La comunione legale dei beni tra coniugi non è una
comunione ’per quote’ in cui ciascuno dei partecipanti può disporre del proprio
diritto nei limiti della quota, ma una comunione senza quote nella quale i
coniugi sono solidamente titolari di un diritto avente ad oggetto i beni di
essa e non è ammessa la partecipazione di estranei.
Ne consegue che, nei rapporti con i terzi, ciascun
coniuge, mentre non può disporre della propria quota, perché ciò avrebbe
l’inconcepibile effetto di far entrare nella comunione degli estranei, può
tuttavia disporre dell’intero bene comune.
Tale principio è stato ribadito dalla Corte di
Cassazione con la sentenza n. 4033 del 19 marzo 2003, in cui si precisa che
mentre per i beni immobili e per quelli mobili registrati occorre il
consenso dell’altro coniuge per la validità dell’atto di disposizione, per ciò
che concerne gli atti di disposizione su tutti gli altri beni diversi, la legge
pone soltanto a carico del coniuge che ha effettuato l’atto in questione
l’obbligo di ricostituire, su richiesta dell’altro coniuge, la comunione
nello stato in cui era prima del compimento dell’atto o, ove ciò non sia
possibile, di pagare l’equivalente del bene.
Pertanto, gli atti di disposizione di beni diversi
da quelli immobili e mobili registrati, possono essere compiuti senza il
consenso dell’altro coniuge, considerato che la minore rilevanza economica
di tali beni costituirebbe soltanto un intralcio alla normale gestione delle
attività economiche della famiglia, salvo l’obbligo, all’interno del
rapporto coniugale, di ricostituire in via specifica o per equivalente la
comunione.
Erminia Acri-Avvocato
|