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Residenza all’estero per fini fiscali.
di Erminia Acri  ( erminia.acri@lastradaweb.it )

2 gennaio 2009



Quando è ritenuto fittizio lo status di residente all'estero?



Non è infrequente che taluno, svolgendo attività lavorativa prevalentemente all’estero, ottenga la residenza anagrafica in paesi esteri ed usufruisca di un regime di fiscalità privilegiata rispetto a quello vigente in Italia. In proposito, negli ultimi tempi, l’attività di accertamento espletata dalle direzioni regionali dell’agenzia delle entrate e dagli uffici locali, con la collaborazione della guardia di finanza, ha consentito di scoprire numerosi casi di contribuenti con residenza anagrafica all’estero, che avrebbero dovuto dichiarare i propri redditi in Italia, quale “luogo di effettivo interesse economico e patrimoniale”, e di recuperare maggiori imposte per oltre 140 milioni di euro.


Invero, a fini fiscali sono considerati residenti in Italia coloro che, per la maggior parte del periodo d’imposta, sono iscritti nelle anagrafi comunali dei residenti ovvero hanno nel territorio dello Stato italiano il domicilio o la residenza, secondo la disciplina del codice civile. Questi tre requisiti sono posti in alternativa, sicchè la sussistenza di uno solo di essi è sufficiente per poter considerare un soggetto residente in Italia.


Per conseguire lo status di non residente in Italia l’iscrizione all’AIRE(anagrafe degli italiani residenti all’estero) da sola non è sufficiente, come precisato dall’Agenzia delle Entrate con la Circolare 2 dicembre 1997, n. 304, in cui si afferma che : “la cancellazione dall’anagrafe della popolazione residente e l’iscrizione nell’AIRE non costituisce elemento determinante per escludere il domicilio o la residenza nello Stato, ben potendo questi ultimi essere desunti con ogni mezzo di prova anche in contrasto con le risultanze dei registri anagrafici”. Infatti, secondo l’articolo 43 del codice civile, il domicilio di una persona è il “luogo in cui essa ha stabilito la sede dei suoi affari ed interessi”, mentre la residenza è il “luogo in cui la persona ha la dimora abituale”.


Come sostenuto dalla giurisprudenza, la ’dimora abituale’ è individuata dal fatto oggettivo della permanenza in un dato luogo e dall’elemento soggettivo di volersi stabilire in quel luogo; il ’domicilio’ è caratterizzato dalla volontà di stabilire e mantenere in un dato luogo la sede principale dei propri affari ed interessi, intendendosi come tali non solo i rapporti di natura patrimoniale ed economica ma anche i propri interessi familiari e sociali.


Pertanto, se un soggetto, pur avendo trasferito la propria residenza all’estero dove svolge la propria attività, mantiene in Italia il centro dei propri legami familiari o il centro dei propri interessi patrimoniali o sociali (evincibile, ad es., dalla residenza della propria famiglia in Italia, o dalla disponibilità di un’abitazione permanente in Italia o dal possesso di beni), ciò basta a determinare un collegamento effettivo e stabile con il territorio italiano, con conseguente soggezione al regime fiscale dello Stato italiano.




Erminia Acri-Avvocato

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