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Fede e Ragione: il problema degli "UNIVERSALI"
di Giuseppe Chiaia  ( peppinochiaia@libero.it )

22 aprile 2002

E se questi due concetti non fossero due rette parallele che non si intersecano mai, ma angoli complementari di un disegno antico? Leggiamo insieme questo primo capitolo introduttivo che l'autore propone alla nostra riflessione...nell'attesa del secondo.

 

E’ , questa, la grande problematica che coinvolse la storia del pensiero, a partire dallo VIII° secolo dopo Cristo e che, ancora oggi, rimane uno dei più affascinanti impegni della Filosofia.

Ma per ben introdurre la tematica di che trattasi, appare opportuno inquadrarla nel relativo contesto storico-culturale, onde analizzare le diverse tesi teologiche e filosofiche fondamentali attinenti al presente argomento.-

Ovviamente, ciò comporterà una trattazione in più di una puntata che, si spera, susciterà e l’interesse e la benevolenza del lettore, oltre che la considerazione da parte della redazione di questo giornale mediatico.-

Il termine " FEDE ", (dal latino "FIDES", sostantivo femminile della V declinazione) nel suo significato specifico, indica quella particolare predisposizione interiore della persona nel dare credenza e fiducia ad una verità che prescinda da ogni preventiva indagine razionale e scientifica.-

Nell’antica Roma, la Fede era venerata come divinità; il che, garantiva e tutelava i rapporti tra i cittadini e, tra questi ultimi e lo Stato ; non a caso, i Romani le edificarono un tempio sul Campidoglio chiamato "FIDES CAPITOLINA".-

Appare evidente come, fin dai tempi remoti e precristiani, si avvertì il bisogno di sacralizzare gli impegni che ciascuno assumeva nei confronti di chiunque, al punto che il giuramento dato sull’ara della Divinità era sacro ed inviolabile; recita il Foscolo, nei suoi "Sepolcri " <<... e fu temuto su la polve degli avi il giuramento>> perché, anche la tomba, nella ritualità degli antichi greci, assurgeva al rango di ara sacramentale.-

E se si pone mente alla storia del Diritto romano, ci viene tramandato l’istituto del "Fedecommesso" ,speciale disposizione del defunto, concernente un atto di liberalità, della cui realizzazione veniva incaricato l’erede, facendo leva sul suo obbligo morale di ottemperare alla elargizione, con atto di fede. Non a caso, ancora oggi, il termine di "fidanzamento" è un pegno d’amore che risuona, romanticamente, nei versi del "Cirano di Bergerac ".-

Orbene, la FEDE, trasferita sul piano religioso, diventa atto di obbedienza assoluta, che ha il proprio fondamento nella libertà del volere; per cui, non c’è libertà più grande dell’obbedienza; obbedienza che non si nutre di certezze, né di risultati logici - e relative verifiche -, ma di quella intensa volizione fatta di decisione, ma anche di rischio.

Solo con la Fede si superano i dubbi , per cui, come diceva il filosofo FICHTE, essa diventa, anche, " la sanzione della Scienza ".-

E se nel Vecchio Testamento i Patriarchi e i Profeti propagano la promessa di Dio che tutelerà il "popolo eletto" nell’attesa del Messia, nel Nuovo Testamento la Promessa si concretizza nel Cristo che, con la Sua predicazione ed i Suoi miracoli santificherà, con il sacrificio della Croce, la Parola del Padre.-

Da quel momento, nella Teologia cristiana, Fede e Religione si coniugano al punto che oggetto di Fede sarà, soltanto, la Rivelazione che inizia con Abramo e termina con la morte dell’ultimo degli Apostoli.-

Alla Chiesa di Roma viene affidata la custodia e l’interpretazione autentica della Verità rivelata.

La Fede diventa, pertanto, caparra inestimabile per la salvezza eterna .-

Così insegnano i Vangeli, le lettere e gli atti degli Apostoli, in special modo quelle di S. Paolo, il più ardente propagatore della Parola del Cristo.-

Saulo di Tarso, il persecutore dei primi cristiani, si trasforma, in virtù della Grazia, nel più fervido dei messaggeri di Gesù e, a differenza di S. Pietro - che riteneva suo obbligo apostolico propagare la parola del Maestro solo nella Palestina - sfrutterà sapientemente la struttura amministrativa e politica dell’impero romano per ripercorrere, a ritroso, le grandi vie consolari che dalla Siria, dalla Palestina, dal Libano, dalla Grecia, dalla Turchia, puntavano al cuore della città Eterna.-

Viene, così, sconvolta tutta la struttura sociale ed economica di Roma; non più la sacralizzazione dell’imperatore che, da "DIVUS" intoccabile ed "augusto", viene ridimensionato e parificato all’umile, al debole, allo schiavo :

profetica anticipazione del trinomio illuministico "Libertà, Fratellanza, Uguaglianza ", quantunque, quest’ultimo, espresso dall’orgia di sangue della Rivoluzione Francese.-

Ci si domanda, allora, se la Fede sia atto che prescinda da ogni indagine razionale; la risposta non può che essere negativa, dal momento che la Rivelazione fu, certamente, un evento storico, allorché Dio si rivela ad Abramo, in una determinata epoca storica, in una località ben precisa : la terra di "Canaan ".-

Dalla veridicità dell’evento storico, però, non deriva direttamente l’atto di Fede, proprio perché l’assenso dell’intelletto è stimolato dalla volontà, essendo il primo illuminato dalla Grazia divina.

