Operando
un’analisi introspettiva, potrei
dividere, sul piano temperamentale (come specchio dell’Anima,
ovviamente) la mia vita (finora condotta) in quattro fasi
importanti:
da
zero a dodici anni
(connotata dall’allegria tipica dell’età, simile, a volte a
quella descritta dal Leopardi quando parla di chi sorride fidente
trovandosi sull’orlo di un precipizio);
da
tredici a venticinque anni
(in cui, lo stato d’animo prevalente, è stato caratterizzato
da una condizione di angosciato esistenzialismo per il sentirmi
troppo piccolo di fronte ad un Universo troppo grande...);
da
ventisei a quarant’anni (periodo
di rinascita interiore, frutto dell’analisi personale condotta con il
“Maestro” Giovanni Russo che mi ha consentito di dare
colore e respiro a tutto ciò che mi ha circondato, non senza
crisi di maturazione, tanto dolorose quanto necessarie);
da
quarantuno anni ad oggi (
noto, in me, un sorriso convinto, che ricorda il “mio sé
bambino”, tipico di chi sa che nulla è come sembra, alla
luce delle disillusioni, e di chi si sente più vecchio... si,
ma con qualcosa in più, da raccontare!)
Cari
lettori,
qualcuno sostiene che, col progredire anagrafico si scopre che la
felicità non si raggiunge inseguendo gli obiettivi che
ritenevi importanti: non cerchi più di prevalere, come un
gladiatore nell’Agone del quotidiano; cominci a capire che
l’Amore di (o verso ) qualcuno non è, di per sè,
un valore assoluto; non cerchi più le emozioni intense; non
credi più all’importanza della scalata nel sociale...
una sorta di pace interiore, insomma... ma
con un sottofondo di leggera inquietudine. Forse
perchè, come sosteneva Ferdinando Pessoa, noi
non
ci realizziamo mai perchè siamo
due abissi: un pozzo che fissa il cielo.
Ma,
allora, cosa ci vuole per essere felici?
Siccome
esistono termini che vengono considerati sinonimi, proviamo ad
intenderci sul loro reale significato. Solo allora, sapremo cosa
cercare per determinare in noi, la sensazione di piacere. Comunque lo
vogliamo chiamare.
Quand’è
che possiamo definirci contenti?
Ognuno di noi crede di esserlo, quando è carico di gioia e
sprizza gaiezza. Ebbene, questo termine deriva dal Latino
“contenere”:
quindi,
il diritto di sentirci “contenti” ogni volta che avremo
l’animo appagato e lo dimostremo con dolce, calma e beata
tranquillità!
Allo
stesso modo, ci troveremo pervasi di Gioia
(dal
Latino
Iocum
iocare)
,
a condizione di avere uno stato d’animo particolarmente
positivo in consegunza di qualcosa che piace come un gioco. E (sempre
secondo la derivazione etimologica) se la gioia deriva da una
condizione amorosa (verso un partner, un elemento divino, etc.),
allora diventa “Gaudio”!
Quindi,
saremo Allegri
(dal Latino Alacer)
quando ci sentiremo motivati e disposti a darci da fare, per goderci
la vita.
E
felici?
Felicità
è un termine di derivazione latina (Felicitas),
che si riporta al verbo greco Feo
(PHYO)con
il significato di produttore
di Fecondità: in
sostanza ricchezza
interiore.
Potremmo definire, quindi, la felicità come quello stato
d’animo di “pienezza” emotiva che consegue al
raggiungimento di un obiettivo importante, per il quale ci si è
impegnati a fondo; è tipico dell’essere umano realista
(che sa valutare correttamente il positivo ed il negativo della vita
sapendo apprezzare ciò che ha e quello che può
ottenere) il quale ha acquisito, mediante l’esperienza, la
capacità di produrre benessere,
cioè quella
condizione temporanea,
conseguente
allo stato di equilibrio metabolico psicofisico (OMEOSTASI)
che
deriva dall’appagamento dei propri"bisogni".
