I contratti di locazione ad uso abitativo stipulati nel vigore della legge 431/1998 - a partire dal 30 dicembre 1998 - sono soggetti ad una disciplina che varia in base al tipo di contratto scelto dalle parti.
Per i contratti "a canone libero" (con durata minimo legale di anni 4 + 4) la legge non pone limiti alla misura del canone ed al suo aggiornamento. La determinazione del canone è rimessa all’autonomia dei contraenti, sia per l’importo iniziale sia per il meccanismo di aggiornamento. Difatti, è venuta meno la disciplina inderogabile dell’articolo 24 della legge n. 392 del 1978 che poneva il limite del 75% alla misura dell’aggiornamento.
Le parti, perciò, possono pattuire l’aggiornamento Istat anche in misura superiore al 75% annuo e la clausola sarà valida purchè non incida in modo sproporzionato sul canone pattuito, con vantaggio del locatore. In particolare, in caso di controversia, il giudice valuterà, caso per caso, se la clausola introduce canoni effettivamente superiori al canone contrattualmente stabilito.
Per i nuovi contratti post riforma -così come per i precedenti contratti di locazione con patti in deroga- occorre la previsione di una specifica clausola contrattuale che riconosca al locatore il diritto all’aggiornamento del canone, e quest’ultimo non è tenuto ad alcuna particolare formalità, né perde la possibilità di percepire gli aggiornamenti se la relativa richiesta non è tempestiva, purché si tratti di aggiornamenti maturati prima del quinquennio a decorrere dalla data della richiesta, altrimenti si verifica l’estinzione del diritto per prescrizione.
Quanto ai contratti con "canone controllato" (con durata minimo legale di anni 3 + 2) in base agli accordi territoriali (articolo 2 comma 3 della legge n. 431/98), la variazione Istat annuale è normalmente contenuta nella misura del 75 per cento.
Erminia Acri-Avvocato
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