Sostiene il teologo mons. Prof. Francesco Marchisano che " l’atto di Fede è un atto certo, perché dà la certezza di ciò che si crede; è un atto razionale, perché si fonda su motivi razionalmente dimostrati; è un atto libero, perché l’oggetto creduto non è evidente intrinsecamente; è, infine, un atto soprannaturale, perché emesso sotto la mozione della Grazia Divina "; Santo Agostino aveva già affermato l’intimo rapporto tra Fede e Ragione nel famoso concetto " INTELLEGO UT CREDAM, CREDO UT INTELLEGAM " (liberamente tradotto sta per : voglio capire per credere, e credo perché voglio capire ).

Ma qual è il contributo che la Ragione offre alla fede ?

Premesso che la Ragione attiene a quella particolare esclusiva facoltà dell’uomo e della donna, - in virtù della quale ognuno di noi è in grado di compiere scelte, acquisire conoscenze, ricercare verità, in sintesi, comprendere tutti gli aspetti della realtà, - bisogna analizzare cosa si intende con il termine " RAGIONE ".-

Fu Cicerone, il più grande giurista , eclettico filosofo , oratore ed avvocato illuminato del quale la latinità si vanta, a coniare la parola "RATIO ", allorché volle tradurre il corrispondente termine greco: "LOGOS", anche se, al termine LOGOS, gli antichi greci attribuirono significati diversi, come, ad esempio, quello di : Parola, Discorso, Colloquio, Narrazione; e quindi, per come si legge nel Vangelo di S. Giovanni : "parola divina " ; chi non ricorda l’esoterico esordio dell’Apostolo prediletto, "...IN PRINCIPIUM ERAT VERBUM , ET VERBUM ERAT APUD DEUM, ET DEUS ERAT VERBUM ".-

Ma il significato originale del termine " LOGOS " deriva dal verbo greco "LEGHEIN" . che vuol dire raccontare, enumerare, e che ha in sé il concetto di "calcolo", "discorso".

In filosofia, a partire da Aristotele, diventa conoscenza discorsiva, che sta alla base della teoria della logica, da lui elaborata. La dottrina del LOGOS nasce per merito di ERACLITO che la intese come una legge necessaria ed universale, ed attraverso Platone, Aristotele, gli Stoici, Plotino, Filone Alessandrino, si trasforma in teologia del Logos e, nella caratterizzazione cristiana, si incarna nella figura del Cristo e nel dogma della Trinità.

Ma all’uomo appartiene un altro dono esclusivo: "L’INTELLETTO"; ed ancora una volta, dobbiamo far riferimento al pensiero greco antico: furono i filosofi scolastici a tradurlo dal corrispondente termine greco "NOUS", adoperato, per la prima volta, dal filosofo greco ANASSAGORA, per il quale la NOUS era la mente ordinatrice della materia; in Platone, diventa artefice divino, un "DEMIURGO", capace di ordinare il primitivo Caos in "COSMO " (non a caso la parola Cosmo, nella sua accezione originaria, implica l’idea di ciò che è armonicamente ordinato e che, ancora oggi, riecheggia nel termine "cosmesi").-

L’intelletto rappresenta, pertanto, la potenzialità intuitiva, riservata all’uomo ed alla donna, che permette loro di raggiungere il grado più elevato della Conoscenza, tramite la quale il "saggio" accede alla contemplazione; e Dante ce ne dà la significazione poetica più alta nel 33° canto del Paradiso, allorché si trova a contemplare DIO UNO E TRINO; la fantasia, legata al mondo sensibile, non è più capace di seguire l’intelletto puro, che, invece, intuisce la divinità : ( v v 142-145 )

"......A l’alta fantasia qui mancò possa;

ma già volgea il mio disìo e ‘l velle,

si come rota ch’ igualmente è mossa’

l’amor che move il sole e l’altre stelle ".-

Non c’è canto più alto di quello dantesco, che riconosce, nell’intelletto, l’impronta divina con la quale l’uomo e la donna sono capaci di cogliere i "concetti primi", i "principii" che rappresentano il fondamento di ogni ulteriore conoscenza, e fra i quali principii, Aristotele pone, come primario, quello di "non contraddizione", perché esso è intellettivamente intuito e non ha bisogno di dimostrazione, né di premesse da cui ricavare conclusioni; perché se così non fosse, si innescherebbe un percorso a ritroso, all’infinito.-

Da ciò, l’intuizione del "PRIMO MOTORE IMMOBILE", Causa Prima, e "CAUSA SUI", da cui discende l’illuminazione dell’intelletto umano.

Ed è di nuovo DANTE a confortare questo pensiero filosofico, allorché fa parlare, nel XXV canto del PURGATORIO, il poeta latino Lucio, Papinio Stazio ( 45 - 96 d. C. ), quando questi è invitato da Virgilio affinché spieghi a Dante come avviene l’atto della generazione umana: e Stazio, nell’analizzare la fisiologia della procreazione, avverte che l’anima intellettiva viene "soffiata" allorché il feto ha completato la struttura cerebrale ( v v 69 - 72 ) "...sì tosto come al feto

l’articular del cerebro è perfetto,

lo motor primo a lui si volge lieto

sovra tant’arte di natura, e spira

spirito novo, di virtù repleto ".

La grande eredità del pensiero greco consentirà alla filosofia scolastica di elaborare la concezione metafisica dell’intelletto.-

Queste succinte considerazioni vogliono essere la necessaria premessa al problema degli "Universali", la cui trattazione avverrà nelle prossime produzioni editoriali di questo giornale.

Prof. Dott. Giuseppe Chiaia (Preside)

Aprile 2002.

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