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La solitudine dei numeri primi.
di Giorgio Marchese  ( direttore@lastradaweb.it )

1 marzo 2012






Cerca sotto la tua barba. Troverai la mia cicatrice.


Riflessioni

Il mio amico Giovanni mi critica perché io non appartengo ad alcun gruppo di potere o "di pressione", che dir si voglia. Insomma, non sono un lobbista! E questo, in una Società come la nostra, pare che non sia cosa buona e giusta.

Siccome, nelle visioni diverse dalla mia, cerco di individuare prospettive nuove e interessanti, sono andato alla ricerca di spiegazioni e motivazioni che possano, in qualche modo, rendere questo mio ragionamento, interessante agli occhi di chi vuole capire il modo di orientarsi per non cadere da quella fune su cui ci si ritrova, tutti, in equilibrio precario, fra l’etica, la morale e la perdizione.

Quali sono i miei potenziali, in grado di consentirmi agganci col potere?

Innanzitutto, sono un medico, abbastanza stimato dai colleghi e in ottimi rapporti col Presidente del mio Ordine, al punto tale da potermi considerare un consigliere "tecnico" (non eletto ma nominato dal Presidente). Come ricercatore e specialista in psicoterapia, inoltre, mi ritrovo docente a contratto in ben tre insegnamenti (Psicologia fisiologica, Psiconeuroendocrinoimmunologia ed Epigenetica, Psicologia della comunicazione) nella Scuola di Specializzazione in Psicoterapia ad Indirizzo Dinamico, di Roma (La SFPID) che, di fatto, è un Istituto privato abilitato (dal Ministero) a rilasciare diplomi equivalenti a quelli dell’Università pubblica.

L’elemento significativo, risiede nel fatto che sono stato cooptato senza aver dovuto superare alcun concorso... ma solo per i titoli e i meriti. Questa "appartenenza", mi ha aperto le porte per l’ingresso nel Consiglio Direttivo della FAIP, organizzazione nazionale che raggruppa e coordina molto, della Psicoterapia e del Counseling. Già che ci siamo, aggiungerei l’iscrizione all’Albo dei Giornalisti, che mi consente di rivestire il ruolo di Direttore Responsabile dell’apprezzato Magazine La Strad@, che ho ideato e contribuito a fondare e quello di autore e conduttore televisivo, in programmi scientifici di buon livello.

Non minimizzerei il ruolo che ricopro, in qualità di Amministratore Unico (una sorta di "Deus ex Machina") dell’ente di Formazione Neverland Scarl visto che, essendo accreditato dalla Regione, offre la possibilità di contatti "diretti" con funzionari e dirigenti. Ovviamente, non dimentico la professione principale, quella di psicoterapeuta.

Un bel pout pourrì... non c’è che dire!

Certo, al mio album, mancano le figurine relative all’iscrizione al Rotary, ai Lyons e, perché no, anche ad una interessante loggia massonica. In compenso (per non farmi mancare nulla) sono presidente di una No Profit e di una ONLUS, che si occupano di terzo settore e giro, pure, con una costosa Audi, regolarmente acquistata.

Eugenio dice che io sono rinnegato, perchè ho rotto tutti i ponti col passato. Guardare avanti, sì... ma ad una condizione: che tieni sempre conto della tradizione! (Edoardo Bennato)

Caro Giovanni, cosa c’è che mi allontana, allora, dal tuo intendimento? Tutto o nulla, in fondo. Ed è, a pensarci bene, quel paradosso esistenziale che fa smarrire l’equilibrio a chiunque provi a capire perché, quando un discorso fila liscio, nella propria mente, non porta risultati apprezzabili, una volta applicato nella quotidianità.

