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A Proposito di timidezza...
di Giorgio Marchese  ( direttore@lastradaweb.it )

7 novembre 2008






Cos'è la timidezza? Come si può affrontare?


 

A spasso verso un futuro migliore...

Caro dottore, dopo aver letto il suo articolo su come rendere efficace la comunicazione interpersonale ("Per intendersi meglio", N.d.A.), sono rimasta colpita dalle spiegazioni che ha fornito sulla timidezza: dal momento che mi sono rivista in ciò che ha detto, potrebbe spiegarmi qualcosa in più?

Cominciamo a chiederci cosa significa, nella lingua italiana, timidezza. Lei si trova a disposizione i miei dizionari per cui, come mi diceva spesso Giovanni Russo, "Animo e coraggio!".

Vediamo...

Timido: schivo e riservato; incerto, esitante, che si impaurisce facilmente, in particolare detto di persona che prova soggezione, disagio, imbarazzo di fronte agli altri; che per temperamento è esitante, impacciato, insicuro.

Le aggiungo che il termine timido, deriva dal latino timidus e pavidus, che significa temere, aver paura, quasi a dire titubanza, che viene da riverenza. Posso aggiungere che, in greco, significa stima da venerazione e timore da riverenza nei confronti degli altri. Quindi, in pratica, chi è timido si sente inadeguato rispetto a ciò che pensa essere lo standard stabilito da altri.

Ma allora che differenza c’è rispetto al senso di inadeguatezza?

Le due cose sono collegate. La persona timida mette in atto la paura di mostrarsi come protezione perché si sente inadeguata.

Quindi, per non apparire timidi, va risolto il senso di inadeguatezza?

La sua affermazione è corretta anche perché, molte volte, il senso di inadeguatezza non corrisponde all’effettiva inadeguatezza. Le faccio presente che ci sono molte persone handicappate fisiche che riescono a svolgere una vita gratificante sotto molti aspetti, addirittura più gratificante di quegli esseri umani cosiddetti normali, sempre dal punto di vista fisico. In un documentario che ho visto, si mettevano in evidenza dei ragazzi paralizzati a seguito di incidenti, che avevano organizzato una squadra di pallacanestro e riuscivano a fare canestro (con la carrozzina!) in un modo in cui, molti di noi cosiddetti "normali", non riuscirebbero affatto! Ecco perché l’essere inadeguati è diverso dal sentirsi inadeguati.

Lei mi spiegava che la persona timida si crea da sola degli standard cui ritiene di doversi uniformare...

Tutto parte dal concetto di sentirsi accettati. Fin da piccoli, otteniamo il gradimento altrui qualunque cosa noi facciamo. In questo modo impariamo a stare al centro dell’attenzione, a sentirci importanti, a sentire che qualcuno ci considera importanti, quasi indispensabili. Man mano che passa il tempo, quest’accettazione ci viene gradualmente tolta. Il problema nasce dal fatto che noi non viviamo questa trasformazione della realtà come un’abitudine dei nostri comportamenti che si crea nella mente altrui: cioè se un bimbo di 6 mesi prende una palla e ci gioca, crea un certo effetto negli adulti che gli stanno intorno, se lo fa un bambino di 3 anni ne crea un altro, di abitudine, di normalità. Appena un bambino inizia a scrivere, a 4-5 anni, è al centro dell’attenzione; un adolescente che redige un tema, per quel motivo, non sarà considerato importante. E allora, mentre gli altri acquisiscono una distanza emotiva nei nostri confronti (perché ci vedono crescere e, quindi, l’approccio cambia) noi, dal punto di vista certamente non razionale, non neutrergico, viviamo il tutto come una riduzione di accettazione, che ci comporta il non sentirci più importanti, e quindi, cerchiamo di scoprire dei sistemi per ritornare al centro dell’attenzione altrui.

Finché non superiamo il periodo prodromico di una fase più matura (adolescenza ed oltre), metteremo in atto una serie di aspetti caratteriali che andranno dall’esibizionismo al comportamento esagerato sotto diversi aspetti, ad altro ancora, pur di raggiungere quell’obiettivo "vitale". Se non ci riusciremo, ci proteggeremo dietro la paura di mostrarci per timore di essere rifiutati.

La persona matura, invece, anche in quei casi in cui la timidezza deriva dall’eccesso di frustrazioni negative legate a rimproveri ricevuti da parte di genitori, amici (docenti, allenatori, etc.) per non aver raggiunto delle qualità adeguate a ciò che si aspettavano, reagisce riducendo l’importanza dei giudizi altrui e costruendo una valutazione di sé (come autostima) basata su quello che di positivo si costruisce giorno per giorno e, quindi, spostando i valori su ciò che è più adeguato a leggi di natura rispetto a quanto altri giudicano essere corretto.

Però, finché non si incontra qualcuno che ci spieghi il corretto funzionamento delle "cose", come si fa?

Sarebbe troppo semplice risponderle che, fintanto che non si matura, si soffre e basta!

In realtà, se si capisce che ci può essere una strada da percorrere per maturare, ogni esibizione "pubblica" viene vissuta come esperienza grazie alla quale allenarsi per migliorare ed "aprirsi" alla vita.

