Una
circostanza commemorativa, solo apparentemente rituale, si offre agli
avvoltoi ed agli sciacalli della disinformazione di regime, come
occasione utile per compiere l’ennesima operazione di
strumentalizzazione e mistificazione ideologica del pensiero di
Pasolini. Alludo ad alcuni esponenti prezzolati dell’informazione
nazionale, a quanti hanno provato a distorcere e strumentalizzare in
modo indegno e disonesto una posizione assunta da Pasolini il 16
giugno 1968, quando pubblicò i famosi versi intitolati “Il
Pci ai giovani”, sugli scontri di Valle Giulia a Roma.
In
quella circostanza Pasolini si schierò dalla parte dei
poliziotti, essendo di estrazione proletaria, mentre criticò
apertamente la “massa informe” degli studenti,
figli della borghesia che egli detestava profondamente. Eppure
Pasolini non ha mai rinnegato o disdegnato i movimenti di
contestazione quali, ad esempio, Lotta Continua oppure altre
formazioni extraparlamentari, con cui ha persino collaborato in
importanti esperienze di controinformazione.
Si
pensi solo alla controinchiesta condotta dal collettivo politico di
Lotta Continua guidato da Giovanni Bonfanti e Goffredo Fofi, che si
concretizzò nel film-documentario “12 dicembre”,
uscito nel 1972, incentrato sulla strage di Piazza Fontana. Fu un
impegno che coinvolse in modo diretto Pasolini, il quale contribuì
pure alla sceneggiatura.
La
disonestà intellettuale e la mistificazione ideologica di
questi presunti operatori dell’informazione dominante, in
evidente mala fede, risiedono soprattutto in un elemento: essi
espongono solo la versione dei fatti che fa loro comodo, mentre
tacciono, ovvero omettono o fingono di dimenticare, quella porzione
di verità che non conviene e non interessa raccontare.
In
tal senso, credo che sulla vertenza della TAV, è assai
probabile che Pasolini avrebbe solidarizzato e simpatizzato nei
confronti delle mobilitazioni di massa e delle lotte popolari sorte
in Val di Susa. Affermo ciò in quanto conosco il rispetto
sacrale e la passione viscerale che egli nutriva per lo studio e la
salvaguardia di ogni identità culturale ed antropologica
particolaristica.
Da
intendersi in un’accezione che è tutt’altro
nostalgica o reazionaria, intimamente connessa ai valori più
autentici e genuini dell’essere umano. Valori essenziali che
sono stati spazzati via dall’omologazione imposta
dall’ideologia del “pensiero unico”. In tal senso
la vertenza scaturita in Val di Susa è paradigmatica, in
quanto la TAV non è un progetto al servizio del progresso dei
popoli, ma del dio denaro e dei profitti ad esclusivo vantaggio di
quelle forze economiche egemoni nel mondo capitalista. Una vicenda
esemplare, che smaschera il vero volto ipocrita, autoritario ed
affarista dei presunti, sedicenti “stati democratici”,
che dirottano i soldi pubblici nelle tasche della grande
imprenditoria privata, infiltrata dalla criminalità
organizzata, per finanziare opere faraoniche prive di benefici
sociali, discutibili a livello economico, in quanto costose ed
inutili per rilanciare l’economia in crisi.
Nel
contempo si depotenziano le infrastrutture ferroviarie del Sud
Italia, ritenute di minor rilievo, e si tagliano fondi ai settori
pubblici che, oltre a creare opportunità di lavoro, forniscono
beni e servizi utili alla collettività. In questa ottica la
TAV è una testimonianza dell’assoluta subalternità
del potere pubblico alla logica del profitto privato, l’ennesima
prova che certifica il primato della sfera economica sulla dimensione
collettiva della politica, anteponendo le leggi ferree e ciniche del
mercato e la forza smisurata del capitale, agli interessi della
comunità, del territorio, della sanità locale, della
democrazia e della giustizia sociale.
