In
materia di mantenimento dei figli maggiorenni
la nostra giurisprudenza,
anche dopo l’emanazione della Legge n.54 del 2006 - che non ha
disposto nulla di nuovo sul punto -, ha costantemente affermato che
gli obblighi a carico dei genitori
nei confronti dei figli previsti dagli articoli nn.147 e 148 del
codice civile (mantenimento, istruzione, educazione),
costituiscono un “dovere inderogabile”,
sicchè i figli hanno il diritto di essere mantenuti
anche oltre la maggiore età e finché non abbiano
conseguito una indipendenza economica, salvo che il mancato
svolgimento di un’attività lavorativa dipenda da un
atteggiamento di inerzia o di ingiustificato rifiuto da parte del
figlio.
Il
dovere di mantenimento – come specificato nella sentenza della
Cassazione
civile n.24498/2006, n. 24498, cessa nel momento del conseguimento,
da parte figlio, di uno status di autosufficienza economica
consistente nella percezione di un reddito corrispondente alla
professionalità acquisita in relazione alle normali e concrete
condizioni di mercato. Pertanto, laddove sia provata la prestazione
di attività lavorativa retribuita, spetta al giudice valutare
l’eventuale esiguità del reddito percepito, al fine di
escludere la cessazione dell’obbligo di contributo al mantenimento
del figlio a carico del genitore.
Tale
orientamento, secondo alcuni, avrebbe così dilatato nel tempo
il diritto dei figli ad essere mantenuti dai genitori da contribuire
ad accentuare la diffusione del fenomeno dei ’bamboccioni’
(figli che restano nella casa genitoriale fino a 30-40 anni). Da qui
l’auspicio di un mutamento dell’orientamento giurisprudenziale che
limiti il diritto dei figli ultratrentenni
a ricevere un contributo per il loro mantenimento.
Sul
punto è intervenuta recentemente la Corte di
Cassazione, con la sentenza
n. 21773/08
del 18 agosto 2008, in cui, dopo aver ribadito l’orientamento
secondo cui l’obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni può
ritenersi cessato quando sia fornita la prova – a carico del
genitore - che il figlio ha raggiunto l’indipendenza economica, o è
stato messo nelle condizioni concrete di ottenerla, o che non si è
attivato per trovare un lavoro, ha precisato che
l’indipendenza economica del figlio non coincide con l’instaurazione
di un rapporto di lavoro giuridicamente stabile, “ma con il
verificarsi di una situazione tale che sia ragionevole dedurne
l’acquisto della autonomia economica, anche se per licenziamento,
dimissioni o altra causa tale rapporto venga poi meno, tanto che si è
anche ritenuto sufficiente la mera potenzialità del
conseguimento di tale autonomia”,
affermando, nel caso esaminato, la cessazione del
diritto al mantenimento del figlio maggiorenne, assunto con contratto
di lavoro a tempo indeterminato con patto di prova di sei mesi, a
decorrere dal mese successivo all’assunzione e non dalla data del
superamento del periodo di prova, come avevano ritenuto i giudici di
merito.
Erminia
Acri-Avvocato
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