Situato su qualche lontana nebulosa faccio ciò che faccio, affinché l’universale equilibrio di cui sono parte, non perda l’equilibrio. (Antonio Porchia)

Procediamo con ordine. L’Ordine dei medici, tanto per cominciare. Tu mi "inviti" ad inserirmi in qualche commissione di lavoro, al fine di vendermi adeguatamente, nella politica interrelazionale, in qualità di componente di uno strumento di potere. Ammesso che la cosa generasse in me un qualche interesse, non credere che sia così semplice, riuscire nell’impresa. Infatti, non essendo un ospedaliero e non ricoprendo ruoli amministrativi (nelle ASP o nell’Azienda Ospedaliera), o turni di guardia Medica (svolgo, infatti, da sempre, solo l’attività privata), non rappresento un riferimento di appartenenza verso i colleghi che, invece, in un modo o nell’altro, lavorano in aggregazione (ospedali, cliniche, etc.). Su cosa potremmo interloquire? Non mi interessano le beghe sindacali, non debbo litigare per i turni di ferie e non necessito di sgomitare per un avanzamento di carriera.

Sono un imprenditore di me stesso.

Se decidessi di presentarmi alle prossime elezioni (sempre come consigliere dell’Ordine), non prenderei alcun voto, perché neanche io scriverei il mio nome, consapevole di una scelta inutile e sbagliata.

Questo non vuol dire che non ho credito nel mio ambito professionale. Anzi! Un collega importante (un Rotariano, per intenderci), invitato all’ultimo convegno/seminario sull’ansia (cui tu non sei venuto perché troppo impegnato nelle "politiche sociali") mi ha salutato con questa affermazione: "Da paziente, posso dire che, se tutti i medici fossero autorevoli e propositivi come te, mi sentirei molto più tranquillo". Nessun ostracismo, quindi... è solo che professiamo interessi non convergenti.

E passiamo all’Università. Ringrazio moltissimo chi mi ha proiettato in prima linea a dialogare con medici e psicologi, specializzandi. C’è un però: lo spirito e il filo conduttore che anima chi segue un corso di studi abbastanza accademico, come quello in cui cerco di operare. Potrai non credermi ma, ogni volta che argomento e disserto su quello che, in fondo, sta sui libri dell’Università, mi ritrovo una platea sconvolta da innovazioni che ritengono sfiorare l’eretismo.

E va bene, lo ammetto, mi piace trasmettere ciò che dico, in maniera divulgativa e, al tempo stesso, "gioco" con gli argomenti complessi (come quello del rapporto fra la genetica e l’ambiente nel condizionamento mentale) utilizzando esempi e aneddoti comprensibili dalla massa (orrore, vista l’austerità dell’ambientazione!)... ma non riesco ad accettare l’idea che, per farsi benvolere nei luoghi dove si studia per aiutare chi soffre, in maniera pragmatica, si debba utilizzare un linguaggio idoneo, forse, a logge esoteriche.

E quindi, non solo non trovo un Input scientifico adatto allo spirito anticonformista del sottoscritto ma, addirittura, non provo alcun piacere nel frequentare i colleghi (i famosi "lupi mannari" di fantozziana memoria), al di fuori e al di là dei necessari consigli di Facoltà.

Noi vediamo, sentiamo, parliamo, ma non sappiamo quale energia ci fa vedere, sentire, parlare e pensare. E quel che è peggio, non ce ne importa nulla. Eppure noi siamo quell’energia. Questa è l’apoteosi dell’ignoranza umana. (Albert Einstein)

Andiamo al discorso televisivo. Dal 2003, ho iniziato a considerare la "telecamera" come un interessante portale verso la divulgazione di massa e non ho problemi ad interfacciarmi con essa. Chi immagina, però, che utilizzare il mezzo televisivo dia spazio e autonomia laddove le porte, di solito, sono chiuse (i centri di potere, insomma), commette un errore di valutazione. Dipende da quale tipo di televisione si sta parlando. Format di politica e cronaca, riescono a scalfire la "dura" coscienza di molti politici e direttori sanitari; programmi più liberi da schemi preordinati, come le argomentazioni scientifiche trasmesse per amore della cultura e la ricerca della verità, in ambito clinico e psicologico- esistenziale, espongono a malumori e invidie. Che non aiutano a farsi accettare nelle "parrocchiette".