Come le ho accennato in precedenza, tutto parte dal bisogno di stare al centro dell’attenzione. Poi, proprio per la paura di non essere accettati dagli altri, perché giudicati inidonei, noi ci impediamo di metterci alla prova. Quando, invece, avremo acquisito una sufficiente solidità interiore ed una sufficiente autostima, allora il giudizio degli altri lo considereremo non tanto importante da farci dubitare delle nostre capacità per cui, saremo disponibili ad esporci in eventi disparati vedendo il tutto come esperienza che ci consente di allenarci, e non come mezzo per stare al centro dell’attenzione e mendicare l’attenzione altrui. Con questa forma mentis non avremo paura di sbagliare: d’altronde l’umanità procede e "migliora", anche attraverso gli errori. Dicono i cinesi, "se chiuderete la porta ad ogni errore, anche la verità resterà fuori!"

Ma gli standard cui uniformarci, chi li stabilisce?

Gli standard li stabiliamo noi sulla base dei parametri che osserviamo, nell’ambiente in cui viviamo. Le persone non molto mature, si fanno condizionare eccessivamente da ciò che pensano gli altri. A volte, addirittura, si crea un fenomeno paradosso per cui, se non abbiamo raggiunto i risultati che ci eravamo prefissati, rimaniamo insoddisfatti anche quando gli altri ci approvano: questo accade perché i parametri di autogiudizio (che abbiamo acquisito dagli altri) non perdonano!

A livello inconsapevole, siamo convinti che gli altri si aspettino da noi chissà quali risultati... quando invece, come diceva Vasco Rossi in Roxy Bar "Ognuno, in fondo, pensa ai c... suoi".

Quindi, per superare la timidezza bisogna aumentare la propria autostima.

È proprio così!

Però, per aumentare l’autostima bisogna cimentarsi di più nell’esperienza e nel lavoro?

Si, perché bisogna avere elementi legati all’autostima corretta.

Ma se una persona ha dei blocchi che gli impediscono di fare esperienza, come fa?

Ho capito che si sta riferendo a lei. Ebbene, dopo averne discusso tanto, posso concludere in questo modo: si chiede aiuto, rivolgendosi a persone mature in grado di aprire una breccia nelle proprie convinzioni, attraverso cui far entrare una luce di verità.

E spero che, finalmente, il discorso le sia chiaro!

Touché!

Mah, speriamo!

Ehemm... lei mi spiegava che una persona reagisce in diversi modi alla timidezza.

È vero. Se consideriamo che la timidezza è uno stato d’animo conflittuale conseguente a sentimenti di inadeguatezza che determinano un muro, si può:

  • Rinunciare... e tenersi i blocchi!
  • Aggirare l’ostacolo, attraverso sistemi vari (mentre il rinunciare dimostra paura e fuga di fronte alle difficoltà, l’aggirare può denotare flessibilità, senso di opportunità o scarsa autostima, perché per aggirare l’ostacolo si cerca di evitarlo);
  • Sfondare l’ostacolo, che denota aggressività con scarso impegno di neutrergia e razionalità (molte volte, di fronte all’impossibilità di superare la difficoltà, si rinuncia essendo convinti di risultare incapaci);
  • Studiare la strategia migliore per risolvere (e in questo caso, può essere necessario l’intervento di uno specialista competente).

Ma se una persona cerca di non dare importanza al senso di inadeguatezza, non rischia di non valutare correttamente i propri limiti e, magari, di attivarsi in qualcosa per cui è competente?

Bisogna imparare ad essere realisti, nel senso vero del termine! Nel momento in cui le ho detto che il sistema migliore è quello di valutare correttamente cosa significa essere inadeguati rispetto all’obiettivo che ci si è proposto, le ho già risposto. Se io mi propongo di effettuare un intervento chirurgico senza averne le capacità, è una cosa seria e pericolosa, per cui ci devo rinunciare. Il rinunciare non significa fuggire di fronte all’ostacolo, ma prendere consapevolezza delle mie incapacità per cui, o frequento un corso per diventare chirurgo o devo lasciar perdere!

Però, io mi sono prodotta sintomi che mi hanno impedito di fare qualunque cosa. In questi casi, come si fa a sormontare l’ostacolo?

I sintomi li produce per rigidità caratteriale: infatti lei, per valutarsi in maniera adeguata, pretende di aver acquisito determinati standard da cui si sente lontana. Se, invece, lei impara a mettere in atto una flessibilità mentale, non correrà questi rischi. Infatti, a quelle condizioni, se si accorge che deve migliorare, opererà in maniera da implementare le sue capacità, lucidamente e senza drammi.

Insomma, ho capito che è bene abituarsi all’idea dell’essere umano condannato all’imperfezione!

Non è proprio così! L’essere umano tende verso la perfezione: solo che per raggiungere l’obiettivo...ci vorrà molto... ma molto tempo! Vorrei concludere questo incontro invitandola a non dar credito (senza prima aver verificato) ai pensieri della gente.

"Riflettere è considerevolmente laborioso; ecco perché molta gente preferisce giudicare".
(Ortega y Gasset)

G .M. - Medico Psicoterapeuta

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