La
malattia può costituire causa di licenziamento o per
impossibilità sopravvenuta della prestazione oppure qualora il
lavoratore, a causa di malattia, risulti assente per un determinato
periodo di tempo, essendo consentito al datore di lavoro licenziare
il lavoratore in malattia superati i limiti di conservazione del
posto di lavoro (periodo di comporto) stabiliti dalla legge o dai
contratti collettivi di categoria.
Trascorso
il periodo di comporto, il datore di lavoro può recedere dal
contratto di lavoro rispettando le procedure previste per il
licenziamento, poiché la scadenza del periodo di comporto non
determina automaticamente il licenziamento del lavoratore, ma occorre
un atto di recesso da parte del datore di lavoro, tempestivo
(infatti, la mancanza di tempestività rispetto ai fatti posti
a fondamento della decisione di recedere dal contratto di lavoro,
rappresenta un elemento dal quale può desumersi
l’arbitrarietà del licenziamento perchè determinato da motivazioni che non sono più attuali), con
indicazione delle ragioni e almeno
del numero globale dei giorni di assenza del lavoratore integranti il
comporto.
Quanto
ai giorni di assenza per l’infortunio sul lavoro, secondo la
giurisprudenza, non possono entrare a far parte computo del periodo
di comporto, ai fini del superamento del periodo di comporto, i soli
giorni di assenza per inabilità temporanea assoluta
riconosciuti dall’INAIL a seguito dell’infortunio sul lavoro, con
conseguente computabilità dei giorni di malattia che, pur
essendo addebitati dal lavoratore allo stesso infortunio, non sono
stati qualificati come tali dall’INAIL (Cassazione
n.683/08).
Erminia
Acri-Avvocato
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