È
tempo di scrutini, dunque di bilanci, giudizi e riflessioni. Anche
sui sistemi di valutazione ed autovalutazione adottati (più o
meno consapevolmente) nelle scuole. La docimologia è quella
branca della pedagogia che pretende di essere una disciplina
scientifica che si occupa dei metodi e dei parametri applicati
nell’ambito della valutazione scolastica.
Ora,
malgrado la pretesa (o presunta) obiettività scientifica delle
tecniche di esame e di verifica all’insegna dei criteri docimologici
in voga, la valutazione è un’operazione globale, costante e
formativa, nella misura in cui esige l’analisi di un ventaglio di
fattori dinamici e determinanti, di motivi di ordine soggettivo ed
interiore, morale e socio-affettivo, da cui non si può
astrarre e che non sono misurabili in termini matematici.
In
sostanza, nel processo di verifica e valutazione occorre tener conto
di una molteplicità di elementi di origine psico-emotiva e
caratteriale, che interferiscono continuamente, direi
inevitabilmente, nel rapporto dialettico tra docenti e discenti e
nella prassi didattica quotidiana. Per cui l’adempimento della
valutazione costituisce l’aspetto più arduo e complesso,
ingrato e spiacevole della professione docente.
Tutto
ciò non può ridursi ad un mero esercizio di calcolo
incentrato sui famigerati quiz con le crocette. Oramai, quando mi
chiedono: “che lavoro fai?”, rispondo
ironicamente: “una volta insegnavo, mentre ora addestro
piccoli concorrenti per i quiz INVALSI”. Benché
sarcastica, la risposta non è affatto distante dalla realtà.
Il
guaio è che, in qualunque scuola abbia insegnato, ho
incontrato colleghi e colleghe a cui aggrada tale “mansione”.
O, perlomeno, è accettata supinamente. Mi riferisco
all’obbligo di somministrare i quiz calati dall’alto
dall’INVALSI. L’ideologia più fanatica ed ottusa che mai
si sia vista nel mondo della scuola, è l’ideologia assolutista
ispirata alla docimologia ed alla sua pretesa di oggettività
scientifica. Anzi, pseudoscientifica. Una velleità
fallimentare, di segno fascista ed autoritario, che si incarna nel
sistema di valutazione INVALSI.
Un
modello fallito ovunque sia stato applicato.
Un
carrozzone clientelare, inutile e costoso, gradito solo a funzionari,
burocrati ministeriali e dirigenti scolastici. Ormai fare scuola si
riduce a mansioni di sorveglianza degli alunni, “parcheggio”
di giovani disoccupati permanenti, una sorta di “ufficio di
collocamento” per futuri precari cronici.
L’opera
educativa è mortificata da chi per anni ha malgovernato la
scuola. Ad esempio, l’animatore digitale è l’ultima delle
fantasiose e demagogiche invenzioni lessicali del nostro superiore
ministero (MIUR), impegnato oramai da più di vent’anni a
diffondere nelle scuole “cultura digitale”. Per "cultura
digitale" hanno inteso il fatto di dotare le nostre scuole di
qualche strumento tecnologico in più e di fornire qualche
istruzione per poter smanettare con un approccio prettamente
funzionale. In tal senso, l’utilizzo del registro elettronico
costituisce l’esempio più lampante e paradigmatico della
balordaggine e dell’insignificanza concreta ai fini squisitamente
culturali, educativi, pedagogici e didattici della cosiddetta
"dematerializzazione".
Ma
la cosa che rattrista maggiormente è vedere gli insegnanti,
che dovrebbero avere come loro "unico" pensiero, quello
della didattica, ossia del metodo e delle strategie per meglio
stimolare l’apprendimento dei loro studenti, adoperarsi a dimostrare
la loro fedeltà al dirigente. A dispetto della celebre frase
di Piero Calamandrei, il "miracolo" compiuto dalla scuola è
esattamente l’inverso: anziché formare dei cittadini, la
scuola italiana sforna dei sudditi, nella misura in cui gli stessi
insegnanti sono sempre più ridotti in uno stato di sudditanza.
È
una situazione esasperata ulteriormente dalla legge 107/2015: la
discrezionalità dei DS è eccessiva ed esiste un
concreto rischio di "feudalizzazione" del mondo della
scuola, di una crescente condizione di subalternità dei
lavoratori della scuola nei confronti del super-capo di istituto.
D’altronde, questa è la funzione che il potere capitalistico
assegna ad un "Apparato Ideologico di Stato" qual è
la scuola. Come spiegava Louis Althusser e come seppe intuire,
ovviamente alla sua maniera, Pier Paolo Pasolini.
Lucio
Garofalo
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