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Riconciliazione.
di Vincenzo Andraous  ( vincenzo.andraous@cdg.it )

1 luglio 2006





Rimanere fuori dalla società per tutto il tempo a venire?


  

LUCI NEL BUIO - 46

Stavo leggendo alcune dichiarazioni rilasciate a un quotidiano da Monsignor James Schianchi, affermazioni, a mio avviso, a cui obiettare, dissentire, ma senza per questo sottrarsi dall’effetto di una ulteriore sentenza. L’insegnante di teologia dell’Università Cattolica ha sottolineato: chi ha commesso un omicidio, ha solo un modo per riparare, rimanere fuori dalla società.

Di questi giorni è la concessione della grazia a Bompressi, la discussione su quella futura a Sofri, la proposta di amnistia per rendere a misura di uomo le nostre sgangherate e disumane prigioni. Mentre è di ieri l’onestà intellettuale di Chi non ha creato rifugi comodi alla propria coerenza, mi riferisco a quel Santo Padre da poco trapassato, fino all’Altro da poco giunto a noi, con identica fraternità e coscienza.

Rimanere fuori dalla società per tutto il tempo a venire?

Rimanerne fuori oltre un trentennio di reclusione scontata malamente e, nonostante un sopraggiunto riesame critico del passato, un mutamento interiore e una nuova condotta sociale? Rimanerne fuori dimentichi della Costituzione, delle leggi e delle norme vigenti, rimanerne fuori per sempre, ai margini, senza più possibilità di riparare al male fatto?

Non sono sicuro della somma degli errori o della loro detrazione per giungere a questa linea di confine, che dovrebbe demarcare il giusto dall’ingiusto, soprattutto il modo per affrancarsi dal passato non certamente per dimenticarne i pesi che gravano come macigni. Rimanere fuori dalla società è l’unica riparazione possibile per il reo?

Nasce il dubbio che si tratti di una confutazione draconiana, una esplicitazione che mostra, senza veli a nascondere, la stanchezza del parlarsi sovente addosso, disimpegnando la riflessione da qualunque soluzione dei problemi endemici della Giustizia. L’uomo della condanna e l’uomo della pena, gli istituti di riconciliazione per gli uomini nuovi, per coloro che hanno scontato parte della pena, per coloro che hanno ammesso la sconfitta sulle proprie macerie e miserie umane.

Per chi paga il conto alla storia del paese e per chi lo paga nelle tragedie causate agli innocenti, per chi grida la propria innocenza attraverso un silenzio mai verbale. Riparazione, riconciliazione, sono dimensioni interiori che l’individuo raggiunge a seguito di "un lungo e lento viaggio sottocarico di ritorno", sono cambiamenti di mentalità e traguardi possibili perché essi stessi albergano sottopelle nella società, attraverso sensibilità differenti, coinvolgendo la collettività stessa nelle sue diverse espressioni, e ciò, dentro e fuori di un carcere, sopra e sotto una doverosa esigenza di giustizia da parte di coloro che hanno subito la tragedia inferta.

"Liberare i prigionieri " nell’anno giubilare, " Visitare i carcerati " nel precetto evangelico, " E’ venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto" nel modello rivoluzionario del Maestro. Forse queste sono manifestazioni Alte, per chi come me sta piegato alle proprie lentezze, ma possono farci interrogare sull’utilità di una pena che non consente riscatto, che nega un percorso di vocazione sociale.

Possono farci individuare il rischio insito in una condanna che costringe il detenuto a mantenersi in piedi attraverso il disvalore dell’omertà e della violenza, rigettando nell’oblio la speranza, e possono indurci a intravvedere il pericolo di una sua ancor più devastante involuzione. Quale senso trova una pena che infligge sordamente punizione, ma non riconosce alla sua funzione sociale il valore che sta al di là dell’apparenza, affinché il detenuto ritorni a essere "persona"?

Se è vero che il perdono non si chiede per ottenere sconti di pena, tanto meno lo si invoca per mezzo di una marca da bollo, è pur vero che il perdono è un’esigenza che sale alta, nel momento in cui ognuno, comprende che occorre guardare con occhi e sguardi nuovi, anzitutto dentro se stessi, affinché divenga quotidianità il rispetto per ogni persona, perché davvero preziosa.

Vincenzo Andraous

Responsabile Centro Servizi Interni - Comunità Casa del Giovane - via Lomonaco 43 -Pavia 27100

 

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