Cari
Lettori, la prima
stesura di questo articolo risale al 22 agosto 2014, all’indomani
della perdita dell’Amico di tutti: Robin Williams.
Grazie all’aiuto di Marilena Dattis, grande esperta di Cinema e di
caratterologia dei maggiori interpreti della “settima arte”,
ho immaginato un dialogo con la propria interiorità per
arrivare a capire cosa si prova di fronte agli importanti consuntivi
del più duro dei maestri il quale, prima ti somministra
l’esperienza e, poi, ti spiega la lezione: la Vita. Ovviamente,
durante questo tempo, si è arricchito di concetti maturati da
uno studio incessante e che offrirà, comunque, continui e
nuovi spunti. L’immagine originaria è stata sostituita da
quella di Sergio Castellitto che interpreta il ruolo di uno
psicoterapeuta incline alla ricerca del capire l’origine e il senso
di tutte le cose.
Lo
psicoanalista Massimo Recalcati ha
spiegato che, secondo Freud
e Lacan, l’essere
umano manca di un programma istintuale capace di orientare la sua
esistenza nel Mondo. E proprio su questo “difetto” che,
sempre secondo il pensiero di questi Grandi della Psicoanalisi,
prende corpo il programma dell’Inconscio.
Proviamo
a capire
Al
contrario di forme apparentemente meno evolute, non accettiamo
passivamente l’idea che, il senso della nostra presenza sia, appunto,
la nostra stessa presenza. Abbiamo bisogno di capire che lo scorrere
dei granelli di sabbia nella clessidra che misura quanto ci resta,
del variegato coacervo di stati d’animo, sia finalizzato al sentirsi
delle “brave persone” (se si è cresciuti coi
Valori d una volta) o al raggiungimento della possibilità di
godere.
Entrambe
queste posizioni, rispettano il motivo che guida il cammino di
ognuno: il Principio del Piacere.
Tale
“chimera” genera la nostra condanna alla vita (come disse
Giovanni Russo,
riprendendo concetti freudiani) intesa come scontro fra due estremi
apparentemente inconciliabili: Eros (Amore e passione) e Thanatos
(Morte).
Al
primo, Sigmund Freud
dava la valenza di pulsione volta alla conservazione della vita;
nella seconda,
individuava la pulsione che spinge verso la distruzione della vita
stessa.
In
buona sostanza
Grazie
anche all’aiuto di Scienziati del mondo della Fisica, si è
arrivati a capire che:
Tutto
nasce dall’insopportabilità di piccolissime particelle (i
quark) costrette a coabitare (nei protoni e nei neutroni del nucleo
degli atomi) in maniera conflittuale;
dal
tentativo di fuga di queste microparticelle (obbligate a
ricongiungersi, perchè legate da un elastico di “gluoni”)
nasce una danza da cui si creano le prime frequenze
(elettromagnetiche) di vita, pianificate da chi ha creato il
sistema;
l’Energia
generata e trasmessa in tal modo cerca, quindi, di realizzare il
piano voluto dal Creatore (o da chi per esso) e contenuto (pare) nel
Bosone di Higgs, in base a cui si producono reazioni che consentono
ogni forma di manifestazione (vitale e/o inerte);
dopo
miliardi di anni di evoluzione è comparso l’essere umano nel
cui DNA dovrebbero essere contenuti i “piani di volo”
che, Jung, chiamava
“Inconscio Collettivo” capace di orientare e spingere
verso il Futuro e la conseguente ulteriore evoluzione;
la
nostra capacità di “leggere” e “stampare”
(senza accorgercene) le informazioni genetiche che ci consentono di
assemblare il corpo e di scegliere le indefinite opportunità
(di pensiero e di azione) poste su una metaforica tavolozza di
colori (da miscelare con sapienza) messa a disposizione da Dio (o
dall’Energia stessa...) Jung
lo chiamava “Inconscio individuale”;
partendo
dal principio che è come se fossimo nati potenzialmente
dotati di un “sistema operativo” perfetto che va fuori
equilibrio ad ogni nuovo apprendimento, il ruolo della nostra Mente,
a questo punto, dovrebbe essere quello di (probabilmente) modulare i
meccanismi epigenetici generando adattamenti e resilienza, in
maniera da riportare in equilibrio il sistema di base (la danza dei
quark);
se
la crescita (psicofisica) di ognuno di noi appaga corretti principi
di maturazione, prevale la voglia di continuare questa avventura
(Eros), altrimenti inizia a prevalere il ritorno ad uno stato
inanimato di materia (Thanatos) per, metaforicamente, avere una
nuova possibilità, attraverso la ripartenza da una sorta di
brodo primordiale ipotizzato dal grande Fisico Stephen
Hawking, nella sua “Teoria
del Tutto”.
