idonee a salvaguardare l’integrità psicofisica del lavoratore e che l’inadempimento è dipeso da causa a lui non ascrivibile.

Quando si avvia un giudizio per far valere la responsabilità extracontrattuale, la prova è più onerosa perchè il lavoratore, oltre a dover dimostrare l’evento dannoso, il danno subito ed il nesso di causalità, deve dare prova anche dell’elemento soggettivo, ossia della colpa o del dolo di colui che è ritenuto responsabile della condotta mobbizzante.

Continua.......




Erminia Acri-Avvocato

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