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In caso di ansia...
di Giorgio Marchese  ( direttore@lastradaweb.it )

17 luglio 2015


Il Counseling come compagno di viaggio, al di là di luoghi comuni e malintesi.


 

Counseling, per una vita migliore.

L’ansia è un disturbo sul quale circolano molti malintesi e luoghi comuni da sfatare. Per tentare di fare chiarezza su questo tema, l’Anxiety Disorders Association of America ha pubblicato un interessante documento, più di un anno fa, che rimane ancora molto attuale. Primo punto da chiarire è quando si possa parlare di vero disturbo e quando invece l’ansia sia da considerare normale, se non addirittura positiva.

"Purtroppo diamo lo stesso nome a due manifestazioni ben diverse - spiega Laura Bello, direttore del Centro disturbi d’ansia all’ospedale San Raffaele di Milano - L’ansia buona è quella che ci consente di stare in allerta, per elaborare le risposte più appropriate a novità come un esame, un colloquio di lavoro, o anche solo la preparazione della valigia per le vacanze. In questi casi è del tutto fisiologico provare inquietudine. L’ansia diventa invece patologica quando scatena un disagio profondo e costante".

Non è vero che la strategia migliore per controllare l’ansia sia evitare le fonti di stress ed essere continuamente rassicurati da parenti e amici.

Continua la dott.ssa Laura Bello: "Le condotte di evitamento magari riducono frequenza e intensità degli episodi, ma compromettono le condizioni del paziente che si demoralizza, prova sensi di colpa e d’inadeguatezza, diventa dipendente da figure di riferimento che lo rassicurano, con il risultato che l’autonomia si riduce ulteriormente e che ci si auto-svaluta sempre più".

 Ci si domanda spesso se, per caso, possa esistere una predisposizione genetica all’ansia, dal momento che si osservata la proporzionalità diretta fra l’avere familiari con disturbi d’ansia e l’accresciuto rischio, fino a dieci volte, di sviluppare l’ansia. Anche un carattere perfezionista, o rigido, evitante o dipendente, aumenta la probabilità di avere disturbi.

Però, da esperimenti condotti in maniera autorevole, si è osservato che, anche figli adottivi, crescendo in un ambiente ansioso, diventavano più inclini e propensi a sviluppare questo disturbo. E allora, il fattore ambientale non può non essere preso nella giusta considerazione.

Siccome l’ansia si determina quando si arriva ad un livello di saturazione tensiva che è andata ad interessare soprattutto il sistema neurovegetativo, la sua manifestazione sintomatica non può e non deve essere contrastata (a meno di non usare benzodiazepine che "ingannano" il cervello, facendogli credere che è tutto a posto quando, invece, così non è); può essere,. Semmai, scaricata verso l’esterno, perché l’ansia è, dal punto di vista psicologico, un "pacchetto" di disturbo tensivo in confusione che produce una sensazione d’agitazione diffusa.

Di conseguenza, non può essere racchiusa all’interno di un ambito perché è dispersa. Quindi, così come una mandria di cavalli dispersa in un’ampia radura non può essere recuperata, l’ansia la puoi soltanto scaricare, consentendo che esca fuori da te.

In che modo?

Due, sostanzialmente:

  • Attività fisica;
  • Dialogo verbale;

Sia parlando che muovendosi si scarica l’ansia, a condizione che chi sta vicino non interferisca. Se non s’impressiona ed è disponibile ad ascoltarti, in pochi minuti si scarica l’ansia. Non ci vuole molto, basta muoversi, camminare, non stando fermi. L’ansia è di natura aggressiva, ecco perché porta agitazione; allora si può scaricare mediante attività di movimento, che può essere verbale o fisica. Lo stare fermo non consente lo scarico perché non c’è movimento, purtroppo non possiamo preoccuparci in quel momento di ciò che pensano gli altri di noi, perché dobbiamo avvantaggiare la nostra identità.

Come si risolve il problema?

Imparando il concetto dell’adattamento. E qui, entra in gioco il counseling.

Dall’ansia si può guarire?

L’ansia non è una malattia. Di fronte a delle attività fuori delle nostre abitudini è normale produrre l’ansia perché ci si trova di fronte a delle novità: quante volte, abbiamo prodotto ansia prima di un particolare evento, ad esempio un esame?