Cari
Lettori, come forse molti di voi sapranno, circa dieci anni fa ho
avuto un po’ di quei problemi di salute dai quali si esce, per lo più
“in orizzontale”. Essendo, a dispetto delle predizioni
dei miei colleghi medici, riuscito ad andare ben oltre l’ostacolo, da
allora, per dare un senso alla mia vita e per non cadere nella noia
(con la preoccupazione di sciupare quel Tempo che mi era stato
“riconcesso”), ho percepito la necessità di
crearmi degli obiettivi di vita:
a
"breve" temine;
a
"medio" termine;
a
"lungo" termine.
Fra
i miei obiettivi a "breve" termine...
"Se
stai bene di pancia, di polmoni e di piedi, tutte le ricchezze del
mondo non potrebbero aggiungere nulla alla tua felicità"
(Virgilio). Imparare
ad utilizzare correttamente i 5 sensi che la Natura mi ha donato
dando importanza, ad esempio, a tutto quello che, nonostante tutto,
nel mio quotidiano, va bene (efficienza psicofisica - eventi positivi
cui non si dà importanza);
“E
crescendo impari che la felicità è fatta di cose
piccole ma preziose... e impari che il profumo del caffè, al
mattino è un piccolo rituale di felicità, che bastano
gli aromi di una cucina, che basta il muso del tuo gatto o del tuo
cane per sentire una felicità lieve, fatta di emozioni in
punta di piedi, di piccole esplosioni che, in sordina, allargano il
cuore” (Il
gabbiano Jonathan Livingstone).
Nei
miei obiettivi a "medio" termine...
Propormi
dei progetti mediante i quali ottenere una realizzazione (relativa a
quel progetto) e che riguardi uno dei seguenti capisaldi dell’
esistenza:
Come
obiettivi a "lungo" termine...
Imparare
a vivere secondo una dimensione umana corretta, riuscendo ad
appagare sempre meglio il senso di Autostima e quello di
Autoaffermazione:
cercando
risposte adeguate;
applicando,
nella vita quotidiana, i risultati delle proprie riflessioni;
facendo
tesoro delle esperienze conseguenti;
mantenendo
il gusto verso il nuovo... così come fanno i bambini!
Abbiamo
soltanto la felicità che siamo in grado di capire. (Maurice
Maeterlinck)
Cari
Lettori, ritengo di
poter essere ascritto nell’elenco di coloro che studiano
parecchio.
Probabilmente
leggo meno libri di quanto dovrei...
Non riesco a
trovare energia mentale a sufficienza. Ad una certa ora, il mio
cervello reclama la propria libertà dalle costrizioni cui lo
sottopongo. E allora, dopo aver assorbito molte letture saggistiche
(monografie tematiche di approfondimento), mi resta una certa voglia
di entrare nelle vite degli altri. Ma non come psicoterapeuta. Solo
per curiosare in punta di piedi.
Ecco
che, nel tempo, ho imparato a dare importanza a quello che ascolto e
osservo, durante ogni istante della mia giornata. Percorro molti
chilometri in automobile, un po’ di meno in bicicletta. Ma,
quando ci riesco, mi perdo, a piedi, sui monti della Sila, lungo
sentieri che non ci trovi nessuno. Sono questi, i momenti in cui uso
l’auricolare del mioSmartphone
per ascoltare
palinsesti radiofonici culturali e scientifici, conditi da musica e
parole. Oppure osservo Sally, il Barboncino di famiglia, che mi dà
lezioni sulle Leggi di Natura.
E
allora immagino,
come nei versi di Lucio Dalla, di
volteggiare
sopra i tetti delle città, mescolarmi con l’odore del
caffè, fermarmi sul naso della gente mentre leggono i
giornali; girare il cielo per fermarsi, ogni tanto a curiosare qua e
là volare con la polvere dei sogni inseguendo ogni battito del
cuore, per capire cosa succede dentro e da dove viene, ogni tanto,
questo strano dolore...
Seduto
sulla spiaggia deserta cerco di concentrare la mia mente su un
vecchio detto indiano che nel dormiveglia mi è entrato in
testa e non se ne va: "L’uomo dice che il tempo passa. Il
tempo dice che l’uomo passa" (Tiziano Terzani).
Come
si fa ad incolpare chi ti rende, col suo modo di essere,
particolarmente sensibile?
Eppure,
forse, mia madre avrebbe potuto contenersi, allorquando mi ha
riempito di tutto ciò che mi ha, un po’ alla volta, facilitato
il “sentire” empatico...
