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Legati per sempre all’operatore telefonico?
di Maria Cipparrone  (  mariellacipparrone@libero.it )

22 novembre 2010


Troppi i problemi per effettuare la portabilità del numero e per disdire il contratto. La musica non cambia per avere informazioni e risposte ai reclami.


 

Cambiare operatore telefonico per il telefono fisso, recedere da un contratto e/o ottenere informazioni è spesso, in Italia, un’impresa difficilissima e frustrante.

A testimoniarlo sono le denunce all’Agcom (Autorità Garante per le comunicazioni). Il 30% delle segnalazioni riguardano il passaggio da un operatore all’altro, poi problemi legati a vari disservizi, per un totale complessivo nell’anno 2009/2010 di 5.400 denunce.

Quello che è più importante sapere, per il consumatore, è che nessuna penale è dovuta al gestore in caso di recesso dal contratto e che questo può avvenire in qualsiasi momento, sia dopo pochi giorni dalla sottoscrizione, ma anche dopo qualche mese, senza il pagamento di nessuna penale, diversamente da come, invece, gli operatori sostengono nelle clausole contrattuali. Ciò che il consumatore è tenuto a pagare sono i reali costi di disattivazione che devono, però, essere motivati, giustificati e trasparenti.

A stabilire queste regole, ormai vecchie, è stato il decreto Bersani nel 2006. Se, dunque, i gestori ci provano ( e lo fanno sempre) non resta che spedire una lettera raccomandata con ricevuta di ritorno richiamando la legge suddetta e rifiutandosi di pagare somme che non si riferiscano a costi di attivazione. Anche in questo caso, però bisogna stare attenti, perché i furboni possono chiamare costi di disattivazione la penale per il recesso, cioè cambiano il nome ma la sostanza non cambia. In questo caso, l’ammontare della somma è uguale o superiore ai 100 euro. E’ necessario, quindi, esigere, l’analitica di questi costi.

Se dopo l’invio della lettera non si ottiene nessuna risposta, o ci si rivolge ad un’associazione dei consumatori o ci si può rivolgere, per avviare una procedura di conciliazione gratuita, al CORECOM (Comitati Regionali per le Comunicazioni), presenti in ogni regione, i cui indirizzi si trovano sul sito dell’Agcom, come anche il modulo per l’istanza (formulario UG) da scaricare e compilare. Questo modulo può essere spedito tramite racc/ar o fax o consegnato a mano con allegata la copia della carta d’identità. La conciliazione in teoria si dovrebbe concludere in 30 giorni, in pratica ci vuole un po’ di più, ma vale la pena aspettare. In udienza si può stare da soli o farsi assistere da un avvocato, se la conciliazione riesce si redige un verbale che fa stato tra le parti, nel senso che è obbligatorio osservarlo. Se, invece, non si raggiunge un accordo, ci si può rivolgere all’Agcom (Autorità Garante per le telecomunicazioni) presentando istanza entro sei mesi dalla conclusione del procedimento; le modalità sono le stesse ma il formulario è diverso (formulario GU14) e la procedura si deve concludere entro 90 giorni, con atto vincolante per le parti che verrà pubblicato anche sul sito e sul bollettino ufficiale dell’Agcom. La condanna può prevedere il rimborso delle somme non dovute da parte dell’operatore o il pagamento di un indennizzo e delle spese del procedimento. L’altra strada che si può percorrere in caso di esito negativo della conciliazione è adire l’Autorità Giudiziaria. Fino a 5000,00 euro è competente il giudice di pace e per le cause di valore entro la somma di € 516,00 si può stare in giudizio da soli. Procedure di conciliazione si possono attivare anche presso le Camere di Commercio, ma qui ci sono dei costi da sostenere.

Quello che è comunque importante è far valere i propri diritti anche a costo di perseveranza e tenacia, perché nonostante l’esistenza delle leggi e, quindi, delle tutele, bisogna lottare in quanto i gestori telefonici tendono ad attuare comportamenti arroganti e fuori legge.

Maria Cipparrone

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