Pubblicato
su Lo
SciacquaLingua
Le
televisioni commerciali hanno riscoperto e portato a conoscenza del
grande pubblico l’uso delle vendite all’asta. Non c’è
un’emittente privata, infatti, che non proponga al
telespettatore, comodamente seduto in poltrona, l’acquisto di
un tappeto persiano o di un mobile d’epoca venduto all’incanto.
Siamo
sicuri, quindi, di suscitare l’interesse degli amici blogghisti
spiegando l’origine di questa vendita chiamata, appunto,
all’asta o all’incanto. Come sempre, a onta dei
detrattori, dobbiamo ricorrere al padre della nostra lingua, il
nobile latino: vendere
sub hasta, hastae subicere.
Spiegano,
in proposito, il Battisti e l’Alessio che questo modo di
vendere, tratto dalla locuzione latina sub
hasta vendere,
deriva dall’uso romano di vendere i beni dei debitori del
tesoro pubblico presso un’asta conficcata in terra, simbolo
della proprietà quiritaria. In seguito si disse anche vendere
alla tromba perché
tali vendite si annunciavano, appunto, col suono di una tromba
.Vendere
all’incanto,
cioè sempre all’asta, e al miglior offerente, proviene,
invece, dal tardo latino, il latino medievale in
quantum(composto
con ’in’ e ‘quantum’): a
quanto?,
sottinteso prezzo. Il venditore stabilisce un in
quantum,
cioè un prezzo iniziale, colui che offre di piú si
aggiudica l’asta, diventa, cioè, possessore dell’oggetto
posto “all’incanto”. Non si confonda, per tanto,
l’incanto, cioè la vendita all’asta, con
l’altro incanto nell’accezione
di incantesimo, magia.
Quest’ultimo termine ci è stato tramandato dal verbo
latino incantare,
composto di ‘in’ e ‘cantare’, intensivo di
‘canere’.
A
cura di Fausto
Raso
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