Il
senso di inadeguatezza "colpisce" più i giovani o
gli adulti? Una simile situazione, può generare depressione o
stati di ansia?
Quando
pensiamo a qualcosa, impariamo o proviamo ad imparare qualcosa, ci
troviamo in una condizione di difficoltà perchè temiamo
di non essere in grado di saperla esprimere compiutamente.
Sono
più i giovani o più gli adulti a sentirsi inadeguati?
Quanti
adulti (che una volta sono stati giovani "dentro")
dichiarano di aver voluto chiudere con lo studio perchè non
riuscivano a fare entrare nella propria mente, più alcunché?
E’
una sensazione che parte, inconsapevolmente e presuntuosamente, da un
presupposto errato: generare delle preoccupazioni che riguardavano la
capacità di esprimere il risultato di una preparazione, senza
ancora aver terminato il processo di apprendimento specifico e,
quindi, in definitiva, ben prima di poter creare la preparazione che
cerchiamo evidenziare!
Probabilmente
questo è un elemento che accomuna giovani e adulti,
adolescenti e no. Probabilmente non c’è un’età
in cui il senso di inadeguatezza non viene generato o percepito.
Questo, in fondo, è un augurio perchè, il sentirsi
inadeguati è l’unico momento in cui noi percepiamo di
dover trovare una soluzione.
Secondo
lo Psichiatra Ferdinando Pellegrino l’autoefficacia è
la chiave del successo, come spiega nel suo saggio Personalità
e autoefficacia: come allenare ragioni ed emozioni. In media,
infatti, abbiamo tutti la stessa intelligenza: il problema è
che non la utilizziamo tutti allo stesso modo. Il talento non è
genetico, ma frutto di una costante applicazione. La valutazione
classica del quoziente intellettivo dimostra che quasi la metà
delle persone ha lo stesso livello di intelligenza: il 46% va dai 90
ai 109 e soltanto l’1% arriva a livelli tra 120 e 139. Si
tratta di valori che, pare, non aumentano né diminuiscono con
l’età: ciò che varia, in ogni fase della vita, è
semplicemente l’utilizzo che ne facciamo.
Sostiene
lo psichiatra Pellegrino: "Spesso l’intelligenza
fallisce perché, pur potendo vivere bene, molti scelgono
modalità disfunzionali, dal fumo alle droghe, complicandosi
l’esistenza e perdendo di vista gli obiettivi fondamentali. In
questi casi viene penalizzata la creatività e il talento.
L’autoefficacia è un preciso atteggiamento mentale che
spinge a dare il meglio di sé in ogni circostanza, unendo gli
aspetti cognitivi e quelli emotivi. Accanto alla razionalità,
infatti, si devono utilizzare le emozioni; sbaglia chi le considera
un ostacolo al progredire della ragione. Il livello di soddisfazione
del presente è un indice importante per misurare la salute
psicologica. Bisogna, inoltre, rafforzare l’autostima, il che
presuppone l’accettazione di se stessi; solo così si
affrontano i compiti difficili come sfide da vincere piuttosto che
come pericoli da evitare".
Probabilmente,
alla lunga, ci stanchiamo perchè, quando ci attiviamo,
generiamo stress. Ogni mattina, quando apriamo gli occhi,
svegliandoci, connettiamo la parte inconsapevole a quella
consapevole, contestualizzandola nel tempo e nello spazio. In
pratica, in una frazione di secondo, è come se innescassimo un
processo di auto apprendimento che ci consente di ricordare chi siamo
e cosa abbiamo fatto fino a quel momento. Maggiore è la nostra
"intensità qualitativa", maggiore è il flusso
di informazioni che dobbiamo veicolare nella nostra coscienza "spazio
temporale".
Giovani,
meno giovani...
Più
passa il tempo ma, soprattutto, maggiore è il flusso in
termini qualitativi di emozioni che si vanno a produrre, più
impegno ci vuole per connettersi con ciò che siamo. È
vero, il tempo serve per renderci migliori, il prezzo che paghiamo
per renderci migliori è la necessità di doverci
attivare maggiormente. Forse quando sentiamo di aver raschiato il
fondo del barile (il nostro barile), oppure quando il mondo esterno
non ci mette nelle migliori condizioni operative, dopo un pò,
dopo un bel pò, probabilmente vorremmo non attivarci più,
vorremmo prenderci una pausa, vorremmo uscire da questa nostra
storia.
E
quando qualcuno, ascoltandoci, crederà di trovarsi al cospetto
di un depresso, proviamo a rispondergli: "Forse con quello
che dico, ti faccio vibrare quelle corde del tuo animo che ti fanno
paura. Non preoccuparti perché stiamo entrando in empatia, in
sintonia, perché sono cose che provano tutti e che, tutti,
avrebbero voluto ascoltare; in fondo noi, conduciamo la nostra
esistenza. Ma perché? Che senso ha? Più intensamente
viviamo, meno tempo ci resta".
Probabilmente,
il senso che possiamo dare a tutto questo, consiste nel cercare di
creare delle esperienze che ci facciano riscaldare interiormente per
volerne ancora e scoprire cos’altro ci riserva il futuro.
Giorgio
Marchese – Medico
Psicoterapeuta, Counselor(23 maggio 2016)
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