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Colpi di spillo...anzi, di martello
di Giuseppe Chiaia  ( peppinochiaia@libero.it )

2 novembre 2002


C'era una volta la FIAT...


C’era una volta la FIAT

 

 

La fondarono uomini coraggiosi e lungimiranti, che rispondevano ai nomi di: Ludovico Scarfiotti, conte Biscaretti di Ruffia, Cesare Goria Gatti e Giovanni Agnelli; era il 1889.

Fu Giovanni Agnelli la vera mente animatrice della nuova fabbrica, le sue capacità organizzative, unite alle sue qualità di profetico interprete della futura industria automobilistica, gli valsero la nomina a presidente ed amministratore delegato del nascente complesso industriale torinese; carica che tenne, ininterrottamente, dal 1890 al 1945.

Il secondo conflitto mondiale, la guerra partigiana e fratricida che sconvolse l’Italia settentrionale, non risparmiò la FIAT;

a risollevarla, ci pensò un altro genio dell’imprenditoria e dell’economia: il Prof. Vittorio Valletta.

Quest’uomo, piccolo di statura, schivo della mondanità, per niente interessato alle fortune della società calcistica "Juventus", con le sue sagge ed illuminate intuizioni mise in ombra persino il grande Giovanni Agnelli.

Nei difficili anni del dopoguerra, riprese l’azienda fin dalle fondamenta, e non solo metaforicamente; richiamando maestranze ed impiegati e quanti erano disposti ad impegnarsi in un duro lavoro di rinascita e di riaffermazione di quella che era stata la più grande impresa industriale post-risorgimentale; Il prof. Valletta, per prima cosa ampliò gli stabilimenti e, sulle orme del grande FORD, pretese dai suoi ingegneri e stilisti modelli di automobili dai costi contenuti ed accessibili ad una vasta gamma di clientela: e su tutte brillò l’erede della "Topolino", la famosa "600", che fu unanimemente definita " la vettura che motorizzò l’Italia " .

Il valore della FIAT ammontava, nel 1946, complessivamente, a circa dieci miliardi; il prof. Valletta, nel ventennio della sua dirigenza, innalzò quel capitale fino alla somma, astronomica per quei tempi, di lire 1194 miliardi, oltre che gloriarsi di dare lavoro a circa 147.000 operai, senza contare le maestranze dell’indotto relativo: si era nel 1966.

Erano gli anni del boom economico ed il giovane dottor Giovanni Agnelli, erede predestinato di quello che era considerato uno dei colossi dell’industria mondiale, aveva già conquistato un posto di rilievo nel "Jet-Set" dell’epoca, dando lavoro e spazio ai rotocalchi della mondanità.

Si diceva, allora, che gli Agnelli danno il meglio delle loro capacità dopo i quaranta anni, per cui al prof. Valletta subentrò l’attuale presidente onorario ( si fa per dire ).

Unitamente al fratello, Agnelli dottor Umberto, gli capitò la prima crisi nel 1969-70; ma la struttura lasciata dal prof. Valletta era talmente solida da resistere brillantemente al primo terremoto economico; né bisogna dimenticare che, nel frattempo, i fratelli vollero provare il gusto di sedere nel Parlamento italiano; esperienza, quest’ultima, che valse loro l’acquisizione di una immagine politico-economica di grande respiro. Ancora oggi, il dottor Giovanni Agnelli ricopre la prestigiosa carica di senatore a vita; ma mi sfugge, certamente per mia ignoranza, per quali alti meriti e in quale campo del sapere umano abbia brillato. Certamente è apprezzabile la sua disponibilità nel partecipare alle inaugurazioni delle legislature del nostro Parlamento o concorrere, col suo voto, alle investiture di quei governi che ritiene degni della sua fiducia e - perché no! - dei suoi interessi.

