La
nostra Costituzione riconosce la necessità di un
paritario inserimento della donna nel mercato del lavoro,
che renda compatibile attività lavorativa e funzione
familiare. In quest’ottica, al fine di garantire la
conservazione del posto di lavoro il legislatore ha previsto il
divieto di licenziamento della futura mamma nel periodo che
va dall’inizio della gravidanza sino al compimento del primo
anno di età del bambino.
Ove
il datore di lavoro, non informato dello stato di
gravidanza della lavoratrice, provveda al licenziamento
della stessa -come nel caso in esame-, la donna ha diritto
di riottenere il posto presentando, entro 90 giorni, un
certificato medico da cui risulti che la gravidanza sussisteva al
momento del licenziamento.
Questa
tutela vale anche per la mamma adottiva, che non può essere
licenziata per tutto il primo anno dopo l’adozione.
Il
licenziamento durante la gravidanza è ritenuto
giustificato, tuttavia, quando avviene per un comportamento
scorretto della lavoratrice a seguito del quale è
consentita la risoluzione del rapporto di lavoro, o durante il
periodo di prova, o quando l’azienda chiude e cessa l’attività,
o per scadenza del contratto a termine. Se, invece, è la
lavoratrice che decide di lasciare il lavoro e si dimette durante
il periodo di operatività del divieto di licenziamento, le
dimissioni dovranno essere convalidate dal servizio ispettivo del
Ministero del Lavoro, competente per territorio. Ciò in
quanto si presume la non spontaneità delle dimissioni,
apparentemente volontarie, in conseguenza dello stato di
soggezione in cui la lavoratrice viene a trovarsi nei confronti
del datore di lavoro.
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