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La vita in ogni respiro.
di Giorgio Marchese  ( direttore@lastradaweb.it )

22 febbraio 2012






Sì, sono milioni di stelle. E milioni di stelle sono due occhi che le guardano!


A spasso verso un futuro migliore

La prima stesura di questo lavoro, risale al 4 luglio 2010. Però, a distanza di quasi due anni, un argomento così importante, meritava una trattazione più accurata e approfondita. Ci auguriamo che sia di vostro gradimento.

Dicono che c’è un tempo per seminare e uno che hai voglia ad aspettare; un tempo sognato, che viene di notte, e un altro di giorno teso, come un lino a sventolare. C’è un tempo negato e uno segreto, un tempo distante che è roba degli altri, un momento che era meglio partire... e quella volta che, noi due, era meglio parlarci. C’è un tempo perfetto per fare silenzio, guardare il passaggio del sole d’estate e saper raccontare ai nostri bambini quando è l’ora muta delle fate. C’è un giorno che ci siamo perduti, come smarrire un anello in un prato e c’era tutto un programma futuro, che non abbiamo avverato. È tempo che sfugge, niente paura, che prima o poi ci riprende! Perché c’è tempo, c’è tempo, c’è tempo, c’è tempo... per questo mare infinito di gente. Dio, è proprio tanto che piove e da un anno non torno; da mezz’ora sono qui arruffato dentro una sala d’aspetto di un tram che non viene. Non essere gelosa di me della mia vita, non essere gelosa di me, non essere mai gelosa di me. C’è un tempo d’aspetto, come dicevo, qualcosa di buono che verrà, un attimo fotografato, dipinto, segnato... e quello dopo, perduto via senza nemmeno voler sapere come sarebbe stata la sua fotografia. C’è un tempo bellissimo, tutto sudato, una stagione ribelle, l’istante in cui scocca l’unica freccia che arriva alla volta celeste e trafigge le stelle. È un giorno che tutta la gente si tende la mano... è il medesimo istante per tutti, che sarà benedetto, io credo da molto lontano. È il tempo che è, finalmente, o quando ci si capisce, un tempo in cui mi vedrai accanto a te, nuovamente, mano alla mano: che buffi, saremo, se non ci avranno nemmeno avvisato.! Dicono che c’è un tempo per seminare e uno più lungo per aspettare, io dico che c’era un tempo sognato, che bisognava sognare. (Ivano Fossati)

Se, diventare saggi, significa anche e, soprattutto, rendersi conto di molte delle inutilità che ci attendono nella nostra Società, come facciamo per non perdere la motivazione, abbandonando i propri progetti e finendo col cadere nell’oblio?

Molti grandi uomini (ma anche grandi donne), una volta raggiunta la consapevolizzazione degli assurdi sociali, hanno perso mordente nel continuare e, in virtù dello stretto rapporto che esiste fra quello che pensiamo e ciò che determiniamo in noi (grazie alle diffusioni delle emozioni, attraverso il sistema limbico), hanno deciso di terminare anzitempo la loro esistenza terrena, attraverso la produzione di patologie inguaribili.

Per quanto riguarda noi "comuni mortali", ogni tanto, quando entriamo in crisi per aver pensato quello di cui stiamo parlando, creiamo un vuoto di relazioni. Il più delle volte si cerca una strada per continuare a mascherarsi da persone sicure, fino ad arrivare a sistemi come alcol e droghe che servono a stordire i sensi di inferiorità (salvo poi viverli "amplificati" alla fine dell’effetto di questi tossici).

In verità, l’individuo contemporaneo tende a bloccare il dialogo con se stesso, per non sentire il fastidio nei propri confronti, derivante da scarse realizzazioni.

Qual è la strada da percorrere?

Non resta che continuare a puntare su se stessi, imparando a valorizzare sempre meglio le proprie potenzialità inespresse, così da affrontare le proprie debolezze e riuscire, finalmente, a stimarsi e proteggersi.

