"La cosa seccante di questo Mondo è, che, gli imbecilli sono sicuri di sé, mentre le persone intelligenti, sono piene di dubbi!" (Bertrand Russel).
Un giorno senza tempo, in un luogo senza collocazione geografica precisa, gli animali di una "Fattoria padronale" maltrattati e sfruttati dal signor Jones (il proprietario terriero), vengono a conoscenza del sogno di un vecchio e saggio maiale, in cui gli animali sono liberi dal giogo del padrone e artefici del proprio destino.
Vecchio Maggiore (il maiale in questione) spiega, chiaramente, che il loro vero nemico è l’uomo, l’unico animale che consumi senza produrre, arrivando a formulare una particolare massima di vita ( "Tutto ciò che ha quattro gambe o ali è buono, tutto ciò che ha due gambe è cattivo") e a riproporre un canto di lotta della sua gioventù, profetizzante la liberazione degli animali, in un tempo futuro. Il signor Jones, ridotto ormai ad un alcolista, trascura sempre più la fattoria fino a quando, ormai stufi, gli animali sfondano i recinti per andare a cibarsi da soli, mentre Jones e gli altri uomini si scagliano contro di loro.
A quel punto, come se ci fosse un accordo preordinato, gli animali iniziano a combattere contro gli umani, conquistando la fattoria, che diventa di loro esclusiva proprietà, e ribattezzandola "Fattoria degli animali". Ben presto, tuttavia, emerge tra loro una nuova classe di sfruttatori costituita dai maiali: gli stessi che avevano incitato il "popolo" a liberarsi dall’oppressore.
Essi, con la loro astuzia, il loro egoismo e la loro cupidigia, si impongono in modo prepotente e tirannico sugli altri animali più ingenui e semplici.
In questa nuova razza padrona, il potere, all’inizio, si concentra nella mani dei due più spregiudicati: Napoleon e Palla di Neve. Ben presto, però, Napoleon si circonda di un gruppo di cani che trasforma in milizie pretoriane, al proprio servizio.
In questo modo, esautora Palla di Neve e fa "sparire" chi non si mostra d’accordo con le sue idee dittatoriali.
Con una politica particolarmente demagogica, il nuovo tiranno fa ricadere tutte le responsabilità repressive sull’antagonista (in realtà esiliato in segreto) e attribuisce a sé, ogni merito. Accade una cosa simile, ad esempio, per il fallimentare progetto di costruzione del mulino: il crollo dell’edificio viene fatto passare come un atto terroristico di Palla di Neve!
Napoleon, nel tempo, tradisce anche i suoi più fervidi sostenitori, come il cavallo Gondrano, che invia (con l’inganno) al macello, quando non è più utile ai suoi progetti.
Gli ideali di uguaglianza e fraternità proclamati al tempo della rivoluzione sono traditi da un unico comandamento che si sostituisce tutti gli altri: "Tutti gli animali sono uguali ma, alcuni, sono più uguali degli altri".
"È come quando c’è chi crede di essere felice andando a vivere da qualche altra parte, ma poi impara che non è così che funziona. Ovunque tu vada, porti te stesso con te" (Neil Gaiman).
La fattoria degli animali è un romanzo satirico di George Orwell (terminato nel 1943), che intende essere un’allegoria del totalitarismo sovietico del periodo staliniano (ma che può estendersi ad ogni periodo di qualsiasi aggregazione cosiddetta "democratica"). Dopo aver cacciato il padrone, gli animali decidono di dividere il risultato del loro lavoro seguendo il principio marxista "Da ognuno, secondo le proprie capacità... ad ognuno, secondo i propri bisogni".
Il loro sogno utopico verrà disperso in una triste illusione perché, alcuni di loro (i maiali) pur essendo stati gli ideatori della "rivoluzione", prendono il controllo della fattoria, diventando sempre più simili all’uomo, finché persino il loro aspetto diventerà "antropomorfo".
