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Di fronte a un grande dolore...
di Giorgio Marchese  ( direttore@lastradaweb.it )

2 ottobre 2019



Cosa fare, per ritrovare il bandolo della matassa?


Questo lavoro, rappresenta un breve ma intenso dialogo con una giovane signora costretta a ripiegarsi su stessa nel tentativo di metabolizzare un profondo dolore. A distanza di poco tempo dall’evento, le sue domande rappresentano la prova di una grande capacità introspettiva e di una considerevole quota di consapevolizzazione delle cose che accadono nella mente. Un plauso è d’obbligo, di fronte a cotanto valore

Caro dottore, dopo la tragedia che mi ha colpito, non riesco a vedere la vita in altro modo che come un qualcosa che sta a metà fra la punizione e la costrizione, in attesa della mia morte che sarà anticipata da quella di molti dei miei cari. E, quello che mi addolora maggiormente, è che, la stessa sorte toccherà anche i più piccoli e innocenti o coloro che, ancora, non sono neanche nati...

La vita, di fatto, è quello che accade mentre cerchiamo di scoprire in che modo arrivare alle cose che, fin da piccoli, credevamo essere importanti. Accade, a volte, che vicinissimo all’obiettivo, la cosa ci sfugga di mano. Diventa come un “perdersi” a un passo da tutto. Per quanto strano possa sembrare, però, se osserviamo le vite degli altri ci accorgiamo che, quasi sempre, in un modo o nell’altro si riprende il cammino e si arriva in posti che, si scopre, erano quelli dove volevamo arrivare. In pratica, è come una danza in cui ci sembra (appunto) di perderci per, poi (ogni volta) ritrovarci.

Ed è per questo che, un po’ alla volta, tutto riprende a scorrere su binari fatti a posta per darci (di nuovo) il gusto di guardare al presente, immaginando il futuro e poter dire: ”Io ci sono. Di nuovo!”

E, l’orfano, incontrerà un nuovo amore. Così è scritto nelle Leggi (in fondo, non scritte) di Madre Natura.

Penso spesso a mia madre che, prima di me, ha visto crescere dei bambini (mio fratello e me, appunto) e mi chiedo se c’è un senso in questa circolarità generazionale per cui, se ci pensiamo bene, tutti ci ritroviamo a vivere le medesime esperienze per poi, alla fine, terminare e “andar via”. A queste condizioni, che senso ha mettere al mondo dei figli sapendo in anticipo che soffriranno (se tutto va bene!) al momento del parto, si dovranno adattare a tutti cambiamenti imposti (l’ingresso nel mondo della scuola, l’inserimento nei gruppi di appartenenza, la difficile ricerca di un lavoro, le pene d’amore, l’apprensione nella crescita della propria prole, il dolore del distacco...) e, poi, da vecchi (se sono fortunati) dopo aver perso gli affetti con i quali sono cresciuti, attendere il momento del “commiato”?

La parola chiave per rispondere alle giuste e sagge osservazioni è “sentire”. Rendersi conto delle proprie emozioni, di cosa fa sobbalzare il tono dell’umore, di quello che ci fa intenerire, di quanto siano grandi le nostre paure (che, poi, sono simili alle paure di quelli che ci hanno preceduti). Ecco, questo ci fa sentire “vivi” e ci distingue dalla materia (apparentemente) immobile spingendoci ad immaginare l’importanza del ruolo “umano” che rivestiamo. In sostanza, diventa importante domandarci: cosa lasciamo, come traccia di valore, nelle persone che amiamo? Senza di noi, sarebbe stato uguale? E, se è vero che nessuno è indispensabile, il fatto che ci siamo, può dare un contributo?

Questo significa “vivere”.

Siamo esploratori di un pianeta (in gran parte) sconosciuto, spinti dalla curiosità di scoprire giocando. Il premio, per noi, sarà quello di capire parte del “meccanismo”.

Ed io, che davanti a tutto questo, ancora non riesco a godere e ad apprezzare le mie “fortune”... Cosa mi è successo? E, soprattutto, come riuscirò ad andare avanti?


Quello che è stata costretta a subire, ha generato un forte dolore che costituisce una sorta di perno attorno al quale gira quello che accade dopo una grande frustrazione. Il dizionario della lingua italiana definisce "dolore" quello stato d’animo che si prova ogni qualvolta siamo costretti a subire un patimento. Dal dolore ci possono essere due derivazioni:

  • la disperazione che è quello stato d’animo aggiuntivo, la stessa differenza che c’è tra lo stato d’ansia acuta e la perdita del controllo per il panico; si determina quando tu non sai cos’altro poterti aspettare, infatti disperazione è un termine latino composito, significa allontanamento da ogni speranza; perdi, dunque, la speranza e il controllo della situazione.

  • la sofferenza che, contrariamente a quello che si può immaginare, non è qualcosa di negativo; infatti, la derivazione etimologica, indica con il termine sofferenza quello stato d’animo particolare di difficoltà in cui ci si ritrova quando si affronta un problema... "resistendo". Ecco la differenza. Resistendo perché? Non perché a noi piaccia soffrire, ma perché la sofferenza fa parte dell’essere umano, perché è quell’elemento risolto il quale, noi ci troviamo migliori nel rapporto con noi stessi e nel rapporto con chi ci sta intorno.

Soffrire è un termine composto che deriva dal latino e significa "attività perturbata dell’animo, come conseguenza a squilibri (o disequilibri) da mancato appagamento". Qualcuno, nel tempo, ha concluso che la sofferenza possa costituire l’unico mezzo valido ed efficiente, in grado di rompere il sonno dello spirito e della ragione. E in effetti, in determinate circostanze critiche, il cervello attiva il meglio di sé per elaborare strategie efficaci alla risoluzione del problema. Ogni epoca storica, a ben guardare, è caratterizzata da momenti altalenanti compresi fra gioie e dolori.


Lei mi ha detto che, il dolore che ho provato, mi ha messo nelle condizioni di imparare a vivere da persona “seria". Questo significa che non riuscirò a “sentire” le cose con la leggerezza di prima?

Carissima, tranquilla. Il termine “serio” è sinonimo di responsabile, in quanto “presente” a ciò che accade, per far si che, il tutto, si determini nel migliore dei modi. In pratica, qualunque cosa farà (ascoltare della musica, osservare un panorama, sintonizzarsi con la frequenza della persona che ama, ritrovarsi con gli amici, immaginare una passeggiata per nulla impegnativa) la vivrà per come deve essere: interamente, a pieno.

In conclusione, affinchè le sia più chiara la direzione che prenderà il colore dell’umore, nel profondo del suo animo, le riporto l’estratto di una interessante riflessione estrapolata dal film “Uno su Due” interpretato da Fabio Volo:

Ma è possibile che uno impara a camminare, a parlare, ad andare in bicicletta, a lavorare, a fare il minestrone, l’amore, e poi il mondo continua ad andare avanti senza di lui... Senza esitazioni, senza un ripensamento? Possibile che io sono solo un vaso di coccio che precipita nel vuoto? Eppure, io voglio conoscere la verità, qualunque sia; perché se sai le cose, sei libero. In fondo, ho bisogno di Amore. Ci sono molte cose che non vorrei perdere adesso... Dio quante! L’alba, il tramonto, il bellissimo grande mare, gli occhi degli altri. Gli altri: vivi, come me, ora”


G.M. - Medico Psicoterapeuta (22 dicembre 2017)



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