Un
rogo, fiamme alte, nel silenzio di chi è costretto all’angolo;
d’improvviso le grida, la via di fuga, chi vive potrà
ancora piangere, chi invece muore rimane dannato e oppresso dai
chiodi delle parole, dei giudizi, delle condanne scagliate a priori.
Tre corpicini annientati, disintegrati, polverizzati più della
cenere, bambini neppure incerottati, bambini trucidati.
Qualcuno
dice che sono soltanto chiacchiere quando si afferma senza se e senza
ma, che donne, vecchi, e bambini non si toccano mai, perché a
suo dire si tratta della dicitura di qualche sottocultura non meglio
identificata. Come qualcuno ben più lungimirante di me, ha ben
scandito alla nazione: un omicidio è sempre un omicidio, ma
quando di mezzo ci sono bimbi innocenti, allora si tratta di qualcosa
ben al di sotto di qualsiasi comprensione umana. Le azioni di morte
come queste che dovrebbero incendiare le coscienze pressoché
dormienti, stanno supine a un mercato sottobanco che vende più
del grande magazzino di turno, quello dell’imbecillità
sub-umana. Si susseguono i racconti di quanto accaduto, come sassi
che deflagrano ogni lamento apparentemente convissuto nel dolore che
accomuna, invece permane un imbizzarrimento che innalza a preghiera
la presenza ingombrante dell’indifferenza, senza più
maschera per recitare una preghiera di circostanza. Si muore di
pistola, di fucile, di bombe, ma anche e soprattutto di deliri di
onnipotenza, Si muore in barba ai sentimenti, alla giustizia,
all’amore lacerato e negato. Si continua a morire
solitudinarizzati.
Le
immagini di questa indicibile vergogna ci colpiscono con la vicinanza
di quelle drammatiche assenze, ridotte a bisbigli di incapacità
ad ascoltare, osservare, assai meglio rimanere indietro, in tutta
sicurezza, a fare smorfie di disgusto.
Ma
ancora si inciampa, si sbatte il viso sul duro, perché sono
proprio quelli dietro che passano sopra agli altri per giungere
illesi alle proprie dimore, per non rimanere contaminati dall’ammasso
cerebrale che non intende fare prigionieri. Giornali, televisioni,
circoli elitari, inondano le nostre case, le nostre tavole imbandite
di proposte, di possibilità, di occasioni e di necessità,
ognuno è padrone delle sue carte truccate, ciascuno con la
sua buona impostura, finanche la compassione.
La
ragione, se ancora c’è la ragione, sta a Dio oppure
all’infamia di ultima generazione?
Sta
sempre e soltanto a Dio un sussulto di giustizia, di solidarietà
costruttiva, di coraggio e sfida alla quotidiana follia.
Oppure
è necessario mettere da parte le liturgie drammaturgiche sulle
nefandezze disumane, affinché il primo strato di lingua,
diventi urlo di ognuno e di ciascuno, una vera e propria ingerenza
umanitaria, invasiva e pervasiva con il corpo e con il cuore, mai
con il fuoco spinto alle spalle, come può fare il più
vile dei traditori di ogni possibile umanità, anche della più
derelitta e sconfitta.
Vincenzo
Androus - Counselor,
Tutor Comunità "Casa del Giovane" Pavia
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