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Sogno, in una notte di fine estate.
di Giorgio Marchese  ( direttore@lastradaweb.it ) e di Giuseppe Dattis  

27 agosto 2013





Il cielo stellato e tanta voglia di riscatto. Qual è il mio problema?


Riflessioni

La prima stesura di questo lavoro, risale al 14 di agosto del 2003. Sono trascorsi poco più di dieci anni da allora e bisognava "aggiornarlo". Il protagonista, infatti, ha, rispetto ad allora, molte più cose da raccontare.

BUONA LETTURA

Mi sono sempre domandato il motivo per cui, quando mi trovo da solo, su una spiaggia, io provi un miscuglio di sensazioni che vanno dalla malinconia alla nostalgia e che, al tempo stesso, mi parlano di gabbiani, vento, onde e libertà...

Riflettendo bene, fin da bambino Il mare mi ha attratto in maniera diversa ma ugualmente intensa, della ferrovia. Infatti, mi ha sempre dato l’idea del viaggio verso quello che non vedi ma che "senti" dentro di te scrutando l’orizzonte, oltre la linea di confine...

Col treno, in fondo, arrivi fin dentro il cuore di una città e, volendo, dalle sue viscere puoi rimetterti in marcia come se fossi indirizzato verso un metaforico albero respiratorio che ti catapulta, libero, nell’atmosfera.

Sarà per questo che, quando salgo a bordo di un qualsiasi natante, così come di un vagone ferroviario, la cosa mi affascina perché avverto di essere sempre oltre la linea di galleggiamento, una spanna più su del muro della routine.

Quello che divide la noia, dall’avventura.

Sai cos’è bello, qui? Guarda: noi camminiamo, lasciamo tutte quelle orme sulla sabbia e, loro, restano lì, precise, ordinate. Ma, domani, ti alzerai, guarderai questa grande spiaggia e non ci sarà più nulla, un’orma, un segno qualsiasi, niente. Il mare cancella, di notte. La marea nasconde. È come se non fosse mai passato nessuno. È come se noi non fossimo mai esistiti. Se c’è un luogo, al mondo, in cui puoi pensare di essere nulla, quel luogo è qui. Non è più terra, non è ancora mare. Non è vita falsa, non è vita vera. È Tempo. Tempo che passa. E basta. (A. Baricco)

Questa è una sera d’agosto, di quelle che ti fanno ricordare di tutto quanto non hai ancora fatto e di ciò che, pertanto, ti attende. Il punto è: si possono scacciare la malinconia, il tedio e i cattivi pensieri, o è meglio lasciare che trovino da soli, uno spazio, una collocazione, all’interno di un qualche cassetto della nostra memoria?

Alla mia età sembra strano, per la maggior parte della gente, che si possa soffrire di "nulla" e che, per contro, si voglia andare verso questo vuoto per passare al di là del buco nero a guardare l’altra faccia della luna... quella nascosta ai comuni mortali. Chissà se mi riesce di lasciare una testimonianza di vita, uno spaccato degli ultimi anni, quelli sicuramente più in linea con la tendenza che circoscrive esattamente l’emisfero più ad est... quando fa sera e calano le tenebre...e il sole ti lascia, per volgersi al desio che tende sempre più, inesorabilmente verso ovest.

Da un po’ di tempo, quando mi metto a pensare, giungo a delle conclusioni nient’affatto rassicuranti. Mi sono accorto, ad esempio, che il panorama della città in cui vivo, si trasforma: è come se la gente indurisse, mi sembra che tutto quello che abbiamo amato venga inesorabilmente distrutto.

Forse una semplice conseguenza dell’età?

Più aumenta il numero di rughe sulla fronte più, inesorabilmente, invecchio: allora mi rendo conto che il Mondo cambia e la malinconia del passato m fa apparire sgradevole il presente e preoccupante il futuro

Il ponte fra la disperazione e la speranza è una buona dormita.

E allora decido di dormire ma, nel sonno della mia coscienza, apro gli occhi... un’impronta forte... tante "foto" in chiaroscuro...questo sono io negli ultimi anni... il brutto ed il bello dell’esistenza terrena! La logica, quella che interviene giusto in tempo per non girare intorno a te stesso ed alle tue menzogne, guida la penna e i tasti della memoria. Certo è che non posso negare la tanta acqua passata sotto i ponti del mio essere, irrigato dalle piogge fertili dei messaggi ricercati e conservati, del mio percorso di crescita interiore.

