Questo
lavoro, rappresenta un breve ma intenso dialogo con una giovane
signora costretta a ripiegarsi su stessa nel tentativo di
metabolizzare un profondo dolore. A distanza di poco tempo
dall’evento, le sue domande rappresentano la prova di una grande
capacità introspettiva e di una considerevole quota di
consapevolizzazione delle cose che accadono nella mente. Un plauso è
d’obbligo, di fronte a cotanto valore
Caro
dottore, dopo la tragedia che mi ha colpito, non riesco a vedere la
vita in altro modo che come un qualcosa che sta a metà fra la
punizione e la costrizione, in attesa della mia morte che sarà
anticipata da quella di molti dei miei cari. E, quello che mi
addolora maggiormente, è che, la stessa sorte toccherà
anche i più piccoli e innocenti o coloro che, ancora, non sono
neanche nati...
La
vita, di fatto, è quello che accade mentre cerchiamo di
scoprire in che modo arrivare alle cose che, fin da piccoli,
credevamo essere importanti. Accade, a volte, che vicinissimo
all’obiettivo, la cosa ci sfugga di mano. Diventa come un
“perdersi” a un passo da tutto. Per quanto strano possa
sembrare, però, se osserviamo le vite degli altri ci
accorgiamo che, quasi sempre, in un modo o nell’altro si riprende il
cammino e si arriva in posti che, si scopre, erano quelli dove
volevamo arrivare. In pratica, è come una danza in cui ci
sembra (appunto) di perderci per, poi (ogni volta) ritrovarci.
Ed
è per questo che, un po’ alla volta, tutto riprende a scorrere
su binari fatti a posta per darci (di nuovo) il gusto di guardare al
presente, immaginando il futuro e poter dire: ”Io
ci sono. Di nuovo!”
E,
l’orfano, incontrerà un nuovo amore. Così è
scritto nelle Leggi (in fondo, non scritte) di Madre Natura.
Penso
spesso a mia madre che, prima di me, ha visto crescere dei bambini
(mio fratello e me, appunto) e mi chiedo se c’è un senso in
questa circolarità generazionale per cui, se ci pensiamo
bene, tutti ci ritroviamo a vivere le medesime esperienze per poi,
alla fine, terminare e “andar via”. A queste condizioni,
che senso ha mettere al mondo dei figli sapendo in anticipo che
soffriranno (se tutto va bene!) al momento del parto, si dovranno
adattare a tutti cambiamenti imposti (l’ingresso nel mondo della
scuola, l’inserimento nei gruppi di appartenenza, la difficile
ricerca di un lavoro, le pene d’amore, l’apprensione nella crescita
della propria prole, il dolore del distacco...) e, poi, da vecchi
(se sono fortunati) dopo aver perso gli affetti con i quali sono
cresciuti, attendere il momento del “commiato”?
La
parola chiave per rispondere alle giuste e sagge osservazioni è
“sentire”. Rendersi conto delle proprie emozioni, di cosa
fa sobbalzare il tono dell’umore, di quello che ci fa intenerire, di
quanto siano grandi le nostre paure (che, poi, sono simili alle paure
di quelli che ci hanno preceduti). Ecco, questo ci fa sentire “vivi”
e ci distingue dalla materia (apparentemente) immobile spingendoci ad
immaginare l’importanza del ruolo “umano” che rivestiamo.
In sostanza, diventa importante domandarci: cosa lasciamo, come
traccia di valore, nelle persone che amiamo? Senza di noi, sarebbe
stato uguale? E, se è vero che nessuno è
indispensabile, il fatto che ci siamo, può dare un contributo?
Questo
significa “vivere”.
Siamo
esploratori di un pianeta (in gran parte) sconosciuto, spinti dalla
curiosità di scoprire giocando. Il premio, per noi, sarà
quello di capire parte del “meccanismo”.
Ed
io, che davanti a tutto questo, ancora non riesco a godere e ad
apprezzare le mie “fortune”... Cosa mi è successo?
E, soprattutto, come riuscirò ad andare avanti?
Quello
che è stata costretta a subire, ha generato un forte dolore
che costituisce una sorta di perno attorno al quale gira quello che
accade dopo una grande frustrazione. Il dizionario della lingua
italiana definisce "dolore" quello
stato d’animo che si prova ogni qualvolta siamo costretti a
subire un patimento. Dal
dolore ci possono essere due derivazioni:
la
disperazione che
è quello stato d’animo aggiuntivo, la stessa differenza
che c’è tra lo stato d’ansia acuta e la perdita
del controllo per il panico; si determina quando tu non sai
cos’altro poterti aspettare, infatti disperazione è un
termine latino composito, significa allontanamento da ogni speranza;
perdi, dunque, la speranza e il controllo della situazione.
la
sofferenza che,
contrariamente a quello che si può immaginare, non è
qualcosa di negativo; infatti, la derivazione etimologica, indica
con il termine sofferenza quello stato d’animo particolare di
difficoltà in cui ci si ritrova quando si affronta un
problema... "resistendo". Ecco la differenza. Resistendo
perché? Non perché a noi piaccia soffrire, ma perché
la sofferenza fa parte dell’essere umano, perché è
quell’elemento risolto il quale, noi ci troviamo migliori nel
rapporto con noi stessi e nel rapporto con chi ci sta intorno.
Soffrire
è un termine composto che deriva dal latino e
significa "attività perturbata dell’animo,
come conseguenza a squilibri (o disequilibri) da mancato
appagamento". Qualcuno, nel tempo, ha concluso che la
sofferenza possa costituire l’unico mezzo valido ed efficiente,
in grado di rompere il sonno dello spirito e della ragione. E in
effetti, in determinate circostanze critiche, il cervello attiva il
meglio di sé per elaborare strategie efficaci alla risoluzione
del problema. Ogni epoca storica, a ben guardare, è
caratterizzata da momenti altalenanti compresi fra gioie e dolori.
Lei mi ha detto
che, il dolore che ho provato, mi ha messo nelle condizioni di
imparare a vivere da persona “seria". Questo significa
che non riuscirò a “sentire” le cose con la
leggerezza di prima?
Carissima,
tranquilla. Il termine “serio” è sinonimo di
responsabile, in quanto “presente” a ciò che
accade, per far si che, il tutto, si determini nel migliore dei
modi. In pratica, qualunque cosa farà (ascoltare della musica,
osservare un panorama, sintonizzarsi con la frequenza della persona
che ama, ritrovarsi con gli amici, immaginare una passeggiata per
nulla impegnativa) la vivrà per come deve essere: interamente,
a pieno.
In
conclusione,
affinchè le sia più chiara la direzione che prenderà
il colore dell’umore, nel profondo del suo animo, le riporto
l’estratto di una interessante riflessione estrapolata dal film “Uno
su Due” interpretato
da Fabio Volo:
“Ma
è possibile che uno impara a camminare, a parlare, ad andare
in bicicletta, a lavorare, a fare il minestrone, l’amore, e poi il
mondo continua ad andare avanti senza di lui... Senza esitazioni,
senza un ripensamento? Possibile che io sono solo un vaso di coccio
che precipita nel vuoto? Eppure, io voglio conoscere la verità,
qualunque sia; perché se sai le cose, sei libero. In fondo, ho
bisogno di Amore. Ci sono molte cose che non vorrei perdere adesso...
Dio quante! L’alba, il tramonto, il bellissimo grande mare, gli occhi
degli altri. Gli altri: vivi, come me, ora”
G.M. - Medico Psicoterapeuta (22 dicembre 2017)
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