La
presunta "didattica delle competenze", che oggi è il
nuovo verbo e l’imperativo categorico della "scuola-azienda",
non tiene affatto conto di una considerazione logica elementare e di
carattere generale, che è addirittura di "buon senso",
traducubile in un’organica ed efficace sintesi dialettica tra la
teoria e la prassi.
È
la soluzione più corretta rispetto ad un’annosa diatriba che
colloca i due termini in perfetta antinomia. In realtà, i due
termini concettuali non si escludono, né si precludono tra
loro, se non in una ingannevole mistificazione di tipo ideologico, di
sponde di pensiero speculari ed antitetiche, che si delineano in
maniera altrettanto astratta ed estremista: idealismo ed empirismo.
In
altri termini, teoria e prassi, idea ed esperienza, o come dir si
voglia, cioè conoscenze teoriche e competenze pratiche,
forniscono entrambi una serie di valori che si compenetrano tra di
loro in una relazione di interdipendenza e di reciprocità
dialettica. Per cui anteporre ed esaltare un elemento a discapito
dell’altro, o viceversa, è un errore anzitutto dal punto di
vista logico.
Sotto
il profilo squisitamente didattico-cognitivo, la recente disputa tra
chi si ostina a privilegiare ed osannare il valore assoluto dei
"compiti di realtà", la priorita di competenze
tecniche verificabili/certificabili formalmente, ad onta delle
conoscenze e del sapere teorico, inteso in una visione astratta, si
risolve in un vincolo di interdipendenza e di interconnessione sia a
livello logico-dialettico, che sul versante più strettamente
didattico e pedagogico, tra i due coefficienti, che sono entrambi
essenziali ed indispensabili ad una formazione integrale, organica e
dinamica del soggetto in un’età evolutiva.
Servirebbe
un’amalgama preziosa ed assai feconda tra i due fattori, collocati in
una posizione distorta, fuorviante ed assurda, di antitesi
concettuale e terminologica. Ma il pragmatismo, insito nelle
esperienze reali, è il "lievito" che serve a
tradurre le conoscenze teoriche, più libresche, in capacità
tecniche e pratiche, più operative, e concorre a mitigare
l’astrattismo fin troppo astruso e metafisico, che ristagna oramai in
un’antiquata, polverosa impostazione culturale di origine gentiliana,
di cui è ancora imbevuta e "pregna" la tradizione
scolastica del nostro Paese.
Per
contro, una architettura di matrice anti-idealistica, che si colloca
alla base della sedicente "didattica delle competenze", è
il "frutto marcio" di una esasperata ideologia
utilitaristica, di palese estrazione capitalista anglosassone,
insinua un assioma che tende ad assolutizzare, alla stessa stregua di
un dogma, il primato delle competenze empiriche rispetto alle
cognizioni astratte. Nel contempo conviene scongiurare il rischio,
incombente in modo costante, di magnificare lo status di superiorità
dell’idea sull’empiria concreta. Teoria e prassi devono diventare
ingredienti di una "ricetta" organica, che contribuisca ad
una maturazione sana, corretta ed equilibrata della persona in fase
evolutiva. Nella scuola odierna si antepone il valore o il criterio
di un "format", di una griglia, i diktat di adempimenti
burocratici calati dalle alte sfere istituzionali, senza tenere conto
di quelle istanze culturali, spirituali ed interiori di una "forma
mentis" e di un senso critico, che servono a creare una
personalità autonoma e matura. Il "bandolo della matassa"
risulta una sequenza insulsa di crocette da segnare sulla carta, o su
un file digitale, dietro le quali si ripara una visione di stampo
aziendalista di scuola e società. Sotto cumuli di griglie e di
scartoffie, perlopiù inutili e vuote, di aride cifre, si
seppelliscono gli allievi in carne ed ossa. La questione più
urgente, da inserire tra le priorità di un’agenda politica
seria, al di là di facili proclami verbali, per rilanciare
davvero il ruolo della scuola, è il tema dell’autonomia
didattica, un principio sancito dalla nostra Costituzione, ma che
finisce letteralmente in malora e si svuota per tutta la "muffa"
che si accumula tra le carte. Mi riferisco agli oneri burocratici
eccessivi, sofferti in modo tacito e supino dai docenti, a discapito
proprio del valore della libertà che la Costituzione (tuttora
vigente) assegna alla funzione docente ed al diritto all’istruzione
di ciascun discente
A
cura di Lucio Garofalo
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