L’endocrinologo Benvenga sostiene che, fra le ipotesi più accreditate per spiegare questo balzo, è che possano aver avuto un ruolo le radiazioni nucleari, dopo l’incidente nucleare di Chernobyl. Tra l’altro, dati del tutto paralleli sono stati registrati negli ultimi 20 anni in Polonia.
Negli ultimi anni è anche cambiato il profilo dei pazienti: si è abbassata l’età di esordio della malattia ed è aumentato il numero di uomini colpiti. E’ possibile che certi inquinanti chimici vengano concentrati nella tiroide e qui modifichino le proteine del tessuto, facendo scattare la risposta autoimmune.
C’è di buono che la "curva" non potrà salire all’infinito. Conclude Benvenga: "Esiste un bacino di soggetti che possono ammalarsi: chi non ha i geni che predispongono alla tiroidite non potrà comunque sviluppare la patologia".
Conclusioni
Basta avere una minima cognizione sul funzionamento della tiroide per concludere che, di fatto, tale ghiandola (oltre tutte le sue funzioni metaboliche) sia come un filtro biologico capace di accumulare sostanze tossiche ambientali. L’ambiente, d’altronde, modifica anche il funzionamento del sistema immunitario che, divenendo più "sensibile", attacca più facilmente una struttura alterata.
Due ultime considerazioni:
- non è così importante il concetto della predisposizione genetica, in senso assoluto; infatti, un sistema immunitario reso "nervoso" da fattori tossici e/o emozionali, anche se non se la prende con la tiroide, finirà col colpire qualcos’altro!
- per quanto strano possa sembrare, è bene non dimenticare (siccome esiste un dialogo continuo fra sistema nervoso, endocrino e immunitario) quello che pensiamo finisce per influenzare ciò che siamo e che dobbiamo affrontare sotto forma di "insulti" dal mondo esterno; in questo modo, possiamo evitare di sentirci come canne al vento che possono solo subire.
Fonti
Giorgio Marchese - Medico Psicoterapeuta - docente di Psicologia fisiologica c/o la Scuola di Specializzazione in Psicoterapia ad Indirizzo Dinamico (SFPID) - ROMA