Si,
perchè, fin da piccolo mi sono ritrovato da solo, a vagare per
ambienti ostili dove ho conosciuto i lati più bui dell’animo
umano (una Baby sitter crudele, per intenderci che, spesso, ha
infierito)
Quelli
capaci di tatuare la pelle e il cuore.
Ecco,
costantemente impatto con quella realtà che ti costringe ad
ammettere che, in fondo, nessuno ti cede quello che ritiene essere
importante.
Nemmeno
quando diventa superfluo.
E
nonostante mi sia convinto del fatto che la libertà sia, senza
dubbio, un valore primario, quando ti accorgi di essere una vaso di
coccio in mezzo a vasi e mazze di acciaio, a volte puoi solo decidere
il sistema e la tempistica, per togliere il disturbo. Magari prima
possibile.
Ogni
tanto mi fermo a pensare, soppesando le idee... in
fondo, come il mio amico “Bracco” avrei
voluto soltanto un pezzetto di giardino nella cui vegetazione
nascondermi. E, da lì, osservare il Mondo, per capire la
differenza che c’è, se c’è, fra l’Inferno
e il Paradiso.
Ecco,
se fossi stato un cane, credo
che (come fa la mia Sally) mi
sarebbe piaciuto saltellare felice accanto ad una mano affettuosa,
anche a dividere il nulla. Ma con grande sentimento. L’affetto
sincero, infatti, può far vivere di rendita. Famiglia, spesso,
ha il vero significato quando trovi qualcuno a guardarti le spalle e,
al tempo stesso, a sorriderti e tranquillizzarti anche quando ti
trovi sul bordo di un precipizio. La serenità consiste nel
sapere che, all’occorrenza, si andrà giù insieme.
Che
bello, togliersi per un po’, il peso delle tante responsabilità....
I
giri mentali cui sottopongo la mia mente visto la vita e il mestiere
che svolgo, mi identificano con chi passeggiando, sotto la pioggia,
come un randagio nella notte, vede uomini lasciarsi andare, donne
pentirsi di scelte che non avrebbero rifatto e bambini con uno
sguardo a metà fra l’ingenuità e la malvagità
come via necessaria alla contestualizzazione che ti evita di sparire
fra i flutti dell’indifferenza.
Ecco,
io provo a star loro accanto, cercando di dire poco o nulla,
per provare
a far capire che, la vita, spesso, è una questione di punti di
vista e di osservazione. Dipende da dove ti siedi e cosa decidi di
guardare.
Bracco
mi dice che, anche questo, è Amore. Un modo di condividere ciò
che la solitudine insegna.
Corriamo
spensieratamente verso l’abisso, non prima di aver messo qualcosa tra
noi e lui per impedirci di vederlo (Blaise Pascal)
Cosa
credo che mi riserverà il futuro? Più o meno quello
che sarò stato in grado di realizzare, con la mia opera e con
il mio modo di essere. Certo, si tratterà di conciliare due
opposti estremismi: quello che vuole il Sociale e quello che si
aspetta la mia Identità.
Quindi,
credo, continuerò a vivere nel confronto con gli altri,
individuando percorsi di massima esposizione (perchè è
solo così che ti puoi garantire quella libertà relativa
che ti consente l’autonomia dal dipendere dal potente di turno) pur
con l’aspirazione di un contesto bucolico dove il denaro, ad esempio,
non conta e il lavoro si svolge solo perchè ti piace farlo.
Riconosco,
in me, la presenza di più di un pensiero felice: l’immagine
delle mie figlie, ad esempio, l’incontro con i begli occhi che mi
hanno amato... Credo, però, che la luce in fondo al mio
tunnel sia il punto in cui la mia creatività raggiungerà
l’apogeo della Libertà. Quando, cioè, la mia Identità
si fonderà con l’essenza di cui tutti siamo composti, in un
quel luogo di Energia e materia Oscura, dove smetti di esistere come
Persona per diventare parte del “Tutto”. Dove, per
intenderci, quello che il bruco chiama “fine del Mondo”,
il resto del mondo, lo chiama “Farfalla”.
C’è
un’ape che si posa su un bottone di rosa: lo succhia e se ne
va. Tutto sommato, la felicità è una piccola cosa.
(Trilussa)
Giorgio
Marchese (Medico
Psicoterapeuta, Counselor) - Direttore "La Strad@"
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