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"Sono alle prese con una separazione giudiziale passata in giudicato ed essendo maturati i tempi per la richiesta di divorzio mi sto accingendo a farla inoltrare al mio avvocato. Premetto che sono anche padre di un bimbo di sei anni, e a tal proposito il legale di fiducia mi ha chiesto se è il caso di fare anche richiesta di residenza alternata. E’ normale per un papà affettuoso e premuroso come me desiderare di stare di più con mio figlio. Con lui ho un rapporto splendido, fatto a volte forse più come un compagno di giochi che non come quella figura genitoriale anche per il poco tempo a disposizione da trascorrere insieme (a causa di soli tre pomeriggi a settimana concessomi dal giudice, oltre un weekend si ed uno no, e non per motivi di mia indisponibilità). Ciò che mi frena da tale richiesta è cosa potrebbe accadere alla "psicologia" di mio figlio nel vivere in periodi diversi in posti diversi, come l’avere due case, due sue stanze, due abitudini diverse. Non voglio essere egoista e pensare più al mio piacere di trascorrere più tempo con lui (cosa che anche a lui farebbe piacere) ma soprattutto cosa sia meglio per lui. Purtroppo non ci sono quei rapporti civili con la sua mamma tanto da decidere serenamente insieme il meglio per nostro figlio e nonostante so che tale decisione potrò prenderla solo io e che la situazione e gli aspetti "interiori" di mio figlio non possono essere descritti in due righe desidererei aprire un confronto che possa darmi anche altre prospettive per valutare poi io la strada da percorrere".
Marco
Caro Marco, il problema che lei pone evidenzia, innanzitutto, una realtà: non è sempre sostenibile l’assioma secondo cui il padre tende a svolgere compiti "fuori" casa e la madre riveste i panni dell’angelo del focolare... in senso esclusivo. È altrettanto chiaro l’interesse verso suo figlio e l’intenzione di non commettere errori sul piano egoistico personale. Già per questo, complimenti. Andiamo alla situazione in oggetto. È difficile rispondere in senso oggettivo (anche se la legge prevede e auspica la circostanza da lei evidenziata) perché, come spesso accade, sono molteplici i fattori da considerare. Gliene elenco alcuni:
- Com’era l’ambiente in cui è cresciuto suo figlio quando stavate nella stessa casa, analizzando i vari tipi di conflitto che ha assorbito e che potrebbero aver creato dei meccanismi di difesa di tipo "a barriera" (apparente impermeabilità emotiva alla problematica)o sintomatologico evidente (piccole paure immotivate, enuresi, etc.);
- Come, sempre suo figlio, percepisce il rapporto fra lei (padre) e la sua ex partner (madre);
- Che tipo di carattere suo figlio ha sviluppato in merito alla flessibilità o meno rispetto ai cambiamenti;
- Come le vostre rispettive personalità (parlo di voi genitori) hanno inciso e incidono nel rapporto con vostro figlio, in merito allo sviluppo di una corretta identità (fiducia in se stesso, sicurezza, autostima, rapporto adeguato alla realtà, presenza o meno di conflitti affettivi, etc.);
- Qual è la figura di riferimento più autorevole per il bambino.
Questi sono solo alcuni dei parametri da considerare. Ogni essere umano, infatti, finisce per diventare ciò che incontra sul suo cammino, inderogabilmente anche se, proprio per questo, in corso d’opera, sono possibili diversi aggiustamenti.
Potrei dirle che sarebbe opportuno ridurre al minimo lo stress dell’eventuale andirivieni abitativo alternato (creando ambienti e abitudini simili o, addirittura, pensando di lasciare il bambino nella stessa casa e spostandovi, voi genitori) ma, senza le informazioni necessarie, si rischierebbe di non ottenere l’effetto auspicato. Sarebbe utile, comunque, prendere in considerazione l’idea di rivolgersi ad una persona esperta (Counselor, Mediatore familiare, Psicoterapeuta, etc.)per un confronto costruttivo.
G. M. - Medico Psicoterapeuta, Counselor (04.05.2013)
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