 “Situato
su qualche lontana nebulosa faccio ciò che faccio, affinché
l'universale equilibrio di cui sono parte, non perda l'equilibrio”
(A. Porchia). Cari
Lettori,
quasi ventisei anni fa (il 27 ottobre del 1990), varcando la soglia
dello studio del mio mentore, Giovanni
Russo
ed entrando nel Mondo del più profondo (sul piano
dell'interiorità), mi sono reso conto della veridicità
dell'affermazione: “Non
si muove foglia che Dio non voglia”. In
pratica, una dichiarazione di Egoismo allo stadio più puro. E,
in effetti, se ci facciamo guidare da ciò che ci spiega la
Scienza, non esiste azione, al Mondo, che non sia determinata dalla
necessità di riportare in equilibrio il “sistema”;
che sia una galassia o un essere umano, poco importa dal momento che,
in fondo, tutto comincia dal dialogo di poche, importanti, particelle
elementari (quark, elettroni, neutrini, etc.). “Senza
quella sciocca vanità che è il mostrarci e che è
di tutti e di tutto, non vedremmo nulla e non esisterebbe nulla”
(A. Porchia). Questo,
ovviamente, non significa che, prima di agire, chiedere o proporci,
attuiamo biechi calcoli opportunistici
ma, semmai, che, chi ha determinato il Sistema, non ha ipotizzato
azioni o pensieri “insensati”, o “immotivati”.
Semmai, a volte, incomprensibili per carenza di capacità
introspettive...
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Cari
Lettori, partendo da questo assunto,
trovo difficile dare una giusta collocazione alle affermazioni di chi
sostiene, sic et simpliciter, di posizionarsi dalla parte dei più
deboli, di coloro che sono “senza diritto di parola”, dei
tanti “signor Rossi” di una Società che gioca al
paradosso, inducendo a sentirsi esemplari unici attraverso la via
dell’omologazione e dell’identificazione.
E
allora, ad una veloce analisi delle cose, così come i filosofi
ritengono che c’è sempre un Est ad Oriente dell’Est e Luciano
de Crescenzo (in “così
parlò Bellavista”)
affermava che siamo sempre Meridionali di qualcuno (e, quindi,
nessuno, può ritenersi libero da chi ha potere di
condizionarlo), è altrettanto vero che, come sosteneva Marco
Pannella, “il
crimine più grande è quello di stare con le mani in
mano”.
Per
provare a venir fuori da questa sorta di ginepraio, mi sono domandato
chi sia, in realtà, il prototipo del signor “Rossi”
e quale sia il motivo che lo trattenga in questa anonima posizione di
sperequazione, di fronte a chi è più attrezzato per
condurre le “regole del gioco”. Tutto ciò per
capire, anche, l’eventuale ruolo dei “Paladini” di
cui sopra.
Il signor
Rossi è un personaggio
immaginario, creato dall’animatore e fumettista Bruno Bozzetto
che, nel 1960, frustrato e scontento (perché la giuria del
"Gran Premio Bergamo
Internazionale del Film d’Arte e sull’Arte"
aveva rifiutato una delle sue produzioni), decide di mettere in scena
un cortometraggio (da cui nasce un’intera serie trasferita al grande
e al piccolo schermo) dal titolo "Un
Oscar per il signor Rossi".
Nelle intenzioni del creatore, questo personaggio rappresenta la
personificazione dell’italiano medio dell’epoca, in un paese che
viveva un boom economico senza precedenti ma dove, allo stesso tempo,
iniziavano i primi inconvenienti del “progresso”:
solitudine, mancanza di comunicazione, lavoro eccessivo,
inquinamento, alienazione, nevrosi (Fonte Wikipedia).
Sul
finire degli anni sessanta, Paolo Villaggio riprende (in maniera più
grottesca) la saga dell’uomo qualunque (Il rag. Ugo
Fantozzi e il geom. Giandomenico
Fracchia) traendo ispirazione dallo
scrittore russo Nikolaj Vasil’evič
Gogol’ e dopo l’esperienza del
sadico Professor Kranz (nel
programma “Quelli della
Domenica”).
Tutto
è come i fiumi, opera dei declivi.
(A. Porchia)
Se
è vero che, fin dall’antichità (come ipotizzato da
parte di individui a cui, evidentemente, conviene pensarla così)
l’Umanità si è vista divisa (per una sorta di
posizione di partenza non ben specificata sul piano scientifico) in
chi comanda e chi subisce, è vero, altresì che, in
base a precise Leggi di Natura, ciascuno di noi è,
contemporaneamente:
uguale
agli altri (perchè composto
della stessa energia di base, sotto forma di particelle elementari);
simile
agli altri (perchè
sottoposto alla necessità di appagare i medesimi bisogni
reali, anche se in funzione di ciò che può e sa);
diverso
dagli altri (sul piano della
“capacità sviluppata”
di produrre idee, emozioni, sensazioni e strategie operative).
Allora,
sentirci “superiori” o “inferiori”, dipende
da quello che ci fanno credere, fin da quando “misuriamo”
l’ambiente per poterci contestualizzare ed identificare con gli
elementi più rappresentativi.
