Quelle fogne ci confidano l’inconfessabile, ci accusano non solo di essere città galleggianti sulla droga, ma che nel paese del precariato, dei licenziamenti, delle estorsioni più o meno autorizzate, dei mutui che non si riescono a pagare, coca e fumo sono morte annunciata della speranza di legalità, unica fonte di vita per la crescita sana di una società.
C’è necessità di normalità, ma non quella che appare come una cosa, un dato, addirittura una e l’altra, a seconda dell’interesse, del guadagno, e così facendo scompare l’identità stessa del suo significato originario.
Dove sta rintanata la normalità nel ritenere sostenibile l’assunzione di una droga quando, nell’usarla, si certifica la convinzione-bugia che non tutte le droghe uccidono, trasformando in disvalore il coraggio di vivere?
E’ forse normale leggere che è ora di liberalizzare le droghe, di rendere legale ciò che non lo è, sostenendo che uno stato consenziente a questa pratica autolesionista, fornirebbe risorse sufficienti alla Società per equilibrare prevenzione e repressione, di contrasto alla criminalità organizzata che ne fa il più grande dei business.
E’ normale avere timore di chiamare con il proprio nome i morti e i feriti per la loro età, non per la sola quantità, le sofferenze e le tragedie di tanti figli e genitori ridotti a manichini privi di un amore irrinunciabile.
Non è normale e neppure corretto manipolare l’educazione, quindi gli itinerari che invece bisogna percorrere per crescere insieme: forse la tecnica di successo, per tirare fuori il meglio da ognuno di noi, non sta nel propugnare la droga non più proibita, ma chiederci: "quanto le uscite da neofiti del rigorismo" abbiano somiglianza con gli spot elettorali, che non posseggono incisività, forse occorre rifiutare la repressione e il buonismo di facciata, più urgente ritornare a educare, educare e ancora educare, affinché valori inalienabili, come la libertà, la solidarietà e la giustizia, vengano ricondotti a una più umana consapevolezza.