 Ma
che colpa abbiamo, io e voi, se le parole, per sé, sono vuote?
Vuote, caro mio. E voi le riempite del senso vostro, nel dirmele; e
io nell'accoglierle, inevitabilmente, le riempio del senso mio.
Abbiamo creduto d'intenderci; non ci siamo intesi affatto (Luigi
Pirandello).
Pasqua.
Fa
parte della vita di tanti che, in questo periodo di festività,
provano a schivare gli orrori “di dentro” e di “fuori”,
celebrando l'esaltazione della bontà all'insegna dell'umiltà,
nel nome di un Cristo, in cui pochi si riconoscono e troppi si
identificano senza, però, professarne i principali
insegnamenti: carità, umiltà... Pasqua.
Convenzionalmente, vuol dire rinascita. Per il Cristo, ha significato
resurrezione, per l'Uomo comune e mortale potrebbe e dovrebbe
significare emendamento. Ma
perché usiamo questo termine? Forse
bisogna ricordare quello che siamo riusciti a fare nei confronti di
Gesù (almeno stando a quanto la tradizione cristiana ci ha
tramandato nei secoli) che, in fondo, era sceso sulla Terra per farci
un favore mentre, noi, lo abbiamo crocifisso, per ringraziarlo, senza
troppi complimenti. Fatto fuori il Redentore, occorreva dare un senso
a quel malsano gesto e, allora, abbiamo pensato bene di estirpare
quella radice faticosamente piantata dallo stesso Figlio di Dio,
quella del bene, per seminare un terreno, ancora vergine, con
delle colture "speciali", quali l’odio, la
cattiveria, l’invidia e quant’altro, di così
"pregiato", potesse durare nei secoli...
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Ogni
evento, anche nella nostra vita, è il risultato di migliaia di
cause che producono, assieme a quell’evento, altre migliaia di
effetti, che a loro volta sono le cause di altri migliaia di effetti.
(Tiziano Terzani)
A
quel punto, già che c’eravamo (e volendo restare sulla
strada delle turpitudini), abbiamo pensato bene di sconvolgere e
deturpare tutto quello che ci circondava. Natura in primis...
Poi,
ovviamente, ci siamo accaniti contro i nostri simili, con guerre di
ogni genere (militari, economiche, morali, et.) che, sembrano, non
finire mai.
E,
in effetti, volendo credere nella presenza (e nell’azione) di un
Essere Supremo, non possiamo fare a meno di perderci nella
grandiosità dell’Infinito che parte da noi e, ritorna, a noi
per dolerci del fatto che, pur possedendo ciò che serve per
vivere bene, finiamo per dannare quello con cui interagiamo. Un po’
come se, Dio, si fermasse ad osservarci. Ad una distanza, però,
sempre una spanna più in là, della nostra capacita di
raggiungerlo. O come se ci invitasse ad andare per la nostra strada,
nascondendo, di fatto, l’ultimo tratto del percorso...
“E
so che è già un mistero il fatto ch’io sia qui e
che questa luna illumini così. Che colpa ne ho, se cado dentro
al vino e non respiro più, se sbaglio e mi rovino? Io seguo
solo il mio destino che mi porta fino a te: non amarti è
impossibile per me!” (Gianni Togni)
E
allora?
“In
questo tempo, che è nel tempo che verrà, io seguo solo
il mio destino ed è lui che guida me... se altra strada da
percorrere non c’è, che colpa ne ho?” (Gianni
Togni)
Forse
perché ci sentiamo in colpa, in questo periodo, sembriamo più
disponibili a dispensare regali, dolci e paganità di vario
genere (necessari per la crescita del Prodotto Interno Lordo).
Mettiamo in atto uno scambio di reciproche attenzioni... addirittura
in eccesso. Veniamo coinvolti in riti e propiziazioni augurali che
culminano in "febbre di santità". La
mattina è quella che mi piace di più, sembra che tutto
ricominci da capo (Haruki Murakami).
Ma
siccome, il Tempo (che è una nostra convenzione), non “ha”
Tempo, forse si dovrebbe chiudere gli occhi quel tanto che basta per
riconnettersi col nostro “Io” profondo dove sentire che
le paure degli altri sono le stesse che ci attanagliano e capire che,
se avremo mai un avvenire, questo dipende da noi. In fondo, tutto
quello che ci serve è un orizzonte aperto allo sguardo, una
“Domenica” per ripartire e un pane da spartire e da
offrire in cambio del perdono che “ci” dobbiamo. Perchè,
la Verità e che, “non
c’è pietà, per chi non prega, e si convincerà,
che non è solo una macchia scura, il cielo!
A
questo punto, un invito...
All’approssimarsi
della “vera” Pasqua, stiamo attenti ad evitare di
inebriarci troppo di quella santità che non ci appartiene.
Siamo esseri umani e la differenza diviene evidente attraverso il
nostro quotidiano operato: ricordiamoci della "resurrezione"
anche quando la sua commemorazione non è. Ognuno di noi
dovrebbe rivedersi in quel Lazzaro risvegliato da un uomo giusto e
realizzare, nella libertà, tutto quello che può
esprimere, non quello che gli altri credono che si debba fare.
Per
potere apprezzare quel Sole che c’è, anche se non lo vediamo.
Strano,
vagare nella nebbia! È, solo, ogni cespuglio e ogni pietra, né
gli alberi si scorgono tra loro: ognuno è solo. Pieno di amici
mi appariva il mondo, quando era la mia vita ancora chiara; adesso
che la nebbia cala, non ne vedo più alcuno. Saggio non è
nessuno che non conosca il buio che, lieve e implacabile, lo separa
da tutti. Strano, vagare nella nebbia! Vivere è solitudine.
Nessun essere conosce l’altro: ognuno è solo. (Hermann
Hesse)
Mariano Marchese (Avvocato, Counselor) - Presidente Assocultura Cosenza
Giorgio Marchese (Medico Psicoterapeuta, Counselor) - Direttore "La Strad@"
Si ringrazia Emanuela Governi, per gli aforismi proposti.
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