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La grazia del carcere che cè?
di Vincenzo Andraous  ( vincenzo.andraous@cdg.it )

10 dicembre 2004

Ciascuno possiede il proprio orizzonte per carpirne il riflesso migliore.


Quando il silenzio circonda il "pianeta sconosciuto" da farlo apparire una sorta di terra di nessuno, è da questa discrepanza che si creano le basi per lo sgretolamento del senso di sicurezza: discrepanza tra ciò che è realmente, e ciò che si vorrebbe fare apparire.

Ma al male non si risponde con altro male, bensì con la fermezza dell’umanità ritrovata, la quale non ha occhi da utopista né da illusionista, ma comportamenti coerenti con lo spirito delle leggi, quelle vigenti, non quelle altre a venire che sanno di scartoffie impolverate.

Qualche volta occorre scendere dal proscenio e prendere atto che il carcere è ridotto come è, anche a causa di alcune leggi in disuso, le quali non sono mai state correttamente applicate, e di questo scempio la colpa è antica, risale a ieri, all’altro ieri, anzi forse a domani.

Infatti non porta voti né santificazioni occuparsi seriamente della galera, non è salutare guardare con pietà a chi sbaglia e deve pagare, non è innovativo a sufficienza spendere di più per prevenire e mettere mano alle leggi esistenti per renderle davvero operative, quindi efficienti ed efficaci.

Non può bastare la giustificazione che in carcere non ci sono operatori sufficienti, che per colmare le assenze ed i vuoti istituzionali, debbono lavorare il doppio o il triplo, per tentare di fare andare bene le cose.

Perché quei pochi operatori che scelgono di lavorare oltre che per la giustissima pagnotta anche per una vera e propria mission, non passerà molto tempo che si saranno arresi: sotto il peso del burn-out, per mancanza di risorse, di strumenti, circondati dalla frustrazione per l’assenza di una precisa volontà politica.

Relegare la discussione ai principi generali, è cosa facile, non si corre il rischio dell’offesa, né di un calo di popolarità, ma il discorso cambia e l’analisi diventa spietata, quando si spogliano delle armature le reali condizioni del carcere, le reali intenzioni che si hanno sul penitenziario, i reali investimenti che si fanno sul versante Giustizia.

Se occorre una dentiera lo stato paga? E se occorre un medicinale particolare? Una cura particolare?

Io so che la spesa sanitaria in carcere è stata tagliata e non di poco.

Il lavoro è lo strumento principe di ogni trattamento rieducativo, di qualunque pedagogia dell’errore, eppure il lavoro che c’è, è quello che non esiste, e se anche ve ne fosse, è ridotto all’osso, perché anche questo capitolo ha subito tagli abnormi.

Non è con le leggine martoriate dai pensamenti-ripensamenti che si eviteranno i tanti e troppi suicidi silenziosi, le recidive galoppanti, le critiche incongruenti agli Abele, ai Caino.

In queste righe c’è poca proposta, servirebbe altro per rendere "Alta una Giustizia che solo apparentemente è sotto lo stesso cielo, perché ciascuno possiede il proprio orizzonte per carpirne il riflesso migliore".

I tragici eventi che sovente accadono turbano le giornate e le notti di tanti cittadini incolpevoli, ma so anche che in una cella sovraffollata, abbandonati a se stessi, occorre morire due volte, per arrivare a sera e poi a mattina ancora vivi.

Dunque della dignità foss’anche dell’ultimo degli uomini ne parliamo un’altra volta.

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