Per il resto, l’unica distrazione che i fratelli Agnelli si concedono dai massacranti e vastissimi impegni finanziari, è costituita dalle loro improvvise apparizioni allo stadio calcistico "Delle Alpi" di Torino per ammirare il loro giocattolo preferito: la "Juventus"

A questi due fratelli, signori incontrastati della più importante industria italiana, purtroppo, la morte ha sottratto loro, pur con diversa ma uguale profonda tragicità, i rispettivi figli, Giovannino ed Edoardo, le cui salme, composte in due diversi giovedì di anni diversi, hanno suscitato, nei rispettivi genitori, un dolore imperscrutabile, attesa l’indecifrabile espressione dei loro visi; a lenire tanto dolore, è stata la benefica distrazione delle domeniche successive, allorché il brillante gioco della Juventus ha saputo suscitare e restituire lucentezza e vitalità agli occhi incapaci di pianto dei due sfortunati genitori.

Lo stesso indecifrabile dolore oggi si legge negli sguardi atonici dei due fratelli, coscienti di ridurre alla miseria migliaia e migliaia di lavoratori, con le rispettive famiglie.

Quanti giovani dovranno rinunziare agli studi? Quante famiglie non accenderanno il modesto luminare di un semplice albero di Natale?

I fratelli Agnelli ed il loro virtuale consiglio d’amministrazione hanno coscienza dell’immensità del danno che la loro capacità gestionale sta arrecando al nostro paese ed all’immagine Italia?

Hanno pensato che a seguito di questa crisi di lavoro la delinquenza organizzata potrebbe predisporre un reclutamento di nuove e giovani leve per rinfoltire le proprie decimate strutture?

Sì che ci hanno pensato !

Basti por mente alla dirigenza del " loro " consiglio d’amministrazione, presieduto dal dott. Paolo Fresco ( il Manzoni direbbe: "Chi è costui? Carneade!?") la cui esperienza manageriale si è formata presso la GENERAL ELECTRIC; uno dei colossi industriali statunitensi, la cui politica economica è tutta tesa al profitto...

da conseguirsi a qualsiasi costo.

E, fino a quando l’accorto Cesare Romiti - degno erede del prof. Valletta - proseguì le intuizioni produttive del suo grande predecessore, la Fiat seppe tenere testa alle grandi case produttrici automobilistiche europee; quando la corazzata di corso Marconi cominciò a fare acqua, gli illuminati fratelli AGNELLI non si convinsero delle proposte innovative che il capace Romiti andava predicando; perché egli aveva capito che, con l’avanzare del processo di industrializzazione voluto, proposto ed attuato dalla Commissione europea, l’economia, in genere, premiava, per come premia, solo quelle produzioni di beni le cui qualità si impongono nel mercato europeo ed extraeuropeo.

Bisognava mettere mano nelle tasche degli azionisti Fiat , rinunciare a profitti immediati, rivoluzionare il settore automobilistico, creare nuovi modelli validi sia esteticamente, sia meccanicamente e sia dal punto di vista della sicurezza stradale.

Ovviamente, i grossi azionisti, capitanati dagli Agnelli, veri imperatori del Capitale, imposero ai loro feudatari il citato Paolo Fresco, e questi non ha esitato ha ridimensionare il valore di mercato della Fiat, determinandone la grave crisi attuale...che importa se la disoccupazione cresce!!! Tanto, ci sono altri e cospicui gioielli di famiglia a garantire il forziere degli Agnelli!

Certamente sarebbe grave decisione politica quella di intervenire col pubblico denaro - col denaro dei cittadini che pagano le tasse - per risollevare le sorti di un’azienda, simbolo caro alla storia industriale del nostro Paese;

sarebbe ora che gli epigoni di casa Agnelli mettessero mano alle loro opulenti tasche, considerato che anche certi traguardi naturali sono imminenti ed ineluttabili, se non altro, per smentire, una volta tanto, la profezia evangelica che non vuole che i ricchi vadano in Paradiso, diversamente per come avviene per la classe operaia.-

 

Prof. Giuseppe Chiaia (preside).

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