L’utilizzazione
dell’area cortilizia è frequente causa di discussioni
e contrasti fra condomini quando né
il regolamento condominiale, né una delibera dell’assemblea dei
condomini ne abbiano regolamentato l’uso.
In
mancanza di specifica disciplina, il parcheggio negli spazi del
cortile condominiale è da ritenere lecito alle condizioni di
cui all’art.1102 codice civile, che così dispone: <<Ciascun
partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri
la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne
parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a
proprie spese le modificazioni necessarie per il migliore godimento
della cosa. Il partecipante non può estendere il suo diritto sulla
cosa comune in danno degli altri partecipanti, se non compie atti
idonei a mutare il titolo del suo possesso.>> Ciò vuol dire
che l’utilizzazione della cosa comune da parte del singolo condomino
è consentita purché non modifichi la destinazione della cosa comune
e rispetti le concorrenti utilizzazioni, attuali o potenziali, da
parte degli altri condomini.
Con
riferimento al parcheggio-auto nel cortile, la giurisprudenza ha
avuto modo di chiarire che è illegittimo lasciare l’auto
parcheggiata in cortile per lungo tempo impedendo agli altri
condomini di parcheggiare a loro volta. Mantenere ferma per lunghi
periodi di tempo la propria autovettura sottende “l’intenzione
di possedere il bene in maniera esclusiva, trattandosi di occupazione
stabile di uno spazio comune;...detta condotta ha costituito una
sorta di abuso, impedendo agli altri condomini di partecipare
all’utilizzo dello spazio comune, ostacolandone il libero e pacifico
godimento ed alterando l’equilibrio tra le concorrenti ed analoghe
facoltà; ....il comportamento posto in essere da XX non può essere
ricompreso nelle facoltà concesse al comproprietario ai sensi
dell’art. 1102 cod. civ., perché tale uso non può alterare la
destinazione del bene comune e non può impedire agli altri
partecipanti di fare parimenti uso della stessa cosa” (Corte di
Cassazione, sentenza n. 3640/2004).
Erminia
Acri-Avvocato
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