L’installazione
di un ascensore in un edificio in condominio che ne sia sprovvisto
può essere decisa dall’assemblea dei condomini con
deliberazione adottata con la maggioranza di cui al quinto comma
dell’art. 1136 codice civile (maggioranza dei partecipanti al
condominio e i due terzi del valore dell’edificio), trattandosi di
un’innovazione ai sensi del’art.1120 codice civile. In presenza, però
dei presupposti di cui alla legge n. 13/1989 (disposizioni per il
superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche),
l’assemblea può approvare l’attuazione di un impianto di
ascensore con la maggioranza prevista nell’articolo 1136 comma
2 e 3 (1/3 dei partecipanti e 1/3 del valore in seconda
convocazione).
Inoltre,
trattandosi di un servizio suscettibile di utilizzazione separata,
l’impianto può essere attuato “anche a cura e spese
di taluni condomini soltanto, purchè sia fatto salvo il
diritto degli altri di partecipare in qualunque tempo ai vantaggi
della innovazione, contribuendo nelle spese di esecuzione
dell’impianto ed in quelle di manutenzione dell’opera”
(sentenza Cassazione n. 1529/2000).
In
proposito, però, occorre tenere presente quanto previsto dagli
articoli 1220, comma 2, e 1121 comma 3, codice civile, per cui sono
da ritenere vietate le innovazioni che rendono talune parti comuni
dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo
condomino (sentenza Cassazione n. 12705/2005).
In quest’ultima ipotesi si rende necessaria l’unanimità
dei consensi. Tuttavia, l’applicabilità alla fattispecie del
divieto delle innovazioni delle cose comuni non è da
intendersi in maniera rigida, come emerge dalla recente sentenza
della Corte di
Cassazione n. 15308/2011, in cui, con riferimento all’impugnazione di
una delibera condominiale
adottata per l’istallazione di un impianto di ascensore e la
ripartizione delle relative spese, da parte di una partecipante al
condominio per asserita eccessiva riduzione del pianerottolo innanzi
al proprio appartamento e per grave pregiudizio a causa della
riduzione dell’ariosità e luminosità dell’appartamento,
è stata esclusa l’insopportabilità del pregiudizio per
il singolo condomino ed è stato affermato il principio secondo
cui
"nell’identificazione del limite all’immutazione della cosa
comune, disciplinato dall’art. 1120 c.c., comma 2, il concetto di
inservibilità della stessa non può consistere nel
semplice disagio subito rispetto alla sua normale utilizzazione -
coessenziale al concetto di innovazione - ma è costituito
dalla concreta inutilizzabilità della res communis secondo la
sua naturale fruibilità; si può tener conto di
specificità - che possono costituire ulteriore limite alla
tollerabilità della compressione del diritto del singolo
condomino - solo se queste costituiscano una inevitabile e costante
caratteristica di utilizzo".
Erminia
Acri-Avvocato
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