In questo angolo di ricordi mi coglie impreparato
l’avvento di un volto, il tuo, caro Padre.
Nei giorni scorsi,
questo spicchio di infinito è diventato un taglio dove
ferire i colori, per la tua bocca improvvisamente di lato...........Dischiusa.
Ti ho guardato incedere
lentamente, senza un lamento, in mezzo al guado, ma ancora presente.
Ho rammentato la tua
preghiera ai potenti e la tua richiesta di una dignità
ritrovata per chi l’aveva perduta.
“Applausi di
gratitudine a piene mani.
Applausi e solidarietà
tra le dita.
Applausi e ancora
tanti applausi,
ne rammento l’entusiasmo,
ne sento tutt’ora il rumore.”
Ora, in questo momento
di tenero ricordo, mi chiedo quanto tempo è scivolato addosso ai corpi, alle
menti, quanti giorni sono rimbalzati negli sguardi colmi di speranza di uomini incatenati e uomini liberi?
Caro Padre, ti ricordo
bene, con gli occhi stanchi, oppressi non dalla stanchezza degli anni sulle
spalle, ma dal disincanto delle parole ricevute senz’anima, e dal permanere di
un carcere ferito dalla
sua drammaticità fallimentare, dalla sua solitudine creata a
misura, ripiegato su se stesso, senza speranza.
Disatteso e distante.
Il carcere rimane lì,
negli scaracchi e nelle dimenticanze, indietro, dove non esiste attenzione per
le persone; figuriamoci per la possibilità di una opportunità
concreta e coerente di riscatto, che spezzi la catena di una recidiva che
s’arrampica con le dita rotte, in una
rivisitazione del passato divenuta quasi
impossibile.
Al futuro del carcere
sono state estirpate virtù teologali quali la fede, la speranza, la carità, che però dovrebbero sostenere la vita umana, il cammino di
uomini bianchi e neri, dei buoni e dei cattivi, di colpevoli e innocenti.
“Quel giorno, un
gradino più sotto, in molti hanno ascoltato commossi e
ringraziato.”
Eppure
dolcissimo Padre è in questa tua ascesa in cielo che i miei sogni hanno il
sapore del domani, il perdono è una voce che insegue, non barcolla, cresce e
s’avventa al dubbio.
Lo sguardo non è
piegato nell’ultima fila, al recinto inventato, ora è altare, dove incendiare
l’apparenza, le scogliere senza più mare.
Caro Padre, il cuore è
incredibilmente felice, dissolve la paura della scomparsa, della resa, della
sconfitta, che dura come pietra che dura.
E’ questo il momento
della vita, il momento che è nostro, come l’amore che non conosce armento, né
collare, o balzello, è un momento nostro e di ciascuno per ogni riconciliazione con
questa vita, mai doma, mai sazia di slanci in avanti.
Caro Padre, mi rendo
conto di quanto queste parole siano sgangherate, ma ti
voglio bene da dentro una cella che tu hai visitato, ti voglio bene fuori dal
coro dove tu hai insegnato, ti voglio bene in mezzo ai tanti santi e sapienti
dove tu hai difeso gli ultimi come me.
Caro Padre, senza fatiche
cogliermi, privo di maschere a venirti incontro, ti
ricordo semplicemente come un Uomo che mi ha fatto diventare grande, nella
speranza di una pena rispettosa della dignità umana perché vestita di carità.
Vincenzo Andraous - Responsabile Centro Servizi
Interni - Comunità Casa del Giovane via Lomonaco 43 - Pavia 27100
tel uff
0382 3814462 - tel cell 348-3313386
|