La gente è in cerca di questo, di essere presa per mano. Di rassicurazione. Di qualcuno che le prometta che andrà tutto bene. (C. Palahniuk)

Un discorso non dissimile, coinvolge il mio rapporto con i colleghi giornalisti, lontani dal mondo della ricerca scientifico - esistenziale. Caro Giovanni, avendo chiesto la pubblicazione di un comunicato stampa relativo ad un ciclo di conferenze (su ansia, depressione, ossessioni e disagio esistenziale, in un quadro contestuale di precariato sociale) che avrebbero avuto, come valore aggiunto, la possibilità di richiedere la mia presenza (insieme a quella di numerosi counselor), gratuita, a casa di infermi e sofferenti in solitudine (per colorare un po’ il doloroso crepuscolo), solo un amico (a titolo di favore personale) ha risposto all’appello. Gli altri mi hanno fatto capire (solo i più educati) di non poter essere disponibili, perchè la mia richiesta "non costituiva una notizia interessante". Effettivamente, a parer loro, solo quando ammazzano qualcuno, il giornale vende delle copie in più!

Per inciso, la sala del convegno era stracolma... ma non per merito dei media. Scusa, Giovanni, ma perché dovrei frequentare una casta così avulsa da un corretto servizio di pubblica informazione?

Potrei continuare, spiegando i motivi demotivanti relativi alle organizzazioni di cui faccio parte ma che non frequento, perché le considero alla stregua di carrozzoni in grado, solamente, di aspirare risorse generando illusioni... ma preferisco stendere un velo pietoso.

Posso soltanto dichiarare, senza tema di smentite, che ho rifiutato dei soldi (all’incirca 40.000 Euro) già stanziati perché il corso di Formazione professionale che mi era stato commissionato, non avrebbe potuto avere (per motivi di tempo) i requisiti minimi accettabili, secondo il mio modo di intendere il lavoro.

Caro Giovanni, a questo punto potresti domandarmi quale sia il motivo opportunistico che non mi fa rassegnare le dimissioni da questi inutili circhi equestri. Ebbene, posso risponderti che ho imparato, da te, che, comunque, è importante esserci. Magari per capire in che direzione vanno, molti fatti del mondo, per poter approntare adeguate contromisure.

Un grande maestro disse ai suoi allievi: "Andate nella foresta e riportatemi tutto quello che ritenete inutile". Ognuno di loro tornò con qualcosa: un’erba, una radice, una corteccia. Solo uno studente tornò a mani vuote. Ma proprio lui, venne elogiato dal maestro. Aveva capito che ogni cosa, nella foresta, era utile. Quello studente diventò il medico di corte e uno dei grandi rishi dell’Ayurveda. (Tiziano Terzani - Un altro giro di giostra)

In matematica, un numero primo è un numero uguale o maggiore di 1, che sia divisibile solamente per 1 o per se stesso; al contrario, un numero maggiore di 1, che abbia più di due divisori, è detto composto. Ad esempio, 2, 3 e 5 sono primi, mentre 4 e 6 non lo sono perché divisibili, rispettivamente, anche per 2 e per 3. L’unico numero pari, primo, è il 2, in quanto tutti gli altri numeri pari sono divisibili per 2.

Quello di numero primo è uno dei concetti basilari della parte della matematica che studia i numeri interi: alla base di questa importanza vi è la possibilità di costruire, con essi, attraverso la moltiplicazione, tutti gli altri numeri interi.

Caro Giovanni, personalmente, non posso non considerarmi un "numero primo", esemplare unico, nella propria solitudine, alla stregua di tutti coloro che "sentono" una non appartenenza ad un contesto indisciplinato e fuorviante. Anche se una mia amica e collega, una psicologa siciliana trapiantata a Roma, si è arresa ad una vita da casalinga per "manifesta superiorità dei disturbati sociali", con la mia professione di Psicoterapeuta e (soprattutto) di Counselor, fuori dagli schemi classici e dogmatici, vado quotidianamente alla ricerca del senso della vita. Ho abbandonato una promettente carriera di odontoiatra, per questo. A giudizio di molti, sono proprio un tipo strano!