Condizionamenti,
manipolazioni, pregiudizi, insomma...
“Se
io fossi come una roccia e non come una nube, il mio pensare, che è
come il vento, mi abbandonerebbe” (A. Porchia).
Ecco, cari
Lettori,
partendo da questa riflessione, non possiamo non arrivare a scoprire
che, la nostra essenza, se non viene rispettata nella sua interezza
(l’energia nasce per essere utilizzata...), produce attriti
interiori che, per non debordare in psicosomatosi o disturbi vari
della personalità, determina, inevitabilmente e
inequivocabilmente, una ribellione che riporterà in equilibrio
il sistema mentale e metabolico.
Qualcuno
sostiene che esistono “caduti” che non si alzano per non
tornare a cadere e, infatti, Giovanni Verga ne “I
Malavoglia” descriveva un tipo di umanità che,
di fronte a ciò che ritenevano essere un destino ineluttabile,
preferivano abbassarsi per essere travolti, dalle onde delle
difficoltà, il più velocemente possibile.
Però,
se osserviamo ciò che ci racconta il passato (da cui, in un
modo o nell’altro, tutti traiamo ispirazione), condizioni
apparentemente sperequative vengono riportate anche nella Bibbia
(nel primo libro di Samuele) a proposito della battaglia
del gigante Golia contro il piccolo Davide che,
come sappiamo fu vinta dal coraggio di quest’ultimo...
Chiunque
abbia mosso a favore dei (cosiddetti) più deboli ha,
innanzitutto, elevato se stesso a dimostrazione del fatto
che, chiunque, alle giuste condizioni, può far valere il
diritto al rispetto dei diritti. E questa (buona) azione
risponde al principio dell’induzione ad agire e “crescere”
e coagula energie che, con la stessa forza di un fiume che scende
impetuoso verso il mare, non può non determinare effetti che
sovvertono (ingiustizie) e riequilibrano posizioni.
In
fondo, si vive con la speranza di arrivare ad essere un ricordo. (A.
Porchia)
Lo
stesso Gogol nel celeberrimo “Cappotto”, tratta
la vicenda umana di un funzionario preso in giro dai colleghi ed
escluso da una vita sociale, riesce a comprare un cappotto che lo
proietta, magicamente, all’attenzione dei suoi colleghi.
Derubato di questo prezioso indumento, finirà, dopo aver
inutilmente cercato giustizia, col morire di freddo. La narrazione
ha, però, un finale inaspettato dal momento che, il fantasma
del funzionario, imperverserà per la città, derubando i
signori dei propri cappotti: la rabbia dello spirito si placherà
solo quando questo riuscirà a vendicarsi di un presuntuoso
“colletto bianco dei piani alti”, che gli aveva negato
giustizia per il cappotto perduto.
E, Paolo
villaggio, conclude il suo “Fantozzi contro
tutti” con la celebre dichiarazione:“Ridete!
Ridete pure! Ma ride ben, chi ride ultimo! Dite quel che volete ma io
sono un uomo proprio riuscito!”
Personalmente,
ritengo che, aiutare chi soffre, nobiliti oltre ogni limite... resta
da vedere, però, verso chi indirizzare le proprie energie. E
perché, oltre che “come”….
Con
le organizzazioni No Profit che dirigo, siamo andati controvento, a
favore dei senza tetto e dei ROM ma non abbiamo mai abbracciato le
loro pulci e la loro miseria...
Semmai,
la loro voglia di uscirne!
E,
continuamente, siamo attratti da chi soffre di quei dolori che hanno
perduto la memoria e non ricordano perchè sono dolori, da chi
è rimasto “solo” in senso “assoluto”,
o da chi sa di avere ancora pochi granelli di sabbia nelle propria
clessidra del Tempo
Ecco,
anche in questo caso, non beviamo le loro lacrime ma, semmai,
insieme, le usiamo per irrigare speranze affinchè diventino
certezze e dignità di Futuro.
Fosse
anche per un solo istante.
In
conclusione, in ognuno di noi alberga, potenzialmente, il signor
Rossi. L’importante è capire che il dolore sta in alto e
non in basso, mentre molti credono che, il “peggio”, stia
in basso. E tutti vogliono salire. Per, poi, scoprire che il Marcio
viene da dove si trovano coloro che dissipano e bestemmiano,
abiurando quelle Leggi che, pure, ha creato chi non fa muovere foglia
a meno che, Lui, non voglia.
Cari
Lettori, nel tempo ho scoperto che le catene che più ci
incatenano sono quelle che abbiamo rotto ma dalle quali non ci siamo
mai, completamente, liberati e, quindi, ho capito di essere arrivato
a un passo da tutto. Ed è per questo che, probabilmente, lì
rimango, lontano da tutto, di un passo. Pronto a capire, cos’altro
mi regala, quello che resta del giorno.
Sei
un fantoccio. Ma nelle mani dell’infinito che, forse, sono le tue
mani. (A. Porchia)

Giorgio
Marchese . Direttore La
Strad@
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