Un divano, un freddo ottobre del 2001, il telefono bordeaux del mio soggiorno e mio zio: questi sono gli ingredienti del racconto, l’inizio di quello che diventerà il mio disagio esistenziale...

" So che hai bisogno di soldi, quindi lascia quello che NON stai facendo e vieni al negozio... ho del lavoro per te!"

50 Euro la settimana... questa è l’offerta, un lavoro di autista "tuttofare" è la richiesta... "Ok accetto" è la mia risposta. A ripensarci oggi, trascrivendo tesi al computer (visto che me la cavo con l’informatica) avrei guadagnato certamente di più ma, la sensazione di un lavoro in un laboratorio artigiano, ti fa sentire più uomo: vuoi mettere?

...mah!

Le galere dei gladiatori non dovevano essere, dal punto di vista del rispetto umano, troppo diverse dal negozio di "zio". L’antifona è quella solita di chi vuole "acquistare" soldi e agiatezza... pagando in svendita il lavoro dei sottoposti e considerando normale... lo sfruttamento altrui.

Nausea, vomito, ernia Jatale, malumore, tensione, ansia... è lungo l’elenco dei disturbi che cominciano ad attanagliarmi dopo qualche settimana di "duro" (è proprio il caso di dirlo!) impegno in quella bottega dei disagi che è diventata la mia vita... e coinvolgo in tutto questo anche la mia compagna, una giovane professionista che non capisce in cosa io mi stia trasformando...

"Attento Pepi, più fai... più vogliono!"

il "duca"... mio amico d’infanzia, emiliano per parte di padre, orfano da piccolo e maestro di vita... quante volte gliel’ho sentito dire! E infatti, al negozio viene licenziato in blocco tutto il personale e resto io... il "tuttofare"... a 50 Euro la settimana... sempre più "tuttofare"... commissioni, lavoro, pulizie del locale, trasferte...

Capitre il perché, poi, io continui a rimanerci... contribuirebbe a rispondere ai tanti quesiti della mia vita!

Un altro divano, lo stesso telefono bordeaux, uno squillo... e mio suocero in ospedale con un infarto del miocardio. "Forza, amore, che tutto andrà per il meglio!". Cos’altro potrei dire? Provo a crederci anch’io! Sale d’attesa, centri di rianimazione... e, finalmente il recupero...

E Pepi come sta?

Diviso fra il lavoro e le tante preoccupazioni, ho dimenticato di chiederglielo, ci pensano i disturbi a ricordarmelo! In meno di una settimana... il crollo... Quando la misura è colma, Filumena Marturano dice che "ti metti in agonia!"

Il solito divano, lo stesso telefono... questa volta mi squilla il cervello... rispondo: la depressione è in linea! Un’amica che mi accompagna... non è un male oscuro... è stanchezza e rabbia insieme... senza entusiasmo, è svuotamento, languore... mi ricorda le sensazioni provate alla lettura del Nerone di Roberto Gervaso, quando si "vede" Seneca, nella vasca da bagno, con le vene dei polsi recise... spegnersi "dolcemente".

Dovrei reagire?

Mi indicano un’analista... ma io... NON SONO MICA PAZZO!

Altri disturbi, nuove suggestioni, continui disagi, solite preoccupazioni...e pasticche...

Dovrei reagire?

E va bene, mi licenzio, cosi potrò riposare!

Altri dubbi, nuove incertezze, insonnia e sensi di colpa, la mia ragazza che "preme", i miei genitori che "vegliano" al mio capezzale... e nuove pasticche...

Dovrei reagire?

L’anima è la più angosciante spia che un nemico possa mandare... maledetta Emily Dickinson, hai dannatamente ragione! E va bene... andiamo a conoscere questo novello Freud! In fondo me lo ha indicato mia zia, è il suo analista e lo stima molto...se va bene per lei che è così esigente!

Il divano... il solito, il telefono... la stessa scenografia... ma stavolta sono io a chiamare... "Pronto? Ho bisogno di aiuto!"

E vado... gli occhi della gente a giudicarmi... i miei condizionamenti... la vergogna... nemmeno stessi entrando in un postribolo! Ad accogliermi c’è... un signore, che a guardarlo ti "ispira", gentile, calmo con i suoi modi di fare... mi invita ad entrare con un savoire faire d’altri tempi... decisamente shockante! Un mega acquario, le luci soffuse, i profumi dell’aria, la sua bella presenza... tutto contribuisce a disporti "bene".