Diranno che sei su una strada sbagliata, se sei sulla tua strada. (Antonio Porchia)

Il bello di questa personale realtà, consiste nell’aver ottenuto un consistente successo personale e professionale, proprio perchè sono "unico" e fuori da quegli schemi che, alla lunga, fanno deragliare. Ma questa relativa fortuna si trasforma in una sorta di maledizione perché, di fatto, non posso avere, con me, compagni di lavoro "effettivi", proprio perché sono il risultato di studi anarchici (e vicini alle leggi di Natura) lunghi e sofferti... che nessun medico (o psicologo) sente di voler affrontare. Confido in qualche Counselor.

Segavano i rami sui quali erano seduti e si scambiavano, a gran voce, la loro esperienza di come segare più in fretta. E precipitarono con uno schianto. E quelli che li videro, scossero la testa segando. E continuarono a segare. (Bertolt Brecht)

"Brutte giornate. Sono caduto in una tristezza infinita. Mi sono recato in ospedale a trovare un amico. Ho visto, nel suo viso, il dolore della rassegnazione. Non riesco a togliermelo dalla mente".

Il dolore della rassegnazione, Giovanni, un marchio a fuoco "provarlo"... una maledizione "osservarlo", senza poter far nulla. È per questo che lotto. Ed è per questo che non mi arrendo. Per trovare la risposta ai macigni che ci portiamo dentro. Ti racconto il contenuto di un sogno, che ho ascoltato, l’altra sera nel mio studio.

"Ho abbandonato un bambino, non so, esattamente, perché. So solo che l’ho fatto scendere dalla mia auto, l’ho sistemato in un cartone, davanti ad un portone e, mentre andavo via, cercavo la sua espressione, con la coda del mio occhio. Inconsciamente speravo che si disperasse perché, a quel punto, il mio senso di colpa sarebbe stato, per me, una giusta punizione. E invece, no, mi fissava muto, con due grandi occhi. Senza un lamento. Maledizione!"

Vedi, Giovanni, quello sguardo, altro non era che la coscienza, muta... per lasciare intatti, di fronte alle proprie responsabilità. Infatti, ad esempio, la legge militare prevede che si arrivi integri e coscienti, davanti al proprio plotone di esecuzione: per vivere fino in fondo i motivi della sentenza, che si trasforma, a quel punto, nella vera pena.

A volte mi sento come un inferno e non mi lamento. Non trovo di cosa lamentarmi (Antonio Porchia)

Come spesso dico e scrivo, ogni persona ha il dovere di proporsi e raggiungere la realizzazione di obiettivi a breve, medio e lungo termine. Per il medio periodo, sarebbe opportuno giungere ad acquisire il "miglior" numero possibile di conoscenze al fine di avvicinarci il più possibile alla "conoscenza"; ovviamente, come breve termine, non possiamo evitare di metterci in condizione di potercelo permettere, economicamente e mentalmente.

E per il lungo termine?

Lo si scoprirà man mano. La vita è come un videogame nel quale, come scopo, hai quello di giungere ai livelli superiori facendo attenzione a non impantanarti per evitare il "game over"..

Cosa fare per sentirsi a posto, quindi?

Bisognerebbe lavorare per essere ricordati, nell’almanacco dei fatti del mondo, all’interno della sezione "Persone utili al superamento dell’angoscia legata alle problematicità della finitezza umana ed in grado di agire per lo sviluppo ed il benessere collettivo"

Con le esperienze che portiamo avanti (studio, lavoro, rapporti interpersonali, etc.), "evolviamo" la nostra persona e l’energia a nostra disposizione... e poi, un giorno, la restituiremo! Potrebbe essere questa, la base da cui trae spunto l’evoluzione globale dell’ambiente, per cui ogni generazione si ritrova più "avanti" della precedente. Ruoterebbe intorno a ciò, in fondo, il motivo per cui siamo chiamati a vivere: evolvere e condividere.

