Sui
giovani, sui loro comportamenti, sugli stili di vita che permeano i
minuti e le ore da trascorrere in famiglia, in classe, in oratorio,
al pub, nella stessa identica terra di nessuno, con le inevitabili e
conseguenti condotte criminogene, continuo a sentire domande talmente
banali e sonnolente da fare rabbrividire, di contro giungono risposte
tremebonde e inconcludenti, che lasciano gli interrogativi a bocce
ferme, così tutto si mimetizza dentro una sorta di tempesta
mediatica, affinché nugoli di sabbia negli occhi consentono di
non vedere, non sentire, in fin dei conti sono accadimenti che ci
inseguono dalla notte dei tempi, certo, dico io, finchè non ci
scappa il morto.
Allora
e solo allora c’è un risveglio obbligante della rete
neuronale, che costringe a correre immediatamente ai ripari, a
prendere atto che non si tratta di bullismo, disagio relazionale,
disconoscimento delle regole, perché volenti nolenti, siamo
già all’inferno, dove la trasgressione veste i panni
consunti della devianza. Ragazzini
violentano ripetutamente per giorni, per mesi, una coetanea, in
gruppo pestano giù duro fino a scarnificare al fondo delle
ossa.
Adolescenti
con in tasca il tira pugni, il serramanico, come a dire: io non sono
trasparente, io non sono un fantasma, io non ci sto dietro a tutti
voi. Bicipite palestrato e arnese freddo come una lama, diventano un
connubio affascinante-devastante, una presenza costante in chi nulla
più ha da raccontare, da inventare, da creare attraverso la
fatica di un ragionamento appropriato con cui confrontarsi e magari
imparare che gridare e imprecare non sempre rappresenta la realtà,
la verità, se non soltanto la tua. Oppure quanto possa
diventare importante il sudore di un impegno, l’espulsione
delle tossine.
Invece
ecco la scelta opposta e contraria ad ogni più naturale
libertà, è la resa farsi avanti, a nascondersi
nell’impetuosità e imbizzarrimento del fendente secco,
uno solo, definitivo, bastante a inchiodare la vita di un innocente.
Penso che a volte siano le convinzioni costruite a misura, emulazione
copia incolla, a creare le condizioni del dis-valore non dei nuovi
digitali, ma dei nuovi esterefatti bamboccioni assassini, risultato
opprimente delle parole lasciate in giro come mine vaganti dagli
adulti e sempre dagli stessi stoltamente autorizzate.
Il
famoso detto del coltello dalla parte del manico, non significa
niente se non accompagnato da un esempio importante, un esempio
appunto, quello che insegna cos’è il rispetto di se
stessi e degli altri, attraverso una testimonianza che non è
di comodo, ma un fare quotidiano ripetuto, dunque autorevole. Quando
un adolescente pianta una lama nel cuore di un coetaneo, non c’è
attenuante che dir si voglia, soprattutto per chi ha dato per
scontato che in casa propria, fatti di questo genere non potessero
verificarsi, anzi, forse possono accadere, ma a casa tua non nella
mia. La morte di un ragazzo innocente richiama sempre la necessità
di delucidazioni, spiegazioni, l’indagine sulle motivazioni
che hanno spinto all’azione irresponsabile.
Nuovamente
saranno le parole valigia a farla da padrone, a rendere comprensibile
l’incomprensibile, molteplicità di contenitori in cui
costringere a stare al suo posto tutto e il contrario di tutto.
Qualcosa di questa tragedia mi riporta al titolo di un
libro edito dalla Comunità Casa del Giovane di Don Enzo
Boschetti: Vittime e carnefici, tutt’intorno stanno gli
indifferenti, nella società io vinco tu perdi non si fanno
prigionieri. Conosco bene i dazi da pagare per la scoperta del mito
della forza, il cancro del dolore e della sofferenza imposta, forse
occorre ripartire dai valori che già ci sono per contrastare
una cultura dilagante della frode grammaticale e della violenza che
appiana fintamente e drammaticamente ogni divergenza.
Vincenzo
Androus - Counselor,
Tutor Comunità "Casa del Giovane" Pavia
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