Bisogna amarla veramente molto l’umanità... Perché gli uomini, presi uno per uno, sono proprio insopportabili! (Cesare Botero)
Cari lettori, l’esperienza ci ha insegnato che, chiunque si cimenti in quella gestione della cosa pubblica, che si chiama Politica, finirà, inevitabilmente come il Napoleon della "Fattoria". Che bello sarebbe, se gli uomini saggi gestissero, anche, il potere. Già... ma quale saggio, accetterebbe di essere un uomo di potere?
Allo stesso tempo, chi sarà gestito, "per delega" (e non conta se per voto o per nomina dall’alto) non potrà, nel tempo, non restare deluso, demotivandosi all’interno di uno svilimento della dignità, che lo porterà a protestare in maniera tanto eclatante (chiari esempi, i tanti suicidi di questi tempi) quanto purtroppo, inutile. "Taci? Fai bene. Perché a voi, la parola, l’ha tolta la storia!" (Cesare Botero). La particolarità del tutto, consiste nel fatto che, non conta rivestire il ruolo di Caino o di Abele: si sarà sempre (armati o disarmati) l’uno contro l’altro!
D’altronde, i tanti scandali che, di tanto in tanto, si affacciano ala ribalta delle cronache e le "perle" cinematografiche come, ad esempio, il Portaborse (film del 1991 con Nanni Moretti e Silvio Orlando) ci avrebbero dovuto, da tempo, abituare all’idea che "Solo chi ha fede in se stesso, può essere fedele agli altri" (Erich Fromm).
Ma perché accade, quello che accade?
Cari lettori, i saggi sostengono che, ciascuno, nasce per portare avanti un progetto. Per quanto si possa speculare su ciò, non si può fare a meno di concludere che, al di là di evolvere le nostre capacità (nel bene o nel male) migliorando la gestione del nostro potenziale genetico e restituendo il tutto (con gli interessi) a "fine corsa" come si fa con i prestiti bancari, non si può andare.
La Natura (o chi per lei), magnanima, ha creato un escamotage per indurci a darci da fare: godere. D’altronde, se per avere dei figli, non si provasse l’intensità dell’orgasmo, con ogni probabilità ci si sarebbe estinti, da Adamo ed Eva in poi. E allora, tutto quello che facciamo è provare piacere da ogni esperienza, anche quella negativa (fatte salve le situazioni in cui, l’imprevisto, ci pone di fronte al dolore).
Addirittura, anche nella sofferenza, vale lo stesso discorso.
Quante volte agiamo, schiavi dei nostri apprendimenti? Quando proviamo ad andare oltre lo steccato del recinto in cui le abitudini ci confinano, soffriamo al punto da rifugiarci dentro ciò che conosciamo meglio, anche quando, questo, ci porta fuori strada.
Tutto questo, i più, lo chiamano, egoismo dell’io
La verità è che siamo profondamente immaturi. E non c’è da meravigliarsi più di tanto. Rispetto al passato, siamo più evoluti ma molto meno disinibiti e lontano dal freno dei valori morali. Siccome non siamo, ancora, all’altezza della situazione, finiamo col combinare, per lo più, pasticci.
"L’avvenire ci tormenta, il passato ci trattiene, il presente ci sfugge" (Gustave Flaubert)
"...le creature di fuori guardavano dal maiale all’uomo, dall’uomo al maiale e, ancora, dal maiale all’uomo... ma già era loro impossibile, distinguere fra i due". Con questo sarcasmo, Orwell sottolinea l’utopia della democrazia. Per lui, infatti, nessun uomo riuscirà mai a debellare il desiderio di potere.
È questo, il nostro destino?
Personalmente, mi trovo a condividere il seguente pensiero di Rita Levi Montalcini: "C’è una difficoltà nel rendersi conto che il nostro comportamento sia molto complesso e che, il cervello, sia fatto di tante componenti. E c’è una difficoltà nel vedere in ogni catastrofe la possibilità di un rovesciamento. Forse io sono un’innata ottimista... ma penso che ci sia sempre qualcosa che ci salva".
G. M.