Era ansia "anticipatoria" cioè in previsione di un avvenimento, ansia "attivatoria", che ti caricava come una molla per poi scattare e risolvere una problematica, fino alla domanda da parte del professore: quando cominciavi a parlare l’ansia finiva, perché scaricavi attraverso le parole. Attraverso le parole si attivava la parte più razionale e "distaccata"che catalizzava l’aggressività: catalizzare significa accelerare delle reazioni, in questo caso, di tipo biochimico - energetico, per trasformare da aggressività in qualcosa di più razionale.

Questo meccanismo è possibile per un motivo tecnico abbastanza semplice. Partendo dal principio enunciato dagli studi del dott. Giovanni Russo, in base a cui (mentalmente parlando) esistono tre qualità di Energia Vitale Umana (Neutrergia, Affettività, Aggressività), si deduce che L’energia è sempre la stessa (in termini di campi elettromagnetici generati all’interno delle cellule nervose), però si manifesta in tre modi diversi a seconda, principalmente, delle caratteristiche di frequenza e lunghezza d’onda.

Noi, in verità, possiamo, a livello inconsapevole, agire su questi parametri per trasformare l’aggressività in neutrergia e viceversa. Ecco, quindi, perché possiamo trasformare l’ansia in neutrergia, ecco perché si può imparare a gestire se stessi in maniera ottimale.

Nel tempo ci possono essere ricadute?

Dipende da come si vive! Se si conduce un’esistenza equilibrata, non si produce ansia "fastidiosa". Non dobbiamo vivere il rapporto con l’ansia come qualcosa di fatalistico: a certe condizioni si produce, a certe altre, no... e comunque, si può sempre scaricarla e "trasformarla" in qualcosa di produttivo. Ognuno di noi può imparare a prevenire il malessere e determinare il benessere: non dobbiamo viverci come canne al vento!

Come si fa?

Esiste una serie di standard da ottemperare per star bene: tecnicamente, vengono chiamati bisogni primari, necessari, ma non indispensabili, utili alla costruzione di una identità equilibrata.

Quali sono?

Costruire la propria autoaffermazione corretta, cioè imparare a vivere rispettando dei criteri che determinano equilibrio interiore, "realizzandosi" con se stessi e all’interno della Società. Imparare ad accrescere l’autostima, apprezzando maggiormente se stessi, ma realizzandosi avendo, come parametri di riferimento, non tanto i valori sociali (che cambiano nel tempo) ma i valori oggettivi legati alle grandi Leggi della Natura, che restano stabili. Riuscire a creare un buon rapporto con il mondo esterno. Determinare delle motivazioni interiori che diano ogni giorno la voglia di vivere bene. Essere in grado di avvertire il bisogno di momenti in cui cercare tranquillità e pace, lontano dai frastuoni del mondo sociale. Rispettare se stessi secondo un sano concetto di riservatezza, senza dire troppo di sé agli altri, riuscendo ad imparare a riflettere correttamente: ecco, in sintesi i punti per riuscire a star bene; a questo punto, c’è da spiegare come si realizzano, lo vedremo man mano.

In forza di tutto quanto esposto, sarebbe opportuno, di conseguenza, pensare di impostare un lavoro mirante ad ottimizzare almeno i seguenti aspetti:

  • L’assorbimento e la metabolizzazione delle frustrazioni;
  • la gestione e la risoluzione dei conflitti interiori più "impegnativi"
  • l’analisi e lo smaltimento di problematiche derivanti da rimorsi, rimpianti e sensi di colpa
  • il miglioramento della capacità di adattamento;
  • la possibilità di diventare un po’ più conciliativa nei suoi confronti.

Chi può aiutarci?

Non essendo corretto "viverci" come oggetti clinici da guarire quanto, piuttosto, come soggetti necessitati ad imparare per capire, il professionista più indicato appare, logicamente, il counselor .

Fonti

  • www.edott.it
  • www.lastradaweb.it

 

G. M. - Medico Psicoterapeuta / Counselor - Presidente Neverland (Scarl - No Profit - ONLUS)

 

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