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GIOVANNI PAOLO II...
di Giuseppe Chiaia  ( peppinochiaia@libero.it )

9 aprile 2005





IL GRANDE!


Aveva preso il Viatico appena 24 ore prima, e già il suo Spirito si apprestava a varcare lo spazio infinito che lo liberava dal peso del vivere, dalla mestizia della sofferenza, dal vociare sommesso dei prelati le cui rosse mantelle "oscillavano, lievi, al triste vento" .

La festa della Resurrezione, più nota come la Pasqua dei Cattolici, in realtà è il simbolismo di quella antica liberazione dalla schiavitù egizia ad opera di Mosè che guida il suo popolo attraverso il deserto, verso la terra promessa; Pasqua vuol dire " passaggio ", passaggio dalla disperazione alla gioia; passaggio dalla prigionia alla libertà; passaggio dalla morte del peccato alla vita eterna del Paradiso.

E Papa Wojtyla ha lasciato l’altisonante titolo di GIOVANNI PAOLO II per ritornare al più umano Karol.

Giornali, radio e televisioni di tutto il mondo hanno avuto di che riempire le loro cronache, in forza di un esercito di giornalisti, più protesi allo scoop della notizia, che non ad un sentimento di discreta pietà.

Ed il nostro Bruno Vespa l’ha fatta da mattatore; d’altra parte è, questo, uno di quegli eventi che bisogna propagandare, mettendo da parte il pudore di un religioso silenzio. Eppure, nel dolore che una simile dipartita lascia nel cuore di milioni di persone, la sincera manifestazione d’affetto - quella più spontanea, perché autentica -, l’hanno offerta i giovani, quelli che non conoscono a memoria tutte le preghiere, che non hanno intonati il lugubre salmodiare delle litanie funebri, ma sono esplosi in canti gioiosi, quasi come accompagnassero lo sposo al suo incontro col matrimonio del cielo, convinti, più di altri, che anche la morte fisica è una Pasqua, un passaggio verso approdi felici; recitano gli ultimi versi di una poesia di Thomas Elliot, nei quali dà il vero significato dell’ Ave Maria, "prega per noi, adesso e nell’ora della nostra... NASCITA ! " ; ed il credente si rinfranca nell’abbandono fiducioso al suo Dio.

Solenni sono stati funerali ; Capi di Stato, i potenti della terra, tutti sono giunti per chinare il capo, deferente, davanti alle spoglie dell’antico operaio della Solvay, ma incapaci, alcuni, di comprendere appieno il significato profondo del messaggio di Papa Wojtyla, di praticare il suo esempio di apostolo fra le genti, pellegrino instancabile di pace e solidarietà verso le masse dei miseri, dei poveri, dei lebbrosi, dei diseredati, che è riuscito a portare, candida ed immacolata, la sua veste pur trascinandola fra le " favelas " brasiliane, o tra i lazzaretti dell’India, che ha pianto con i disperati, ma ha alzato, con imperturbabile coraggio, il dito ammonitore sul viso dei violenti e dei tiranni.

Fra un mese, circa, la stessa folla che abbiamo visto inondare piazza San Pietro, nella prima messa di suffragio per l’anima di Papa Giovanni Paolo II, asciugherà le lacrime e si sbraccerà, osannante, all’indirizzo del nuovo Papa: forse, nella lontana Polonia, un gruppo di pie donne e qualche vecchio parroco avranno, ancora, la consolazione di un ricordo che ingiallirà, anche questo, come i manifesti funebri; ed un altro sepolcro, scarno, semplice, quasi a contrasto con istoriati sarcofagi, si allineerà nelle cripte vaticane, tappa intermedia della storia della Chiesa, anticipatrice dell’eternità.

Fra qualche lustro, quando qualche scolaresca scenderà nelle cripte vaticane in occasione di una gita scolastica, ci sarà qualcuno che forse ricorderà la vicenda umana di Papa Wojtyla, riconoscendone la temporanea dimora terrena; ma sarà più probabile che verrà traslato, a breve, nella solennità luminosa della Basilica di San Pietro, perché, com’è Sua abitudine, avrà già anticipato l’ascesi della Canonizzazione.

Noi, invece, preferiamo prendere a prestito quei meravigliosi versi del grande poeta latino Orazio Flacco per salutare il nostro fratello Papa Giovanni Paolo II, le cui encicliche, i cui discorsi ed l’inimitabile sacralità del Suo vivere lo hanno reso degno nipote di Dio "Non omnis moriar, quia exegi monumentum aere perennius " ( Non tutto di me morirà, perchè ho saputo innalzare un monumento più duraturo del bronzo).

Giuseppe Chiaia (preside)

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