Un grande maestro disse ai suoi allievi: "Andate nella foresta e riportatemi tutto quello che ritenete inutile". Ognuno di loro tornò con qualcosa: un’erba, una radice, una corteccia. Solo uno studente tornò a mani vuote. Ma proprio lui, venne elogiato dal maestro. Aveva capito che ogni cosa, nella foresta, era utile e che non c’era nulla di superfluo. Quello studente diventò il medico di corte e uno dei grandi rishi dell’Ayurveda.(Tiziano Terzani)

Qual è il senso che possiamo dare alla vita?

Il vero amore non è né fisico né romantico. Il vero amore è l’accettazione di tutto ciò che è, è stato, sarà e non sarà. Le persone più felici non sono necessariamente coloro che hanno il meglio di tutto, ma coloro che traggono il meglio da ciò che hanno. La vita non è una questione di come sopravvivere alla tempesta, ma di come danzare nella pioggia! (Kahlil Gibran)

Nel 2003, esce, nelle sale cinematografiche L’ultimo Samurai, di Edward Zwick, con Tom Cruise. È la storia del Capitano Algren del 7° cavalleggeri e del suo coinvolgimento nell’epopea che decretò l’ingresso della civiltà nipponica tra le moderne potenze militari. Il prezzo da pagare fu mettere fine alla millenaria tradizione dei samurai, guardia scelta dell’Imperatore, guidata nel suo canto del cigno da Katsumoto, grande guerriero

"Nel 1876, un capitano americano, Nathan Algren, viene incaricato per conto dell’Impero Giapponese di addestrare l’esercito dell’imperatore Meiji allo scopo di eliminare i samurai ribelli presenti nel territorio. Algren è alcolizzato e lavora pubblicizzando i fucili della Winchester. La missione affidatagli è, per lui, solo un modo per fare soldi e fuggire dai fantasmi del suo passato poco onorevole. Arrivato in Giappone, scopre un mondo in piena conflittualità tra la frenetica corsa alla modernità tecnologica e commerciale voluta dal nuovo e giovane imperatore e la cultura millenaria di un popolo dedito alla filosofia e alla guerra ideologica dei samurai.

I generali giapponesi vogliono affrettare la guerra e inviano subito le truppe per intercettare i samurai, anche se Algren cerca invano di convincerli che le truppe non sono pronte. Infatti l’esercito è costretto alla ritirata e durante il combattimento, Algren, dopo aver falcidiato un gran numero di nemici, viene infine ferito e gettato a terra sanguinante; dopo un estremo tentativo di difesa, mentre è accerchiato dai nemici, ecco comparire il generale dei ribelli Katsumoto che, vedendolo battersi con eroismo e a causa di una sua visione precedente, decide di non ucciderlo; così, Algren viene fatto prigioniero e portato sulle montagne, nel villaggio dei ribelli. Lì, il capitano impara a conoscere lo spirito, la filosofia e gli ideali samurai fino al punto da decidere di passare a combattere dalla loro parte; nel frattempo, si innamora di Taka, sorella del capo villaggio Katsumoto e vedova di un onorato guerriero che egli stesso ha ucciso nel combattimento, la quale si prende cura di lui durante la convalescenza".

Solo i bigotti e i soldati si inginocchiano: i primi, a messa, per pentirsi dei peccati; i secondi, quando sparano... forse, per chiedere perdono dell’assassinio. (Voltaire)

Come questi fiori, stiamo tutti morendo.

Il fiore perfetto è una cosa rara. Se si trascorresse la vita a cercarne uno, non sarebbe una vita sprecata

Chi li ha mandati, ad ucciderti?

Sto scrivendo una poesia su un sogno che ho fatto. Gli occhi della tigre sono come i miei, ma lei ha attraversato un mare profondo e agitato...

È stato l’Imperatore? Humura?

Se l’Imperatore vuole la mia morte, non ha che da chiederlo.