Compagno di scuola, compagno di niente, ti sei salvato... o sei entrato in banca, pure tu? (Antonello Venditti)

Caro Giovanni, ogni tanto temo che (anche se legittimamente) tu abbia saltato quel fosso che divide i liberi sognatori dai concretizzatori omologati. Anche se così fosse, non sarebbe un dramma, a condizione di riflettere su alcuni principi che ci portano a concludere che, chiunque cerca la propria strada ma, le opportunità della vita,condizionano nelle scelte di carreggiata e direzione.

Io stesso, in fondo, parafrasando un pensiero di Bertold Brecht, ritengo di essermi seduto dalla parte della ragione... solo perché tutti gli altri posti erano già occupati!

 

Prima di salutarti, caro amico mio, vorrei dedicarti i versi di una bellissima poesia in musica, composta tanti anni fa da Roberto Vecchioni. Cerca sotto la tua barba, troverai la mia cicatrice.

 

Il leader della parte scura, dietro una barba quasi nera, diceva cose alla sua gente, a voce bassa come sempre e ricordava cose antiche, proibite ma pur sempre vive, come il martini con le olive. Dal millenovecentottanta, anno di grazia e d’alleanza, felice e immobile, la gente viveva solo del presente; ma lui, a quei pochi che riuniva, come una nenia ripeteva quel suo programma che chiedeva. Fosse permesso ricordare, fosse permesso ricordare... poi ricordò che era vietato, nel mondo nuovo, anche il passato. Il leader della parte chiara, con quella cicatrice amara sul mento, a forma di radice, gridava "Abbasso questa pace". Coi pochi giovani, insultava la polizia che costringeva soltanto ad essere felici: ed abbatteva e rifaceva palazzi d’arte e di cultura. E delle bibite e del niente sì, ma soltanto con la mente; e all’occorrenza le prendeva, davanti ai giudici abiurava ma, appena uscito, risognava. Fosse possibile cambiare, fosse possibile sperare... ma la speranza era un difetto nel mondo ormai così perfetto. E il leader con la cicatrice credeva l’altro più felice, e l’altro, quello con la barba, di lui diceva: "È pieno d’erba"; si sospettavano a vicenda di fare solamente scena, d’essere schiavi del sistema. E l’uno, l’altro beffeggiava. E l’altro, l’uno ricambiava, pur descrivendo alla rinfusa due volti di una stessa accusa: che era impossibile cambiare, tornare indietro, andare avanti avere voglia di sbagliare. Come ad esempio ricordare, come ad esempio ricordare: questo ricordo era un difetto, nel mondo ormai così perfetto. Né si poteva più cambiare, né si poteva più sperare, questa speranza era un difetto, nel mondo ormai così perfetto. E il leader della parte chiara, pianse di rabbia quella sera, seduto sopra la sua vita perduta come una partita; ma il servofreno dentro il cuore, che scatta al minimo segnale, gli eliminò tutto il dolore. E il leader della parte scura, contando i passi e la paura, si avvicinò alle parti estreme dove correva, un giorno, il fiume, ricostruendo, da un declivo l’ultima chiesa, un vecchio bivio, l’acqua e l’amore che non c’era. Si sentì stanco in quel momento, tolse la barba e sopra il mento, apparve a forma di radice, quella sua vecchia cicatrice.


Questo articolo è dedicato (oltre che al mio amico Giovanni che ha, faticosamente, ottenuto, con merito, quello che cercava) soprattuto a coloro che, pur avendo qualcosa da offrire, si sono arresi all’idea che, se non fai parte del gruppo di chi comanda, non avrai mai voce in capitolo. A parte il fatto che, nella propria vita, l’unica a poterci mettere il becco è la nostra identità e la nostra coscienza, le combriccole che si organizzano per prevaricare finiscono, prima o poi, per cannibalizzarsi a vicenda, sputando il nocciolo di chi hanno appena masticato. E senza neanche la raccolta differenziata.

 

Giorgio Marchese

P.S. Il nome del mio amico, ovviamente, non è Giovanni. Ma non ha alcuna importanza. Ovviamente.

 

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