"Ognuno
sta solo sul cuor della Terra trafitto da un raggio di sole:. Ed è
subito sera" (Salvatore Quasimodo).
Quando
ti costringono ad impararle a memoria, nei primi passi della scuola
primaria ti
sforzi di recitare un copione che non ti è affatto chiaro.
Poi, le ritrovi lungo il cammino della vita e ti accorgi che una
poesia, soprattutto se contiene un certo tipo di messaggio, può
trasportarti in un mondo più vasto di quello che avevi
immaginato. E, se è vero che le cose della vita fanno piangere
i poeti, il raggio di sole di Salvatore Quasimodo, altro non è
che l’illuminazione. Quando, cioè, capisci più di
quello che saresti in grado di contenere. Nel tuo cuore, nel tuo
animo... e nel tuo cervello.
“Non
leggiamo e scriviamo poesie perché è carino: noi
leggiamo e scriviamo poesie perché siamo membri della razza
umana; e la razza umana è piena di passione. Medicina, legge,
economia, ingegneria sono nobili professioni, necessarie al nostro
sostentamento; ma la poesia, la bellezza, il romanticismo, l’amore,
sono queste le cose che ci tengono in vita”
Praticamente,
ognuno di noi è “sostanzialmente” solo.
“Fra
le sagome degli alberi che si stagliavano sulle mura bianche dei
monasteri, vidi l’ombra di un passante riflessa dalla Luna.
Camminava lento, con la testa un po’ curva come chi, assorto
negli inutili pensieri sul senso della vita, segue un funerale. Ero
io”. (Tiziano Terzani)
Per
quanti sforzi si possano fare, non riusciremo a trasmettere, ad
esempio, l’intensità di un sentimento che, per antonomasia, è
un’emozione che nasce e si diffonde in ogni ansa del nostro essere ma
che, al momento di varcare la soglia della barriera della propria
identità, ci fa capire quanto analfabeti possiamo diventare,
sul piano emozionale.
Inoltre,
di fronte alla voglia di condivisione che nasce in coloro che cercano
il valore del “noi” rispetto all’assoluto “io”,
si presenta immancabilmente la difficoltà che nasce da codici
della comunicazione tarati su frequenze personali di cui nessuno,
purtroppo, ha fornito le coordinate di avvicinamento...
"Sai
quel posto che sta tra il sonno e la veglia, dove ti ricordi ancora
che stavi sognando? quello è il luogo dove
ti amerò per sempre..." (James
Matthew Barrie - Peter Pan
)
Ci
sono cose alle quali non dobbiamo abituarci. Ad esempio, alla
rassegnazione, alla fatalità, al dolore, alla sofferenza. Ad
un’esistenza interrotta per la paura della solitudine, pur in mezzo
alla moltitudine.
La
memoria, a volte, può essere uno splendido rifugio e, man
mano che invecchi, godrai nell’andarci a frugare. Come si fa
con un mobile dimenticato in soffitta. Se mai diventerai
vecchio...
Ma,
la memoria, però, può essere, anche, un terribile peso.
Perché non possiamo mentire sulle promesse non mantenute.
“Come
chiunque altro, io non dispongo che di tre mezzi, per valutare
l’esistenza umana: l’osservazione degli uomini (i quali,
nella maggior parte dei casi si adoperano per nasconderci i loro
segreti o per farci credere di averne); i libri (con gli inevitabili
errori di prospettiva che sorgono fra le righe); lo studio di se
stessi (è il metodo più difficile, il più
insidioso ma, anche, il più fecondo)”
(Marguerite
Yourcenar – Memorie di Adriano)
Forse
è per questo che, quando fai i conti con te stesso, arriva un
momento che, credi, essere il peggiore. Come quando, di notte, è
troppo tardi per considerarti parte di ieri ma, al tempo stesso, è
ancora troppo presto per rapportarti col domani. Accade, soprattutto
se ti senti in colpa per ciò che presumi di aver
fatto e, contestualmente, impreparato per quello che potrà
succedere.