È stato Humura.

Ho qualche problema a finire la poesia. Sai suggerirmi un verso conclusivo?

Non sono uno scrittore!

Eppure, hai scritto molte pagine, da quando sei arrivato.

Cos’altro ti ha detto, lei?

Che hai degli incubi.

Tutti i soldati, hanno degli incubi.

Solo chi ha vergogna per quello che ha fatto.

Non hai idea, di cosa ho fatto!

Tu hai visto molte cose...

È proprio così!

... e non temi la morte ma, anzi, qualche volta, la desideri. Non è vero?

Si!

Anche io!

Capita, a chi ha visto, ciò che noi abbiamo visto. Allora, vengo in questo luogo insieme ai miei antenati e mi torna un pensiero: come questi germogli, stiamo tutti morendo. Riconoscere la vita in ogni respiro, in ogni tazza di the... e ogni vita che togliamo... è la via del guerriero!

La vita in ogni respiro...

L’Imperatore ha concesso un passaggio sicuro fino a Tokio, partiamo domani.

Bene!

Quando ti ho preso questi, tu eri nemico...

Ogni persona ha il dovere di proporsi e raggiungere la realizzazione di obiettivi a breve, medio e lungo termine. Per il medio periodo, sarebbe opportuno giungere ad acquisire il "miglior" numero di conoscenze al fine di avvicinarci il più possibile alla "conoscenza"; ovviamente, come breve termine, non possiamo evitare di metterci in condizione di potercelo permettere, economicamente e mentalmente.

E per il lungo termine?

Lo si scoprirà man mano. La vita è come un videogame nel quale, come scopo, hai quello di giungere ai livelli superiori facendo attenzione a non impantanarti per evitare il "game over"..

La verità è fatta come l’Everest: di tante rocce, ciascuna sfaccettata a suo modo. Nessuna di quelle rocce, tuttavia, può vantarsi di essere, da sola, l’Everest (Tendzing Dzang-Po, Lama capo del monastero di Tengboche)

Per sentirci a posto, quindi?

Non guasterebbe essere ricordati, nell’almanacco dei fatti del mondo, all’interno della sezione "Persone utili al superamento dell’angoscia legata alle problematicità della finitezza umana ed in grado di agire per lo sviluppo ed il benessere collettivo"

Il bruco e la farfalla

Chi è quel "signor Méndez" che ha pietà di noi, che ci fa stupire... e che trasforma il bruco deforme della nostra anima in una splendida farfalla ?

C’è da tempo, in rete, un cortometraggio bellissimo The Butterfly Circus (Il circo della farfalla) diretto da Joshua Weigel. Dura 20 minuti ed è sottotitolato in italiano. Penso che si sbaglierebbe a credere che questo stupendo film metta a tema la sofferenza della disabilità o l’emarginazione.

Per me non è un film sui corpi, ma sulle anime e lo suggerisce proprio il "signor Méndez", direttore del "Circo della farfalla" che presenta alla fine Will come "un’anima coraggiosissima".

La "deformità" di Will, la sua mutilazione è l’immagine della nostra povera umanità, l’immagine di ciascuno di noi, inchiodato al proprio limite, alla propria incapacità, alla propria disperazione e solitudine, al proprio peccato, ai propri sbagli, al proprio "non essere amato" e quindi vittima impotente di un mondo crudele che trae guadagni dalle sue mostruosità.

La storia, infatti, si apre proprio sullo spettacolo crudele del mondo, che di questa miseria umana fa spettacolo: "il miglior spettacolo, di mostri, della città".

Promesse di soldi, dolore e crudeltà, tristezza. E quei poveretti esposti come animali e crudelmente derisi per le loro deformità...

Il tipaccio che li illustra, infine annuncia: "Una perversione della natura, un uomo - se così lo si può chiamare - a cui Dio stesso ha voltato le spalle!".

