Una
bella lezione di vita. Nel tempo mi sono irrigidito e anche un po’
“ingrigito”...
Non
c’è niente di più sbagliato e, al tempo stesso,
di falso nell’affermare che, in tema di sentimenti, siamo
sottoposti a forze misteriose che ci governano in maniera
irrazionale. Il sentimento infatti, è un’emozione
composita in cui, su un elemento razionale (anche se inconsapevole)
si innesta una componente affettiva. Il tutto si traduce in una
evidenza disarmante ma reale.
Ci
innamoriamo di qualcosa (un lavoro, un ambiente, etc.) o di qualcuno
provando vivo interesse nel realizzarci attraverso (e mediante)
questo "qualcosa" o questo "qualcuno". Ricambiamo
l’opportunità offertaci, mediante disponibilità
sentimentale.
Da
qui nasce tutto il resto.
"Amore
non è guardarci l’un l’altro, ma guardare insieme
nella stessa direzione" (Antoine de Saint Exupéry)
Questo,
all’interno di una coppia, non significa che uno dei due debba
sacrificarsi a favore dell’altro. Vuol dire semmai, che l’uno
serve all’altro, in maniera complementare. Ecco cosa significa,
condividere interessi e obiettivi.
Qual
è il motivo per cui, man mano che procediamo negli anni, siamo
attratti da tutto ciò che ci intristisce e, in ultima analisi,
ci divide fra la nostalgia e la malinconia e ci porta a soffrire?
"Siamo
minacciati dalla sofferenza da tre versanti: dal nostro corpo,
condannato al declino e al disfacimento e che non può
funzionare senza il dolore e l’ansia come segnali di pericolo;
dal mondo esterno, che può scagliarsi contro di noi con la sua
terribile e formidabile forza distruttiva; infine, dalle nostre
relazioni con gli altri" (S. Freud, Il disagio della civiltà).
Allo
stato attuale delle cose, mi sento di affermare che, con molta
probabilità, questo è dovuto a più fattori.
Anzitutto, più avanziamo nel tempo, maggiore è la
quantità di progetti che temiamo di non riuscire a portare a
termine. Poi, ci si scontra con numero sempre maggiore di ostacoli
(frustrazioni, sensi di colpa, rimorsi, conflitti e angosce varie)
che, pur facendo parte del gioco, perché ci allenano a
crescere, al tempo stesso sfiancano la nostra voglia di continuare.
In ultimo, e non è poco, aumenta il solco degli affetti
"sublimati" (che non ci sono più). Quindi, ci si
trova, come necessità compensatoria a "rifugiarsi"
all’interno di realtà virtuali che portano a cercare
stati d’animo risultanti da riflessioni inerenti quello che
abbiamo avuto, di bello (e che non possiamo più abbracciare) e
quello che avremmo potuto avere (ma che non si è mai
realizzato).
"Mano
a mano, ti accorgi che il vento ti soffia sul viso e ti ruba un
sorriso... la vecchia stagione, che sta per finire, ti soffia sul
cuore e ti ruba l’amore. A mano a mano si scioglie nel pianto
quel dolce ricordo sbiadito dal tempo, di quando vivevi con me in una
stanza: non c’erano soldi ma tanta speranza. E a mano a mano mi
perdi e ti perdo. E quello che è stato ci sembra più
assurdo, di quando la notte eri sempre più vera. E non come
adesso nei sabato sera.... Ma...dammi la mano e torna vicino. Può
nascere un fiore nel nostro giardino, che neanche l’inverno
potrà mai gelare Può crescere un fiore da questo mio
amore per te. E a mano a mano vedrai che, nel tempo, lì, sopra
il tuo viso, lo stesso sorriso che il vento crudele ci aveva rubato,
che torna fedele. L’amore è tornato da te"
(Riccardo Cocciante).
Mamma,
ma perché si deve soffrire?
Soffrire. Termine
composto che deriva dal latino e significa "attività
perturbata dell’animo, come conseguenza a squilibri (o
disequilibri) da mancato appagamento". Qualcuno, nei
secoli, ha concluso che la sofferenza è l’unico mezzo
valido ed efficiente, in grado di rompere il sonno dello spirito e
della ragione. E in effetti, in determinate circostanze critiche, il
cervello attiva il meglio di sé per elaborare strategie
efficaci alla risoluzione del problema. Ogni epoca storica, a ben
guardare, è caratterizzata da momenti altalenanti compresi fra
gioie e dolori.
Ogni
rapporto umano, quando è "vero", presenta
frazioni di tempo "critico".
La
nostra mente, analizzandola su un piano psicobiologico si "accende"
in due circostanze: quando si raggiunge l’equilibrio (perché
si prova benessere) e quando ci si è assuefatti a quella
condizione (perché, generando noia, si deve cercare qualcosa
di meglio, per poter ripristinare un equilibrio più "evoluto"
del precedente).
È
per questo che l’amore (in qualunque tipo di rapporto), quando
è "intriso di valore", è tutto carte da
decifrare e lunghi momenti da raccontare.
"Vedo
questo spazio immaginario di stelle. Fa bene al cuore ma, perché
non sia un’illusione, cerco di scrutare quel mare senza più
fine, per continuare a camminare verso te. Vorrei afferrare il vuoto
che ogni tanto mi afferra, attutire questa guerra che c’è
in me..."