"Qual è il suo problema?"

Qual è il mio problema? Caspita, non me lo sono mai chiesto... qual è il mio problema! Sono spiazzato... mi rendo conto che debbo "parlarmi" e, senza accorgermene, racconto di me... delle mie aspirazioni represse... delle mie incertezze... delle mie delusioni... dei miei perché... dei miei disturbi...

È fantastico... mi sto parlando... per la prima volta!

Molto probabilmente tutto questo mi basta e mi rende felice... finisco il colloquio, ascolto i le sue valutazioni che "sanno di buono", saluto e me ne vado... e la parcella? Mah, in fondo... con quello che guadagna!

E poi, mica mi ha chiesto di pagare!

Esco dallo studio, è notte, quella sicurezza sta svanendo come le "nebbia" che mi accoglie nell’oblio che conosco bene... forse mi sono illuso però, adesso, ho fatto contenti tutti, sono andato anche dal famoso "dottore"!

Forse è questo l’obolo che il mio destino mi ha chiesto di versare...

Giugno e luglio trascorrono in mezzo ai tumulti delle liti con la mia "lei"... meno male che il mio compagno è accanto a me: quel maledetto divano! Quando non ti senti e parli sottovoce, sembra quasi lui ti ascolti e capisca. E arriva il ricovero... e le analisi, e gli accertamenti... "lei è sano come un pesce, giovanotto, calibriamo l’ansiolitico, aggiungiamo un blando antidepressivo e le sue manie andranno via! Nel caso di una recidiva, tuttavia, si potrebbe aggiungere un neurolettico..."

Che gli uccelli dell’ansia e della preoccupazione volino sulla vostra testa, non potete impedirlo; potete evitare che vi costruiscano un nido. (Proverbio Cinese)

Con questo cartello in mezzo ad un corridoio candido e profondo, "battuto" dall’aria condizionata e dagli effluvi dei disinfettanti, la clinica mi saluta e mi invita a non tornare.

Dovrei reagire?

E io chiamo il "dottore"; l’analista, quel bravo signore... speriamo che non mi mandi al diavolo... Incredibile, con affettività professionale mi fissa un nuovo appuntamento! Vado. Ho i capelli corti, voglio iniziare una nuova vita, collaboro attivamente, lo bombardo di domande, scriviamo insieme degli articoli che mi "riguardano"... sono spinto a capirmi, accettarmi, adattarmi... a darmi da fare, insomma!

Una cosa mi incuriosisce, sulla sua scrivania, sparsi, tanti libri di Luciano de Crescenzo... ora ne leggo uno, tanto lui non si offende... e poi mi ha detto: "si metta a suo agio, devo assentarmi per un intervento urgente, tornerò in tempo per il colloquio..."

Zio Cardellino

La copertina è azzurra, mi attira, parla di un funzionario dell’IBM che, per sfuggire al "padrone", comincia a cinguettare e, in compagnia di Chicca la piccola nipote, l’unica che lo capisca, spesso "spicca" il volo...

"Zio, dai, raccontami un’altra storia di Fiocco Rosso..."

"E va bene. Dunque, devi sapere che una volta, il cardellino Fiocco Rosso capitò su un’isola bellissima..."

"Era Ischia?"

"No, era un’isola abitata da soli uccelli, dove si viveva molto bene perché c’era da mangiare in abbondanza e perché non c’erano cacciatori. L’unica cosa che non si poteva fare era andarsene via. La regina dell’isola era una grande aquila reale che aveva al suo servizio cento falchi. Questi falchi montavano la guardia, giorno e notte, appollaiati su montagne altissime e, ogni volta che qualche uccello cercava di scappare, gli piombavano addosso..."

"Ma perché gli uccelli volevano scappare se c’era da mangiare in abbondanza?"

"Perché nella vita il mangiare non è tutto e qualche volta si sente anche il bisogno di volarsene via. Comunque un giorno gli uccelli dell’isola decisero di ribellarsi e, insieme, rovesciarono la tirannia".

"E allora, l’isola divenne ancora più bella?"

"Si, per un po’ di tempo ci fu una certa serenità: i corvi avevano fondato la Repubblica degli Uccelli e tutti erano contenti che non ci fosse più un solo uccello a comandare sugli altri."

"E Fiocco Rosso?"