Ecco, questo è il modo come noi ci vediamo e vediamo gli altri: abbandonati da Dio. E quindi asserviti a chi fa senza scrupoli mercimonio della nostra umanità.

Il pubblico davanti a Will alterna sguardi di orrore, derisione, risolini e crudeltà.

Ma quel giorno, in quel cinico Luna Park, è arrivato un uomo diverso da tutti.

Il "Signor Méndez" ha uno sguardo diverso su quei poveretti.

Ecco, la sua compassione, il suo fermare la crudeltà dei ragazzetti, il suo levarsi il cappello davanti a Will, il suo "tu sei magnifico!", l’immediato perdono per lo sputo del povero disperato che credeva di essere deriso perché lui non si vedeva "magnifico".

Il "Signor Méndez" è subito pronto a scusarlo e giustificarlo: "Non è successo niente. E’ colpa mia. Forse mi sono avvicinato un po’ troppo, giusto amico?".

Chi è quest’uomo strano, unico? E’ il "signor Méndez", famoso perché direttore del "Circo della farfalla", quello che - secondo il mondo - fa "spettacoli stravaganti".

E’ considerato "strano", "stravagante", perché è diverso dal luna park delle mostruosità.

Will decide di andare col "Circo della farfalla", dove lo accolgono con calore, ma non gli fanno fare quello che faceva prima perché "da noi non c’è nessun fenomeno da baraccone".

Il "Signor Méndez" gli dice: "Non c’è niente di edificante nell’esporre le imperfezioni di un uomo... noi siamo contenti che tu stia qui con noi e puoi restare finché vuoi, ma io dirigo un altro tipo di spettacolo"

È lo spettacolo della bellezza, dell’armonia, dell’audacia, dell’abilità umana. Lo si vede quando in un villaggio triste e decadente arriva la compagnia del "Circo della farfalla"....

Il "Signor Méndez" annuncia: "Signori e signore, ragazzi e ragazze, ciò di cui ha bisogno questo mondo è di un po’ di stupore".

Il "signor Méndez" guarda i suoi artisti incantato e commosso. E sussurra a Will: "Splendidi, non è vero? Come si muovono, pieni di forza, colore e grazia. Sono sbalorditivi!"

Poi lo scuote bruscamente. Gli fa capire quanto è crudele e ingiusto ciò che pensa di se stesso, facendogli capire che anche lui può essere come loro.

Infatti gli svela qual è la vera bellezza dei suoi artisti: sono tutti dei redenti, sono persone che erano state buttate dal mondo come perduti e perdenti. E sono rinate.

Perché il "Circo della farfalla" mostra appunto questo meraviglioso spettacolo: il bruco deforme che diventa bellissima farfalla.

"Se soltanto, tu, potessi vedere la bellezza che può nascere dalle ceneri".

"Ma sono diversi da me"

"Sì, tu un vantaggio ce l’hai: più grande è la lotta e più è glorioso il trionfo".

(Antonio Socci)

Che senso ha?

Quello di ricercare l’autoaffermazione, in maniera corretta, nella misura in cui la consideriamo come quella condizione di chi mira ad esprimere pienamente se stessi (nel rapporto con la propria identità e nei riguardi del contesto ambientale "ristretto" ed "allargato"), la propria personalità (in maniera proporzionale alle proprie capacità introspettive) ed il proprio ruolo (essere umano integrato nel tessuto sociale, come partner, genitore, figlio, fratello, soggetto economicamente produttivo, etc.).

La scienza ci spiega che, quando nasciamo (sotto forma di zigote), riceviamo in "dote" un pacchetto energetico (che si genera dalle reazioni nucleari intracellulari) in leasing, da "restituire" al termine del nostro ciclo di esperienza terrena. Possiamo ipotizzare che l’obiettivo di madre Natura sia quello di "utilizzarci" nell’aspettativa di un "ritorno migliorativo".

