E’ stato ucciso un servitore dello Stato, un uomo posto a difesa della collettività, è stato colpito alle spalle, nella frazione di uno sparo, da un altro uomo, anch’egli morto, che non ha rispettato quel patto di lealtà stipulato con tutta la società; un uomo detenuto a cui era stata concessa una seconda possibilità, ritornare a essere un uomo nuovo, attraverso la dignità del lavoro e degli affetti recuperati, e che invece ha preferito la follia lucida del premere il grilletto della pistola per ottenere un’impunità davvero impossibile.
Questo è un giorno in cui occorre avere il coraggio di uscire dalle ultime file, quelle comode, perché ben protette dall’anonimato e dal silenzio protratto, occorre farla finita con le veline dialettiche della galera, c’è necessità persino dentro una prigione di un nuovo modo di intendere la vita e quindi interpretare il futuro, al di là degli interessi di parte e delle omertà che ne incentivano le teatralità.
Carceri sovraffollate, strumenti di rieducazione-risocializzazione assenti o nell’impossibilità di essere messi in campo, leggi e norme che esistono, ma non possono essere correttamente applicate per mancanza di investimenti appropriati, anomalie istituzionali, che si sommano alle lacerazioni delle tragedie, e non sono sufficienti a giustificare l’irreparabile.
Né sono sufficienti a mascherare l’inaccettabilità dell’indifferenza, quando una scelta di cambiamento è stata fatta attraverso un riesame del passato e un mutamento interiore che portano a una nuova condotta sociale.
Non sono sufficienti, perché l’uomo nuovo non può cavarsela con un’alzata di spalle o con un "io non c’entro".
Questo è un giorno in cui per ogni uomo detenuto le parole debbono impegnare i pensieri, e di conseguenza gli atteggiamenti quotidiani, affinché quei valori ritrovati e riconquistati a fatica con l’aiuto degli altri, non perdano significato fino a rimanere parole vuote.
Vincenzo Andraous
Responsabile Centro Servizi Interni - Comunità Casa del Giovane - via Lomonaco 43 -Pavia 27100