"Fiocco Rosso rimase in quell’isola ancora per un anno, poi decise di andar via... sennonché, ogni volta che cercava di allontanarsi, c’era sempre qualcuno che lo convinceva a sacrificarsi per il BENE COLLETTIVO ed a rimandare la partenza. Fiocco Rosso, allora, si accorse che anche dalla Repubblica degli Uccelli, non era possibile andarsene via. Si, qualche uccellino aveva cercato di farlo, ma poi, ad un chilometro dalla spiaggia, una voce misteriosa lo aveva convinto a tornare indietro. Una notte, Fiocco Rosso, ascoltò i corvi riuniti in assemblea segreta e si accorse che questi ultimi, avevano costruito intorno all’isola, una gabbia tutta fatta di parole. Quando un uccello si avvicinava alle sbarre, le parole più vicine diventavano udibili e lo dissuadevano dal volare via."

"E quindi non c’era speranza di libertà?"

"Solo in un punto, i corvi non erano riusciti ad intrecciare fra loro due parole difficili. Per trovare questo punto e scappare, era necessario volare la mattina presto, quando il sole era ancora basso sull’orizzonte. E così Fiocco Rosso, il giorno dopo, all’alba, si mise a volare nella direzione del sole e qui, tra le parole LIBERTA’ e FANTASIA, riuscì a trovare un piccolo buco ed a scappare."

Sono passati dieci lunghi anni, da allora.

A chi mi domandasse quanto ne sia valsa la pena, non sarei in grado di rispondere senza un minimo di dubbio. Il fatto è che, ora, ora ho scoperto che, per capire il senso profondo della vita bisogna pagare un prezzo: lo scontro con la verità, senza veli nè miti nè, tantomeno supereroi. Insomma, capita a tutti di sentirsi diversi in un modo o nell’altro ma, inequivocabilmente (e inesorabilmente), pur prendendo strade diverse, andiamo, tutti, nello stesso posto: il luogo delle disillusioni.

Probabilmente sto impattando col patchwork della vita, quell’insieme di istanti che "vanno a senso unico" colorando e dando un peso a quel misuratore indifferente che è il tempo, creandoci l’illusione di essere in quella condizione di fare ciò che piace e che fa star bene: la libertà.

Siamo realmente liberi nel decidere i nostri percorsi di vita?

Una delle cose con cui faccio i conti ogni giorno è che l’incertezza crea la condizione perfetta per incitare l’uomo a scoprire quello di cui è capace ma, al tempo stesso, non basta l’intera esistenza, per capire se e quanto ne sia valsa, davvero, la pena.

Se, come diceva Bob Dylan essere giovani vuol dire tenere aperto l’oblò della speranza, anche quando il mare è cattivo e il cielo si è stancato di essere azzurro, io non saprei dire quanti anni mi sento, arrivati a questo punto del cammino...

Non mi resta che tornare a guardare il mare che, per me, è, al tempo stesso, una sorta di ripostiglio (in cui ritrovare un po’ di quello che abbiamo perduto, o che non abbiamo avuto) e una specie di collante, in grado di unire i luoghi che, apparentemente, separa.

Il fatto è che, a dirla tutta, mi sento in prima linea, all’interno di una metaforica trincea. Davanti a me non c’è più nessuno a coprirmi: devo agire da solo. Perché sono un adulto, ormai.

Mi sto svegliando, mi ero assopito ma la mia coscienza non ha dormito... le foto sono nitide... un attimo prima di prendere, definitivamente, contatto con la realtà, faccio in tempo a ricordare la fine del libro. Quello che stavo leggendo, nello studio del mio analista, poco più di dieci anni fa...

"Seduta per terra davanti alla porta chiusa a chiave della stanza di zio Luca CARDELLINO, c’era Chicca, in attesa di potere entrare. Elisabetta fu la prima a varcare la soglia e subito si accorse che Luca non c’era più. La finestra aperta... il lucchetto forzato. Tutti i grandi si precipitarono alla finestra per guardare giù in strada. Solo Chicca, alzando lo sguardo vero il cielo, ebbe l’impressione di vedere un uccello volare lentamente nella direzione del sole."

In questa sera d’agosto "Elettrica" e "veloce", il mio risveglio, mi assapora di note agrodolci... guardo nel soggiorno... e non c’è più il divano!

Un buon inizio. Almeno per me.

 

Cetraro Marina (CS) 26.08.2013

 

G. M. & G. D.

 

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