Per tutte quelle volte che sei riuscito a capirmi... Per tutte quelle volte che mi hai regalato un sorriso... Per tutte quelle volte che sei riuscito a farmi sentire importante... Per tutte quelle volte che mi hai dimostrato e dichiarato il tuo bene... Per tutte quelle volte che mi sei stato vicino, pur essendo lontano... per tutte quelle volte che avrei voluto dirti tante cose che hai compreso senza che io aprissi bocca... per quello che sei, e sarai sempre per me: grazie!

Cioè?

Con le esperienze che portiamo avanti (studio, lavoro, rapporti interpersonali, etc.), "evolviamo" la nostra persona e l’energia a nostra disposizione... e poi, un giorno, la restituiremo! Potrebbe essere questa, la base da cui trae spunto l’evoluzione globale dell’ambiente, per cui ogni generazione si ritrova più "avanti" della precedente. Ruoterebbe intorno a ciò, in fondo, il motivo per cui siamo chiamati a vivere: evolvere e condividere.

Tra l’altro, sul piano puramente "energetico", riusciremo ad "entrare" nella mente delle persone sotto forma di ricordo di noi, tanto più difficile da cancellare quanto più saremo considerati punti di riferimento positivi o, addirittura, elementi di identificazione: ci perderemo nei circuiti neurali degli altri diventando una cosa sola, inter reagente. Probabilmente è la migliore spiegazione dell’inconscio collettivo di Junghiana memoria.

D’altronde, basta osservare, in Natura, la trasformazione, ad esempio, di una foresta, la pianta nasce, cresce, si sviluppa dopo di ché comincia a rinsecchirsi ma, nel frattempo, ha disperso intorno a sé gli elementi fondamentali che daranno vita a nuove piante. In questo modo, la componentistica iniziale, consente la prosecuzione sine die, senza interruzione, senza soluzione di continuità di ciò che è stato, di ciò che rappresenta e di ciò che sarà.

Ne l’ultimo Samurai, questi ultimi combattono per le tradizioni e per l’Imperatore a cui sono fedeli fino alla morte e contro gli ideali occidentali del commercio e della tecnologia, voluta da politici e generali senza scrupoli. Il capo dei ribelli samurai, Katsumoto, si incontra con l’Imperatore Meiji ma questi è troppo debole per opporsi al volere del generale Omura ed ai politici. Katsumoto viene arrestato e, come da tradizione, lo aspetta il suicidio rituale. Ma Algren e i samurai lo liberano e lo convincono a morire, non per suicidio, ma riguadagnando l’onore combattendo. Tutti sono consapevoli che le spade dei samurai sono ben poca cosa al confronto con le mitragliatrici e i fucili dell’esercito; nella battaglia finale, nonostante le mitragliatrici avversarie, i samurai resistono finché possono, morendo ad uno ad uno. Alla fine, Katsumoto chiede ad Algren di aiutarlo a morire con onore. I soldati dell’esercito regolare giapponese, si inchinano davanti a tanta "grandezza

A questo punto della vita... che il mio cavallo possa riportarmi a Sweet Water. Un giorno o l’altro! (Andrea B. Nardi)

La vita è veramente curiosa e imprevedibile: pensi di avere raggiunto un equilibrio, un traguardo e, quando meno te lo aspetti, ti si sconvolge tutto e si ricomincia tutto daccapo. Le ferite non completamente rimarginate ricominciano a sanguinare un po’, invece quei taglietti impercettibili finchè non ci passi il dito sopra si aprono lasciando intravedere quanto profondi essi siano... e ti ritrovi a fare i conti con tutto quello che avevi archiviato e messo da parte, a viaggiare all’impazzata all’interno della mia anima. Ma poi, pian piano tutto si sistema e....si ricomincerà tutto daccapo. Questo è il segreto della vita, un percorso circolare che non ti riporta sempre al punto di partenza però, perchè quello che lasci nel momento in cui vai è sottoposto, come noi, al cambiamento, alla trasformazione. Per cui, quando arrivi, dopo il giro, trovi che tutto è cambiato. E questo ti stravolge. La malinconia, in tutto ciò, trova la sua più ampia spiegazione: il dolore è sempre quello del distacco. In fondo poche sono le cose da capire per poter viaggiare afferrando tutto quanto può donare la serenità, ma questo solo verso la fine, la fine del viaggio (F. A.)