Chissà
cosa accadrebbe se riuscissimo ad incontrare i bambini che eravamo e
chieder loro un parere sugli adulti che, poi, siamo diventati...
Probabilmente
scopriremmo di aver impattato col prezzo della vita, quell’insieme
di istanti che "vanno a senso unico" colorando e dando un
peso a quel misuratore indifferente che è il tempo, creandoci
l’illusione di essere in quella condizione di fare ciò
che piace e che fa star bene: la libertà.
Ma
siamo realmente liberi nel decidere i nostri percorsi di vita?
In
linea di massima, la risposta potrebbe essere affermativa nel senso
che basterebbe poter scegliere ciò che più piace e
verso cui ci sentiamo più "legati". Nella realtà
dei fatti, qualunque attività decidiamo di intraprendere,
dovremo sopportare dei costi pur traendone dei vantaggi.
Quali
potrebbero essere questi costi?
Innanzitutto
il
tempo da dedicare per prepararci ad affrontare una determinata
professione;
poi,
le
difficoltà da affrontare per inserirsi in un circuito
lavorativo dignitoso;
inoltre,
c’è
da considerare le frustrazioni con cui, inevitabilmente, ci si
scontra durante un percorso occupazionale;
infine,
non si può trascurare la necessità di sapersi
barcamenare tra il tempo da dedicare al lavoro e quello da utilizzare
per dare alla propria vita una dimensione di completezza ed
equilibrio (affetti, amicizie, tempo libero, miglioramento personale,
etc.)
“Guardo
il mondo, vedo quanto possa essere spaventoso, a volte, e comunque
cerco di affrontare la paura. La comicità può aiutare
ad affrontare la paura, senza paralizzarti ma anche senza dirti che
tutto il male sparirà. È come se dicessi: ok, posso
scegliere di ridere di questa cosa, e una volta che ci avrò
riso sopra avrò cacciato il demone e potrò affrontarla
davvero” (Robin Williams).
Il
nuovo, in quanto tale, ci costringe a venir fuori dagli schemi delle
abitudini che sono nate per darci le sensazioni tipiche di un comodo
paio di pantofole, la sera, di ritorno da una giornata di impegni...
L’ignoto,
come ambientazione ricca di fattori potenzialmente pericolosi
(perché, anche nelle migliori condizioni, ciò che non
conosciamo ci può "mettere alla frusta"), aumenta lo
stato di disagio tensivo.
Al
tempo stesso, alla lunga, anche le cose che si ripetono finiscono per
darci la percezione di vivere in un recinto dove tutto è
scontato. E si va avanti, stancamente, in attesa della fine!
Nel
rapporto fra fatica (costo) e gusto (beneficio) ci muoveremo, come
Diogene con la lanterna a cercare l’uomo, in tutti i suoi
significati.
Probabilmente,
la nostra esistenza ricalca la guida di un aereo. Diventa prioritario
restare ai comandi qualunque cosa accada. Il problema nasce nel
momento in cui la situazione ci sfugge di mano per aver commesso
errori nella strategia di conduzione delle cose che facciamo. A quel
punto, l’aereo (cioè la nostra vita) può
piombarci addosso come una mina vagante.
L’importante
è evitare lo stallo.
Lo
stallo è quel momento in cui un velivolo non ha più
spinta inerziale per cui comincia a precipitare. La bravura del
pilota consiste nel riuscire a volare manovrando la cloche in maniera
da raggiungere l’equilibrio fra la spinta dei motori e la
durata dell’accelerazione, restando all’interno di una
curva disegnata fra la "salita" e la "discesa"
evitando, nel contempo, di finire fuori rotta.
Così
scorre il nostro tempo, fra la ricerca di "un posto al sole"
e il doversi difendere dal peso del successo, che potrebbe farci
perdere.
In
tutti i sensi.