Di
fronte ad un ingranaggio così folle e mostruoso, si erge in
termini antagonistici il movimento No TAV che, a dispetto di quanti
sostengono il contrario, denota un ruolo di protagonismo attivo delle
popolazioni locali, che oltrepassa i confini territoriali della Val
di Susa e coinvolge gruppi di militanti provenienti da tutta l’Italia
e dall’estero. Non è un caso che questa vertenza
"locale" si allacci saldamente con le proteste e le
rivolte di mezzo mondo. D’altronde, una lotta per la tutela
dell’ambiente e della salute della gente, potrebbe configurarsi
come una sorta di posizione di retroguardia, quindi di conservazione.
E in un certo senso lo è.
A
riguardo rammento una provocazione “corsara” che
Pasolini lanciò oltre 40 anni fa, l’ennesima
intuizione “profetica” del suo genio immenso: in una
società consumistica di massa che
promuove “rivoluzioni”ultraliberiste che potremmo
facilmente definire “di destra”, i veri
rivoluzionari sono (paradossalmente) i “conservatori”.
I mutamenti innescati nel quadro dell’economia capitalista
contemporanea, sono di chiara matrice liberticida e reazionaria,
frutto di un’accelerazione storica improvvisa che ha
determinato un processo di sviluppo abnorme ed irrazionale, di
globalizzazione a senso unico. In ultima analisi sono “rivoluzioni
conservatrici”.
Il
ricorso ad un tale ossimoro serve ad indicare la funzionalità
ad un’istanza politica di stabilizzazione conservatrice dei
rapporti di forza esistenti. Quanti si battono per arginare la deriva
autoritaria e destabilizzante causata dallo strapotere delle
oligarchie finanziarie, per contenere l’offensiva
neo-capitalistica sferrata contro le conquiste dei lavoratori, o per
resistere agli assalti della destra più agguerrita ed
oltranzista (che non è soltanto la destra berlusconiana o
leghista, quanto quella più elegante e sofisticata delle
tecnocrazie finanziarie che fanno capo al governo Renzi), coloro che
si adoperano per mantenere le condizioni residuali di legalità
democratica, i principi e le tutele costituzionali, sono
indubbiamente “conservatori”, per cui oggi sono i
veri rivoluzionari.
Essere
contro la TAV non equivale ad essere contro il progresso, bensì
contro un falso ed aberrante modello di sviluppo che genera una
perversa e fallace nozione di “modernità”. Gli
esiti rovinosi e squallidi di una modernizzazione posticcia sono
ravvisabili ovunque, soprattutto in un fenomeno di perversione e
degrado dei rapporti umani, improntati in maniera sempre più
ossessiva ad un interesse esclusivo, che è la ricerca del
profitto, quale unica ragione esistenziale da esibire o proporre alle
nuove generazioni. Questo paradigma ideologico è
altamente diseducativo e deviante, poiché si assume come fine
univoco uno stile di vita e di comportamento che è pervasivo e
non è sorretto da una coscienza intellettuale sufficientemente
critica, capace di sostituire, se occorre, quell’esigenza
unilaterale e morbosa con valori etici e culturali più
gratificanti. L’imposizione di una visione della
vita perfettamente conforme all’ordinamento economico e
politico dominante, non si esercita più attraverso strumenti
di oppressione e coercizione diretta, ma si esplica con procedimenti
diversi rispetto al passato, ricorrendo a sistemi di alienazione
strisciante, solo apparentemente democratici e pacifici, ma che
in effetti si rivelano più repressivi di qualsiasi dittatura
fascista.
Il
controllo degli stati e delle società tecnologicamente
avanzate non si regge più tanto sull’uso della forza
militare, quanto sul ruolo di condizionamento e manipolazione
ideologica svolto dalla televisione.
Vale,
dunque, la pena di richiamare la tesi espressa da Pasolini in diverse
circostanze a proposito della televisione, considerata come un mezzo
di comunicazione antidemocratico, poiché non suscita e non
consente uno scambio dialettico interattivo, aperto e paritario, ma
al contrario privilegia ed esalta un rapporto autoritario e
paternalistico, che non ammette e non concede possibilità di
replica. In tal senso, la televisione incarna il nuovo
totalitarismo fascista, il vero Leviatano della modernità.
Lucio
Garofalo
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