Nella storia del genere umano, sono stati diversi i periodi rimasti impressi nell’immaginario collettivo. Dagli Spartani alle Termopili, passando per gli antichi Romani con le loro guerre puniche, fino ad Alessandro Magno o i moschettieri del Re e i Cavalieri della Tavola Rotonda (con il loro Sacro Graal)...

Ma il West, è un’altra cosa. È, esattamente, l’ambientazione speculare dei dettami che hanno guidato l’Oriente, ai tempi dei Samurai. Con gli ovvi aggiustamenti della vita "occidentale". Una vita in ogni respiro, quindi, fino all’ultimo momento, quando ci si accomiata con onore e dignità. Ovviamente parliamo delle zone degli Stati Uniti d’America ad ovest del Mississippi nel periodo di progressiva occupazione da parte degli americani bianchi (con conseguente spodestamento degli Indiani autoctoni), più o meno lungo tutto il 1800. Il West è, soprattutto un modo di essere, un ideale di libertà, una terra di frontiera tutta da scoprire (o da inventare, a seconda di come la si vuole vedere), dove la legge è qualcosa di non ben definito e decisamente "personalizzato". Il West, quello vero, rappresenta anche l’esempio di una conquista realizzata col coltello in mezzo ai denti, metro per metro, frutto della forza di volontà e di quello delle armi. Il variegato "sociale" del West prevede i pionieri, gli scout, i mountain man, i cow Boy, i banditi, i cercatori d’oro, i pellegrini (mormoni, anabattisti, metodisti, etc.) e, finché gli è stata data facoltà di resistere, naturalmente gli Indiani.

C’era una volta il West, Sergio Leone lo gira nel 1968 (primo di una "trilogia del tempo" che comprende Giù la testa, nel 1971 e C’era una volta in America, nel 1984) ed è talmente bello da aver meritato, nel 2009, di essere preservato nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti.

"La pellicola rappresenta una sorta di immenso poema epico sulla fine di un’epoca e, al tempo stesso, un imponente inno funebre per un genere cinematografico tanto amato al mondo. Proprio la ferrovia, centro e filo conduttore di tutta la vicenda narrata nel film, rappresenta, con il suo arrivo, la nuova civiltà che avanza e che è destinata a spazzare via in poco tempo il West e la sua epopea, i suoi scenari selvaggi e i suoi personaggi rudi e solitari. La maestosa sequenza finale, l’inquadratura che si alza sulla vallata, con la prima locomotiva che arriva, festeggiata dagli operai e l’allontanarsi malinconico di Armonica (Charles Bronson) da Sweet Water, ne è quasi la sintesi perfetta, sottolineata dal titolo, "C’era una volta il West", che compare negli ultimi secondi a sancire appunto la fine di un’epoca". (Fonte Wipedia)

"Mi spiace, Armonica, ma io resto qui!"

- "Chi?"

- "Mister Ciuff-Ciuff! Nemmeno lo contavo, quella specie di mezzo uomo! Ha avuto paura! Ehi, Armonica! Quando toccherà a te, prega che sia uno che sa dove sparare! E adesso Vattene! Non mi va che mi guardi mentre muoio!"

 

G. M. - Medico Psicoterapeuta

 

Si ringraziano, rispettivamente, Alessandro Citro (Professore, Counselor in formazione), Emanuela Governi (Dottore in Scienze Sociali, Mediatore Familiare, Counselor in formazione), Erminia Acri (Avvocato, Counselor), Fernanda Annesi (Biologa C.N.R. - Counselor), per gli utilissimi spunti utilizzati nella stesura del dattiloscritto.

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