Perché
ci si rende conto dell’importanza di chi ci sta vicino, solo
quando non abbiamo più la possibilità di relazionarci
con lui?
Perché
quando noi interloquiamo, non in maniera virtuale ma realistica con
qualcuno, il rapporto è globale e prevede una serie di fattori
come, ad esempio, le cose che di questa persona non ci piacciono e le
cose che, a questa persona, di noi non piacciono e in virtù
delle quali, magari, ci contrasta e ci contesta. Sono i momenti in
cui si dà per scontata la presenza di questa persona e quindi,
la nostra attenzione viene indirizzata verso altri elementi di
maggiore interesse temporaneo. Quando poi ritorniamo con i piedi per
terra e dobbiamo accettare l’idea di non poter più, sul
piano pratico, relazionarci con essa, allora il nostro modo di
osservare le cose ci porta a valutare nella maniera più
approfondita possibile il valore che costei o costui aveva per noi
(che non avevamo messo da parte ma lo davamo per scontato).
"A
certe condizioni, la verità, come la luce, acceca. La
menzogna, invece, è un bel crepuscolo, che mette in valore
tutti gli oggetti" (Albert Camus).
Mamma,
la vita è un insieme di attimi concatenati. Silenziosi, presi
da soli. Assordanti nel loro stare uniti. Apparentemente scoordinati
e incapaci di generare immagini, quando li guardi singolarmente (come
i colori fondamentali); intensamente espressivi, incostanti ma
continui quando li sommi alchemicamente.
Bisogna
saperli impastare. Forse, questo, significa essere saggi.
Qualcuno
sostiene che, così come un genitore ha il piacere di vederti
venire al mondo, un figlio debba avere il privilegio (che poi diventa
un dovere) di stare accanto al padre o alla madre, nel momento del
trapasso. Per aiutarlo a morire con la dignità di un tramonto.
Come Natura vuole.
Qualcun
altro ritiene che anche nei rapporti di coppia si debba stare uniti
allo stesso modo. Non per niente si è "consorti",
l’uno dell’altro. Quando ci si innamora, nascono delle
emozioni uniche e irripetibili. Il loro infrangersi come onde, sulla
spiaggia della memoria, ci modella in maniera specifica rispetto a
chi siamo (per come viviamo i sentimenti) e a chi ci ha fatto
palpitare. Così forgiamo le unioni. Per questo, nel rispetto
di tutti, quando è il momento, dobbiamo aiutarle a morire.
Per
il gusto di soffrire?
L’accelerazione
critica, che deriva dallo stress emotivo conseguente, imprime a fuoco
i contenuti del patrimonio che abbiamo condiviso e che, a quel punto,
diventa parte di noi. E sapremo vivere meglio la nostra
solitudine.
Per
il piacere di vivere.
Cara
Mamma, per tanto tempo (forse troppo) sono andato avanti convinto
di poter fare a meno di chiunque... ma è da un po’ di tempo
(forse da troppo poco) che ho dovuto accettare i miei errori con te.
A partire da quello che mi ha portato a voler credere che, in fondo,
siamo nati per restar soli.
Forse
è vero, Madre mia ma, per una volta vorrei che il Mondo
e, con esso, la Natura tutta sovvertisse l’ordine delle cose e ci
cullasse con un abbraccio collettivo. Forse allora, qualunque
distacco, sarebbe attenuato dall’amore di una dolce nenia.
La
mia presunzione, come un servofreno dentro al cuore, mi impedisce di
sentire la tua assenza ma la verità è che ho paura di
non poter contattare più il mio “Dolore Originale”;
quello che ho provato nel momento della mia venuta al mondo, col
terrore di essere stato abbandonato.
Che
stranezza che è la vita... quante volte sei stata con me:
quando leccavo le ferite delle mie bocciature o sorridevo all’idea
che ti avrei reso una Regina; nei momenti che ho temuto di non
farcela e anche nei frangenti in cui avrei preferito che, tu, non
fossi lì.
Il
punto, doloroso (per me, oggi) è che, forse, io ho fatto in
modo di non esserci, quando te ne sei andata.
"E’
tutto un silenzio questa nottata. Un venticello, da questa sera,
sembrava volesse accarezzarmi il viso... e finalmente, da solo...
piango! Tu non puoi vedere perché sei lontana... come puoi
accorgerti della mia struggente malinconia? Però te lo mando a
dire perché tu possa credermi... e se mi credi, allora piangi
insieme a me! Scendono, queste lacrime, lentamente, teneramente,
dolcemente... e io non faccio nulla per asciugarle. Io grido per
farti sentire la mia voce ma tu non puoi sentirmi. Tutto è
silenzio... in cielo, quante stelle! Affacciati, anche tu puoi
vederle: sono a migliaia. E sai perché sono così belle?
Perché stanno lontano, proprio come te! (Eduardo de Filippo).
Tuo
figlio Giorgio
Ho
scritto (e di getto) questo articolo, all’indomani della morte
di mia madre, il 13 aprile 2009. Ha rappresentato, di fatto, una
sorta di confronto allo specchio, grazie al quale analizzare e
analizzarmi. Nella vita di ciascuno di noi, in fondo, i momenti
difficili si susseguono e, spesso, temiamo di non riuscire a venirne
a capo. In questa particolare ricorrenza, ho inteso ripubblicarli per
come avrei voluto che fossero, fin dall’inizio, sperando che siano di
aiuto a chi sente di essere in difficoltà.
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