Premessa
Ripropongo
il testo di una mia recensione critica dedicata ad un romanzo breve,
scritto in forma epistolare da Paolo Saggese, "Lettera a un
Giudice", incentrato sul tema della corruzione. L’autore lo
definisce un "racconto fantastico", ma temo che non sia
affatto immaginario, né surreale. È proprio questo il
limite principale del libro, che tenta di discostarsi e prendere le
distanze dalla realtà, senza riuscire ad intaccarla
minimamente. Per mettere in discussione un ordinamento
politico-istituzionale che è profondamente, organicamente
marcio e corrotto, temo che occorra una presa di posizione assai più
coraggiosa intellettualmente, una critica serrata e radicale che
provi a mettere seriamente in discussione le radici e le fondamenta
stesse del sistema di potere e dei rapporti di forza vigenti. Le
radici strutturali affondano nel dominio di classe del capitalismo e
dell’alta borghesia che detiene il controllo dei principali mezzi di
produzione e di distribuzione economica, nonché il potere
politico incarnato in alcuni organismi istituzionali ed
amministrativi nazionali e sovranazionali, che non sono altro che
"mega-comitati di affari". Se non si coglie una siffatta
complessità dialettica e non si prende atto di un fenomeno
strutturale che è assai più vasto, articolato e
controverso di quanto si voglia far credere, la piaga sociale della
corruzione non verrà mai inquadrata e compresa nella sua
entità reale, nella sua essenza intrinseca, cioè
connaturata agli assetti capitalistici dominanti. Di conseguenza, non
potrà mai essere estirpata in modo radicale e definitivo dalla
nostra esistenza quotidiana.
Recensione
di Lettera a un Giudice
Ho
letto "Lettera a un Giudice" di Paolo Saggese. È un
bel romanzo epistolare che racconta l’amara vicenda, non
autobiografica (almeno così precisa l’autore), di un
"secchione" (inteso qui in un’accezione simpatica) che, non
essendo raccomandato, fallisce la prova di un concorso per dirigenti
pubblici, per cui decide di rivolgersi ad un magistrato per offrire
libero sfogo al suo sdegno contro la corruzione della società.
La trama narrativa è ambientata in un paese immaginario
denominato Repubblica dei Pomodori. L’idioma nazionale è il
pomodorese, i gendarmi sono pomodoresi, tutto è pomodorese.
Certo, l’autore non sembra essersi arrovellato troppo l’immaginazione
per inventare nomi di fantasia. Non mi pare originale l’idea
ispiratrice che stimola la narrazione. La passione per il grande
scrittore siciliano (Leonardo Sciascia) si evince dai frequenti
richiami alle opere e ai personaggi sciasciani: Candido, A ciascuno
il suo, Il giorno della civetta ed altri contenuti nel romanzo. Il
tratto che forse risulta meno originale, risiede in uno spunto
ideologico moralistico ovvero (come si direbbe oggi) giustizialista.
Questa valutazione critica non vuol essere affatto una stroncatura
nei confronti della prima fatica letteraria di questo autore mio
conterraneo. Il quale è un intellettuale esperto in lettere
classiche, umanista e critico letterario, per cui non potrei
competere con l’autorità e l’erudizione dello studioso. Non
possiedo la perizia necessaria ad esprimere un giudizio pertinente a
livello tecnico-letterario. Mi limito ad osservare che il registro
stilistico del romanzo, per quanto lieve e scorrevole, nient’affatto
stucchevole, né volgare (ed è già tanto di
questi tempi) non risponde al mio personale gusto estetico. Trattasi
di un giudizio soggettivo e relativo. Il romanzo si legge tutto d’un
fiato, non è mai tedioso, ma non sono riuscito ad intravedere
il fuoco che infiamma il genio, l’inquietudine o il pathos che assale
lo "spirito guerriero" dello scrittore. Per me la
letteratura e l’arte non sono uno "specchio" che riflette
il mondo reale, bensì una sorta di "martello" che
picchia sull’incudine con furia e sofferenza per plasmare e
modificare lo stato di cose esistente. Scrivere, dipingere, scolpire,
esigono un ardore militante, una tensione o una pulsione
rivoluzionaria. È una battaglia in cui l’artista si cimenta in
modo indiretto, senza tessere di partito. Ciò esalta il valore
autentico dell’arte, che altrimenti non sarebbe in grado di esternare
nulla. Aggiungo una chiosa conclusiva, ma non esaustiva. Non basta
saper scrivere per fare di un autore un grande scrittore.
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