Me
ne stavo disteso in piscina rilassato e tranquillo, acqua blu, un
cielo ribaltato ai miei piedi.
Una
giornata di sole e di riposo domenicale, ci voleva proprio, un
bisogno feroce di staccare la spina, la necessità di rimanere
in scia a quel dipinto tra le dita.
A
pochi passi dal mio lettino, una coppia con qualche anno adagiato nei
capelli, stanno parlottando con una loro conoscente incontrata
casualmente pochi istanti prima.
Le
parole sono pronunciate con perentorietà, nonostante gli
schiamazzi intorno impossibile non farci caso, le voci esprimono
consapevolezza di chi sa quel che sta dicendo, si presume partorite
dalla conoscenza del tema in oggetto.
“Hai
sentito che hanno scarcerato quello? Tre anni ed è già
fuori, è ospite in quella comunità da quel prete
famoso. Proprio vero, in galera non ci sta più nessuno, tutti
fuori sti buontemponi, a fare quel che facevano prima, come
quell’altro amichetto prima di lui. Non c’è niente
da fare... questi non cambiano mai, ce l’hanno nel Dna
l’irrefrenabile desiderio a reiterare i reati!
In
che paese viviamo, non ci sono leggi, norme, regole, ognuno fa e
disfa come meglio crede, tanto non c’è pena certa, non
c’è castigo, non c’è sanzione, la pena
retributiva è soltanto una mera utopia”.
Pochi
attimi e la signora si congeda mentre la coppia di amici ritorna
serenamente ad abbronzarsi.
Lì
per lì ho sorriso sotto i baffi, mentre la mia compagna con
gli occhi chiusi e il sole ben calcato sul viso, non ha colto una
sola parola della chiacchierata da poco conclusa.
Un
malessere sottile mi attraversa la testa, il petto, la pancia, come a
volermi significare che non c’è un bel niente da ridere,
anzi, permane discutibile il mio silenzio, somigliante a una sorta di
comoda ritirata.
Per
tutto il pomeriggio ho pensato a quelle affermazioni, come a volte
l’informazione sia ammorbata a tal punto da fare ammalare di
indifferenza il cittadino comune, attraverso una vera e propria
inondazione di notizie e accadimenti spesso comunicati con lo
strumento dell’appropriazione indebita, costringendo la verità
a piegarsi al danno minore.
Eppure
il carcere non è quello raccontato con la tecnica del “Bar
Sport”, è piuttosto uno scafo affondato
dall’ingiustizia, uno spazio scomposto dai tanti vuoti a
perdere, e come traspare evidente dalle affermazioni di quei
villeggianti, è percepito come una sorta di scivolata
intellettuale.
Le
carceri italiane sono sovraffollate di cose, di numeri, di oggetti,
di corpi e storie accatastate ma rese inesistenti da colpevoli che
non debbono assolutamente fare comunione con alcun innocente.
Chissà
se sarà davvero così.
Ho
ascoltato, sono rimasto muto come un pesce, con un sorriso da ebete
sulle labbra, invece avrei dovuto intervenire, tentare di dire a
quelle persone, che in carcere ci si va... e come!
Soprattutto
quelli che si credono i più furbi, in carcere si paga il dazio
(e come!), fino in fondo, anche per quarant’anni checchè
se ne dica bellamente il contrario: una, due, tre, condanne, una
sopra all’altra, moltiplicate all’infinito, più in
là della stessa condanna erogata dal Giudice, dal Tribunale,
dal popolo Italiano.
A
volte il carcere ti seppellisce, ti annienta, ti devasta così
profondamente da diventare quel dato statistico che fa di te non più
soltanto un detenuto, ma un vero e proprio malato, spesso terminale,
ma questo non bisogna dirlo.
Le
persone non cambiano mai?
Sul
carcere pregiudizi e spallucce più o meno pilotate da sempre
hanno fatto fallire rinnovamento e ideale rieducativo.
Ugualmente
gli uomini cambiano “nonostante” questo carcere capovolto
negli scopi e nelle sue utilità, sarebbe bene che la
collettività guardasse con occhi e sguardi nuovi a cosa non
accade mai in quelle celle, quando per le legge, per norma, per
quella Costituzione così tanto sbandierata, dovrebbe accadere,
non per un atto puramente pietistico, più semplicemente per un
dovere che sta a diritto di ogni tutela e interesse collettivo, in
quella giustizia giusta che sta innanzitutto dalla parte delle
vittime ma proprio per questo non abbandona i rei.
Come
ho già detto in passato: una comunità è vera
quando aperta allo scambio relazionale e delle idee, perché a
volte si ha la sensazione di non avere nulla da dare che già
non ci sia.
Tranne
che la voglia e la volontà di crescere insieme.
Vincenzo
Androus - Counselor,
Tutor Comunità "Casa del Giovane" Pavia
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