Ci
sono cose alle quali non vogliamo abituarci, mai. Ma, soprattutto non
vogliamo abituarci a dimenticare. Per esempio, le persone che ci
hanno reso felici per un attimo o per un’ora, le persone che
abbiamo imparato ad amare, che facciano parte del nostro quotidiano o
se, in quel quotidiano, magari siamo andati a cercare attraverso uno
schermo, attraverso una scena, per cercare un senso alle cose della
vita, “
ci deve essere un motivo per cui io sono come sono”.
È
così
che, a volte, ci si sente meno soli, "il
pensiero è reale, la materia è illusione…”
Puoi
perdere te stesso. Tutto. Ogni limite. Ogni tempo. ancora lì.
Quello è il miracolo. Puoi andare in Paradiso e tornare
indietro vivo. Ritornaci ogni volta che vuoi
… o capitano , mio capitano.
Diventando
più responsabili, si perde una parte di libertà?
Sì,
quella libertà egocentrica, a costo zero (chè, tanto,
qualcuno pagherà per noi). No,
perché acquisiamo la libertà del diritto di scelta
(pagando di tasca propria).
“La
verità è una coperta che ti lascia scoperti i piedi. Tu
la spingi, la tiri e lei non basta mai, anche se ti dibatti, non
riesci a coprirti tutto... Dal momento in cui nasci piangendo al
momento in cui esci morendo, ti copre solo la faccia. E tu piangi e
gridi e gemi!”
Crescere,
per definizione significa aumentare trasformando,
in bene o in meglio: ma, come andrà, noi non lo sappiamo mai
all’inizio; un po’ come quando si fa una torta o una
pizza: si lascia lievitare, si mette in forno facendo attenzione a
non aprire lo sportello per evitare d’interromperne la cottura.
A volte, però, la pietanza (per qualche errore di procedura)
non "cresce" adeguatamente e allora il risultato lascia a
desiderare.
Se noi
non siamo adeguatamente aiutati nel capire che la vita è
difficile (ma lo è in funzione di quello che non sappiamo
fare) cerchiamo delle strade alternative frenando le nostre
aspirazioni, i nostri sogni, la nostra voglia di crescere per paura
di trasformarci in qualcosa che potrebbe anche non piacerci.
Quanto
incide la nostalgia di momenti del passato che non potranno essere
mai più vissuti, a frenare la voglia di crescere?
Partendo
dall’assunto che la paura di crescere può essere legata
non solo ad alcuni aspetti intuibili (invecchiare, morire, perdere i
propri cari, non sapere affrontare l’ignoto, non sopportare di
sbagliare), possiamo aggiungere che, una forte componente possa
essere legata anche alla nostalgia di momenti del passato che non
potranno essere mai più vissuti.
Intanto
si resta in bilico tra gli attimi di ieri e il domani incerto. Che
fare per evitare rimpianti?
Partendo
dal principio che:
Il
passato costituisce
il pianeta dei ricordi (che, in genere, si vivono con nostalgia o
rammarico).
Il
futuro rappresenta
l’occasione per sperare in qualcosa.
Il
presente "incarna"
l’opportunità di concretizzare.
I
criteri da usare per organizzare al meglio la propria vita,
diventano, se ci riusciamo:
Ma
non sempre, è facile come sembra...

“Mi
dispiace, piccola, ci sono delle cose che devo dirti e mi restano
solo pochi momenti. Mi dispiace per tutto ciò che non potrò
mai darti, non ti comprerò mai un hamburger gigante a 4
piani... Non ti farò mai sorridere. Volevo soltanto
invecchiare
insieme
a te come due vecchie tartarughe che ridono, contandosi le rughe
insieme, al capolinea, sul lago del tuo dipinto: quello, era il
nostro Paradiso. Grazie per la tua forza, per la tua dolcezza, per
come eri e come sei, per come ho sempre desiderato
toccarti.
Dio, eri tutta la mia vita! E ti chiedo scusa
per
tutte le volte che ho fallito con te, specialmente questa.” (Al
di là dei sogni)
Giorgio
Marchese & Marilena Dattis
Un
ringraziamento a Maria Graziella Tenuta, per aver suggerito i versi
di Salvatore Quasimodo
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