La
verità del bosco, in fondo, è dare un senso a tutti gli
alberi” (Roberto Vecchioni). Frasi
come queste non sono soltanto ad effetto ma, semmai “generano”
un effetto. Di quello che ti entra dentro e non te ne liberi perché
ti lega al bisogno della ricerca della verità. In
ogni particolare.
Naturale, quindi, che abbeverato, fin dall'adolescenza, al piacere
dell'esistenzialismo (con i suoi angosciosi risvolti di fronte ad
Universo troppo grande rispetto al nostro essere, così
piccolo...) io abbia percorso sentieri eclettici ma, tutti, tendenti
ad aggiungere tasselli nella composizione di un mosaico esistenziale.
Guardando
la montagna sacra quella mattina, l'uomo notò che aveva
un'espressione sorniona. Quella montagna era nota per la sua
mutevolezza espressiva, come se volesse dirgli "oggi ti svelerò
il mio segreto, ma dovrai sudare per scoprirlo". L'uomo si
accinse a scalarla e, dopo ore e ore di cammino (a volte anche su
sentieri impervi e pericolosi), finalmente arrivò in cima. Qui
si fermò sia per riprendere fiato che per aspettare che la
montagna rivelasse il suo segreto. Poiché non succedeva nulla
si mise ad osservare il panorama e, con sua sorpresa, si accorse che
c'era un'altra montagna, più alta di quella su cui lui si
trovava: doveva essere quella la montagna sacra! Allora si mise in
cammino e, dopo una scalata ancora più lunga e faticosa, arrivò sulla vetta... PER LEGGERE TUTTO IL TESTO, CLICCARE SUL TITOLO.
... anche qui rimase in attesa e di nuovo non successe nulla. Scorse , allora, un’altra montagna, più maestosa di quella che aveva raggiunto. Di montagna in montagna, col passare dei
giorni, gli sembrò di aver raggiunto la vetta più alta.
La sua meraviglia fu enorme nello scoprire che, osservando, in
lontananza, la prima delle montagne da lui scalate, questa gli
apparve più alta di quella su cui stava! A questo punto,
finalmente, sentì (forse dentro di sé) una voce porgli
una domanda: "Credi, forse, di scoprire il segreto della
montagna sacra continuando tutta la vita a scalare montagne? Stai
sbagliando... il segreto è considerare sacra ogni montagna che
scali!" (Antica leggenda Araba).
Nel
mezzo del cammino della mia vita (forse un po’ più, visto che
l’età media non va oltre gli 85 anni...) ho cercato di capire
come mai, nonostante la tavola del puzzle fosse ormai senza più
punti vuoti io, ancora, non riuscissi a vedere la mia immagine
nitida: era come se mi specchiassi su una lastra appannata...
Ogni
linguaggio è un alfabeto di simboli il cui uso presuppone un
passato che gli interlocutori condividono" (Jorge Luis Borges)
Già,
come ho fatto a non pensarci?
Era
necessario e indispensabile appropriarmi della chiave di lettura dei
segmenti esistenziali in maniera da riuscire a comprendere la
“presenza” e l’importanza di elementi come:
l’esistenza
di una corrispondenza
analogica tra il microcosmo e il macrocosmo (l’uomo
e l’universo sono l’uno il riflesso dell’altro);
l’idea
di una natura
viva,
animata;
la
nozione di esseri angelici, di mediatori
tra l’uomo e Dio,
ovvero di una serie di livelli cosmici intermedi tra la materia e lo
spirito puro
il
principio della trasmutazione
interiore.
Caro
lettore, per raggiungere ciò, ho capito l’indispensabilità
di doversi “fondere” con quello che si ha intorno,
attraverso un viaggio che, dal potenziamento della propria identità,
porta ad una condivisione assoluta con l’energia che ci circonda. E
di cui si è composti.
E’
grazie ad una tanto necessaria quanto dolorosa crisi interiore che ci
viene consentito di oltrepassare il perimetro del “profano”
(in cui “vediamo” ma non “osserviamo”) per
entrare ina sorta di Bosco Sacro che, poi, altro non è che la
vita stessa intrisa di Amicizia interiore.
Qualche
tempo fa (precisamente nel 1987), mi è capitato di vedere un
bel film diretto da Brian de Palma in cui si descrive l’azione
di un corpo speciale di polizia che riesce ad in castrare Al Capone.
Credo di aver fatto confusione sul significato del titolo, "gli
intoccabili", ritenendo che ci si volesse riferire ad un gruppo
in grado di poter violare la legge pur di giungere al conseguimento
del proprio obiettivo.
A
distanza di molti anni, credo di aver, finalmente compreso cosa si
intendesse col significato di intoccabili: come in India, una casta
di reietti cui affidare i lavori "più sporchi". Il
crollo di un’illusione! Quella di essere al di sopra di tutto e
di scoprire, invece di esserne al di sotto, se non, addirittura,
all’interno di un disadattato fuori contesto.
Ed
in effetti, chi crediamo di essere?
Inventori,
poeti, santi, scaltri uomini d’affari, politici corrotti,
sognatori idealisti... ma, in realtà alla stregua di polli di
allevamento, se ci mettiamo a riflettere veramente e ci domandiamo
che senso possa avere la nostra vita, quale che sia la fede in cui si
possa credere, non possiamo non concludere che: siamo
fatti di energia (che
ha consentito la produzione di cellule gametiche in grado di dare
inizio, dopo la fecondazione, allo zigote da cui siamo venuti
fuori), che
qualcuno o qualcosa ha messo a nostra disposizione (per
essere sviluppata, usata e migliorata), da
condividere in vita (per
realizzare scambi, si spera corretti e produttivi) e
restituire post mortem per
essere digeriti e metabolizzati da un sistema che utilizzerà
il meccanismo per riprodurre se stesso, migliorato di generazione in
generazione.
