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Omaggio a Mario Monicelli.
di Marilena Dattis  ( marilenadattis@gmail.com )

5 dicembre 2010

L'ultimo "Ciak " Mario Monicelli lo ha voluto dare a suo modo. Non aspettando che la morte arrivasse, ma andandogli incontro, anticipandola senza concedere e concedersi abbuoni, lasciandoci con quel dolce amaro tipico dei suoi migliori film. Quel dolce, come lo definì Miccichè, di essere "autore" suo malgrado e l'amaro di una morte imprevedibile. Del resto in molti suoi film la rappresentazione della morte avviene senza sconti ne' edulcorazioni, basti pensare a "I soliti ignoti" o a "La grande guerra". Era il 1958, quando Monicelli con Age e Scarpelli scardina completamente un genere definito per antonomasia comico e brillante: quello della commedia. Il film è naturalmente "I soliti ignoti", dove per la prima volta compare in un film "comico" la morte in scena, quella di Cosimo interpretato da Memmo Carotenuto. La morte tragica e solitaria di Cosimo getta una luce di amarezza irreversibile sul resto del film e sull'ulteriore sviluppo della "commedia all'italiana" che non sarà più quella di prima, anzi sarà qualcosa di completamente nuovo. Questo precedente costituirà la base di un processo di maturazione, che condurrà la commedia, le sue storie, i suoi autori, a sfidare il genere comico con sempre maggiori ambizioni. Così con "La grande guerra" (1959), Monicelli sfida produttori e critica... PER LEGGERE TUTTO IL TESTO, CLICCARE SUL TITOLO.



...provocando la rivolta della stampa italiana, quando si viene a sapere che il regista insieme ad Age e Scarpelli con Gassman e Sordi come attori, stava preparando un film sulla guerra del ’15-18. Il timore era che si volesse mettere in ridicolo la nostra grande epopea e i 600.000 morti. Il risultato fu il capolavoro che noi tutti conosciamo, il film presentato alla Mostra di Venezia otterrà il Leone d’Oro ex-equo con "Il generale della Rovere" di Rossellini e sarà il primo grande riconoscimento ottenuto da una "commedia all’italiana". Sempre affiancato da Age e Scarpelli, Monicelli nel 1963 gira "I compagni", che presentato in un periodo di grande tensione politica, fu attaccato dalla sinistra. Ma solo un autore, o forse pochi altri contemporanei, sarebbero stati capaci di osservare e narrare con sobrietà, spessore critico e partecipazione emotiva il mondo del lavoro e la condizione degli operai. Pur riconoscendone l’enorme merito, non si può certo limitare la genialità del grande regista toscano solo alla "commedia all’italiana". Seguire la storia cinematografica di Monicelli vuol dire ripercorrere non solo una parte importante della storia del cinema italiano, ma anche riscoprire l‘inventiva di un cineasta attento ed audace nelle scelte, con una dote innata quella di saper riconoscere e dirigere gli attori verso nuove mete. Come fece con Vittorio Gassman, che fino a quel momento era stato utilizzato dal cinema per ruoli antagonisti e a volte anche negativi, e che lui volle a tutti i costi (contro il parere della produzione) nel ruolo di Peppe Marchetti ne "I soliti ignoti". Come individuò la vena comica di Monica Vitti (la quale aveva appena finito di girare "L’avventura" con Antonioni) cui affidò il ruolo di protagonista nel film "La ragazza con la pistola" Ed è sempre lui che sceglie Gian Maria Volontè per un ruolo comico "Nell’armata Brancaleone", veste Alberto Sordi di panni drammatici in "Un borghese piccolo piccolo" e nel suo splendido film tutto al femminile "Speriamo che sia femmina" le sue donne sono capitanate da un insolitamente comica Liv Ullman. Non ci sono aggettivi per definire la grandezza di Mario Monicelli, d’altronde egli stesso non gradiva quando lo si chiamava maestro, preferiva definirsi un artigiano: "L’artigiano è una persona che non crede di essere l’artista supremo che deve essere incoronato, non pensa di dover dire delle cose straordinarie: è qualcuno che ama il suo lavoro, che lo fa con pazienza, con amore e spesso con ottimi risultati che rimangono nella storia. Nulla di più."E Monicelli con i suoi film è entrato a pieno titolo nella storia, con il suo sguardo penetrante ci ha svelato i mutamenti, le virtù, i difetti, ma anche la spavalderia, le grandezze e le sconfitte della società italiana. Senza mai retorica, ci ha fatto riflettere e commuovere, sorridere e partecipare con grande ironia e umorismo : "L’Umorismo è uno strumento simile ad un bisturi, incide molto più a fondo la carne che non il dramma puro e semplice, espresso in maniera didascalica, elementare. L’Umorismo è già una riflessione, fare dell’umorismo su un dato drammatico, sottende che la conoscenza dell’argomento sia molto profonda. Se si vuole trattare un tema con l’ironia, bisogna averne maggiore padronanza; e in secondo luogo offre la possibilità di rendere partecipi di quello che si vuol dire un maggior numero di persone; richiama molto di più la risata." E poi ci sono film che escono dallo schermo per entrare nella vita quotidiana, chi non ha sorriso, almeno una volta aspettando un treno, ripensando alla celeberrima scena degli schiaffi alla stazione di "Amici miei". Chi è cresciuto con i film di Monicelli ha scolpito nella memoria quei quattro amici che sembravano difendersi dalle delusioni e dalle difficoltà dell’esistenza adottando il cinismo e un atteggiamento di disillusione, dove il gioco, l’ironia, lo scherzo e la provocazione sono le armi per rimanere vivi, perché forse per sentirsi vivi non bisogna prendere la vita troppo sul serio. "E io rimasi lì a chiedermi se l’imbecille ero io... che la vita la prendevo tutta come un gioco, o se era lui... che la prendeva come una condanna ai lavori forzati, o se lo eravamo tutti e due" ( Amici miei atto II) Nel suo cinema c’era la vita e la sua vita ha voluto dedicarla al cinema, affinché noi e le generazioni future potessimo commuoverci, appassionarci, emozionarci, sorridere e ridere grazie alla passione ed alla generosità del suo genio. "Cos’è il genio ? E’ fantasia, intuizione, colpo d’occhio e velocità di esecuzione!" (Amici miei)

A Mario Monicelli, semplicemente il nostro Grazie!

 

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