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Indulto...
di Vincenzo Andraous  ( vincenzo.andraous@cdg.it )

16 gennaio 2007






... e ripensamento culturale


LUCI NEL BUIO - 53

Quali programmi e progetti sono stati approntati a seguito dell’indulto, affinché chi è uscito di galera non abbia a ritornarvi. Per rendere attuabile un cambiamento, ben consapevoli che nessuno si salva da solo.

Dove abitano le alternative alla strada una volta ritornati ai bordi della carreggiata?

E’ davvero importante generare possibilità di ricostruzione su quanto ancora resta a ognuno, invece la realtà impone ben altra aspettativa, nelle carceri le persone muoiono nel silenzio più colpevole, non scontano soltanto una condanna, ma un sovrappiù che consiste nelle sofferenze fisiche e psicologiche, mentre, fuori, gli uomini ritornati liberi, inciampano negli abbandoni e nelle rese di una sconfitta che non esprime alcuna pietà.

Il carcere così com’è non funziona, ci sono situazioni devastanti, degradanti: alcune assolutamente non scelte, né mai totalmente descritte dalla cronaca o dalla romanzata fiction televisiva. Ancor più permane il parassitismo strutturale che non consente responsabilizzazione nell’irresponsabile, ma altera e compromette ogni processo cognitivo, creando infantilizzazione della persona detenuta, e di contro una sorda commiserazione.

Allora è davvero urgente che questo atto di clemenza, sottenda un valore in sé e induca la volontà a progettare e organizzare percorsi alternativi al carcere, per evitare effetti spostamento-trascinamento.

Per molti, l’indulto da poco concesso è un atto di clemenza sinonimo di lassismo, un sentimento di pietà impropria. Personalmente ho imparato a mie spese a non incamminarmi per scorciatoie e veloci ammende, e proprio per questo comprendo che quest’istanza salita alta, non è stata un’intercessione demenziale.

Quale perdono è tale se non è accompagnato da espiazione e risarcimento?

Se ho fatto qualcosa di illegale, di profondamente ingiusto, debbo pagare il mio debito alla collettività. E nonostante la mia ritrosia al pagare passivamente quel debito e affidandomi piuttosto al tentativo di riparare in qualche modo al male fatto, posso affermare che in carcere il debito si paga, e lo si paga smisuratamente: perché lontani da ogni umanità. Allora indipendentemente dal richiamo a fratellanze allargate, occorre dare un senso alla nostra umanità: ritrovandola, noi per primi, noi uomini ristretti, noi che non siamo fantasmi, ma persone consapevoli di avere reciso relazioni e convinti di ritornare a costruire del bene. Il bene che è davvero di tutti.

Forse da questo indulto inaccettato può derivare un ripensamento culturale per cui la pena e il carcere non risultino proiezioni di risentimenti e di vendetta, bensì assunzione di responsabilità commisurate alle reali capacità delle persone detenute.

Vincenzo Andraous

Responsabile Centro Servizi Interni - Comunità Casa del Giovane - via Lomonaco 43 - Pavia 27100

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