Un
po’ come il ciclo dell’acqua...
Piove,
si formano i fiumi, beviamo da essi, uriniamo, reimmettiamo i liquidi
nei corsi d’acqua che, attraverso il meccanismo
dell’evaporazione, formeranno le nubi da cui scenderà,
nuovamente, la pioggia.
Una
partita di giro, insomma.
Con
le nostre azioni e il nostro stile di vita, possiamo scegliere di
stare in un allevamento in batteria (da cui riceviamo protezione e
perdiamo libertà) o all’interno di un’aia (esposti
alle intemperie e ai pericoli di ogni genere ma liberi di scegliere).
Partendo da una deduzione scientifico - filosofica (in base a cui, si
finisce col diventare cibo per chi ci "alleva"), la prima
tipologia è destinata a produrre una carne piuttosto insipida
(alias, uno sviluppo qualitativo e quantitativo di energia intra
atomica e intersistemica, scadente), i ruspanti, invece saranno molto
più saporiti, sviluppando sapore e consistenza (e avranno, di
conseguenza, rispettato l’obiettivo dell’allevamento).
A
questo punto, due considerazioni.
Partiamo
dalla prima: più
proviamo piacere nelle cose che facciamo (rispettando leggi di
natura) più sviluppiamo il meglio di noi ( e restituiamo
energia migliorata).
Andiamo
alla seconda: siccome
la Natura non agisce senza un motivo, potremmo immaginare che ci
venga concesso di vivere fino a quando non si raggiunga l’età
in cui si può generare dei figli dopodiché, con le
nostre azioni, dobbiamo convincere l’allevatore (alla
stregua del maialino "Babe")
che meritiamo ancora altre chance.
Proviamo
ad osservarci. Chi (o cosa)siamo diventati?
Intoccabili
(come i milioni di nuovi poveri che, in America, vivono grazie ad
espedienti e briciole di sussidi)? Falliti disillusi (come i tanti
che si sono resi conto del fatto che la propria generazione ha
"perso")?Omologati (come i nostalgici dell’edonismo
reaganiano)?
Cari
lettori,
il sottoscritto ha scoperto di essere un "drop
outs",
come in America chiamano quelli saltati giù dal treno in corsa
della modernità, quelli coi dubbi, quelli con, in testa,
l’aspirazione a qualcosa di più elevato delle solite
mete materialistiche della Società dei consumi.
"Siamo
medici e, se vogliamo essere presi sul serio, dobbiamo darci da fare;
non dobbiamo abbandonare l’approccio analogico che ha aiutato
l’umanità a sopravvivere per migliaia di anni ma è
necessario, al tempo stesso, un approccio scientifico per non finire
come i visionari che rischiano l’emarginazione e la
contestazione!" ( Galeno di Pergamo)
E
allora, cosa resta da fare?
Decidere
di lasciarsi andare e morire? Continuare a combattere, allo sbando,
come i soldati italiani subito dopo l’armistizio dell’otto
settembre del millenovecentoquarantatré?
Proviamo
a "suggerire" su cosa contare per poter dare un senso e una
sacralità alla propria vita. O
alla propria morte.
Se
è stata una vita piena, se hai potuto realizzare te stesso al
meglio delle tue capacità, se hai conosciuto amore e dolore,
se hai accettato i tuoi limiti ma hai utilizzato tutte le valenze
vitali delle quali disponevi, se non hai prevaricato, se, infine, non
sei stato avaro di te stesso; questo vuol dire aver fatto i conti con
la vita... e con la morte" (Eugenio Scalfari)
Immaginiamo
questa scena.
Stati
Uniti, 1865, guerra di secessione. Un cow boy scorge un giovane
soldato ferito e accasciato all’interno di alcune rovine.
Scende da cavallo, si avvicina, gli tocca la ferita e si accorge che
non c’è più speranza. Gli sguardi si incrociano.
Terrore e pacatezza si incontrano, occhi negli occhi. Quello in
piedi, lentamente, si toglie il cappotto e copre il morente che trema
dal freddo. Si osservano in silenzio. Si abbassa, gli passa il
sigaro... lo guarda aspirare fumo e vita... proprio quella che sta
"andando via". Il soldato sorride. Il cavallo nitrisce: ci
sono altre avventure, forse altra gente da soccorrere. Il ragazzo
muore con un filo di fumo che ricorda il legame con la vita e la
solidarietà ricevuta. Il cow boy riprende il sigaro. La
coperta no. Dissolvenza.
Ecco, è così che cerco di vivere, sperando di
morire. Come
un soldato della vita, rendendo sacra ogni montagna che tento di
scalare.
“Celebra
missam ut primam, ut unicam, ut ultimam!”
La
prima stesura di questo articolo, risale al 6 ottobre 2010. Da allora
ad oggi molte sono state le acquisizioni scientifiche ma, soprattutto
“umane”, sul piano esperienziale. Giusto, quindi, tenerne
conto per riscriverlo. E riproporlo.
Giorgio
Marchese(Medico
Psicoterapeuta, Counselor) - Direttore "La Strad@"
Si ringrazia Emanuela Governi per aver suggerito il racconto della montagna sacra