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Care figlie, cosa sono diventato?
di Giorgio Marchese  ( direttore@lastradaweb.it )

12 giugno 2015


Papy, ti dispiace molto l'aver dato via la tua vecchia Alfa Romeo, quella cui eri tanto affezionato?” - “No.” - “Strano... hai sempre dichiarato il tuo attaccamento verso ciò che rappresentava una specie di diario esistenziale... lo hai anche scritto più volte, nei tuoi articoli... come si fa a cambiare idea in maniera così radicale? Non si corre il rischio, in questo modo, di diventare freddi sul piano emotivo? Tu ci hai spiegato l'importanza del credere in un valore... la pensi diversamente anche su questo? In una sua vecchia canzone, quando tu avevi la mia età, Antonello Venditti chiedeva al suo compagno di scuola se fosse riuscito a salvarsi dal fumo delle barricate o se, invece, avesse deciso di entrare in Banca, anche lui... Tu ci hai dato l'idea di un rivoluzionario non disponibile al compromesso; siccome ti avverto, a volte, ironico sul tuo sentirti un po' vecchio, con Mariarita ci siamo domandate se per caso, a dispetto dei tuoi buoni propositi adolescenziali, alla tua mezza età ( e avendo deciso di utilizzare una di quelle perfette auto tedesche che tu ritenevi fredde e impersonali), non fossi diventato un Borghese?” Cari lettori, questa è la sintesi di un dialogo con mia figlia Valentina, qualche sera fa, nei garage del palazzo dove noi abitiamo. Ebbene, ho impiegato un po' di tempo per articolare una risposta che fosse adeguata alle aspettative delle mie due figlie, in grado di chiarire senza demotivare... PER CONTINUARE LA LETTURA, CLICCARE SUL TITOLO.



Care figlie, come spesso ho detto e scritto, mio zio Pietro (fratello di mia madre) mi ha insegnato, ad esempio, quanto fosse importante, per lui (negli anni cinquanta del secolo scorso) recarsi negli stabilimenti di Arese, per ritirare personalmente le sue fiammanti Alfa Romeo. Lui, infatti, non avrebbe tollerato, che "terga impure" potessero violare la compagna di tanti momenti unici e irripetibili.

Comprenderete che, cresciuto con simili principi, come ben ricordererete (anche se tu, cara Valentina, avevi soltanto pochi mesi di vita) non appena ho potuto (il 14 aprile del 2000), ho varcato la soglia di una porta di cristallo dai battenti serigrafati con i due simboli di Milano in evidenza: il serpente della famiglia Visconti su campo blu chiaro, e la croce rossa su campo bianco.

Finalmente, per me, la possibilità di provare ad assaporare lo stato d’animo di “zio Pietro” (a cui, dicono, io somigli molto, fisicamente e come modo di pensare) e coronare il sogno di siglare un contratto con cui legarmi ad un simbolo: l’operosità del genio italiano e il senso di appartenenza a quella razza in estinzione che non chiude gli occhi quando soffia il vento del pericolo ma, al contrario, continua a cercare una soluzione.

Due sentimenti contrastanti, in quel momento.

Stupore nel notare che Mariarita si rifiutava di scendere da una fiammante GTA nero metallizato, implorandomi di comprare proprio quel gioiello e leggero fastidio nell’osservare che, chi mi aveva accolto in concessionaria (cioè, il venditore), ignorava che, dietro una modulistica prestampata, in realtà, si celava l’opportunità di toccare con mano, quell’avvenimento storico trasfigurato e arricchito di particolari inventati dalla fantasia popolare, che si chiama leggenda.

Care figlie, a distanza di 15 anni da quello “storico” (per me) momento, non ho dimenticato che, la credibilità in se stessi si costruisce, prevalentemente, attraverso la verifica delle qualità e dei valori che siamo in grado di generare e trasmettere. Ciò che continuo a vedere e ad ascoltare, proveniente da un Mondo che fatico a riconoscere, mi ha fatto capire che, per evitare il freddo interiore, un po’ tutti, non si possa fare a meno di parametrarsi, magari inconsapevolmente, col proprio mondo bambino e con tutti i riferimenti che, in quel caleidoscopio emotivo, finiscono col farti credere vero, anche quello che, vero, non è.

Sono d’accordo sul fatto che noi non siamo solo quello che mangiamo o l’aria che respiriamo ma molto di più: i panorami che abbiamo introiettato, le carezze che ci hanno donato, le favole con cui ci hanno addormentato da bambini, i libri che abbiamo letto, la musica che abbiamo ascoltato e le aspirazioni che ritenevamo adeguate al nostro considerarci invincibili

Dov’è il problema?

Fra le sagome degli alberi che si stagliavano sulle mura bianche dei monasteri, vidi l’ombra di un passante riflessa dalla Luna. Camminava lento, con la testa un po’ curva come chi, assorto negli inutili pensieri sul senso della vita, segue un funerale. Ero io”. (Tiziano Terzani)

La disillusione, l’essere costretti ad ammettere che, diventare grandi, significhi assumersi quelle responsabilità che cancellano dal tuo volto, anche l’ombra di quel sorriso che, prima, trasmettevi da ogni poro.

Care figlie, un po’ alla volta (ogni giorno che passa) mi accorgo che, esiste il bisogno di divenire più liberi e leggeri dalla necessità di costruire, con la propria fantasia, realtà a misura di sostenibilità interiore. Quell’insieme di persone organizzate a difendere il proprio egoismo a danno di chiunque che, spesso, prende il nome di “Società civile”, infatti, riconosce i sognatori e li marchia come psicotici e diversi da sé, pretendendo di reinglobarli in un sistema paradossale, composto da un sincizio in cui, ciascuno, vuole la sua nicchia.

Questo, la Medicina, la chiama CURA.

Io non ho affatto dimenticato che quattro, sono le domande importanti della vita:

  1. Cosa è sacro;

  2. Di cosa è fatto lo spirito;

  3. Per cosa vale la pena vivere;

  4. Per cosa vale la pena morire.


Resto convinto anche del fatto che il minimo comune multiplo, sia l’Amore.

È solo che non sento più il bisogno di sentirmi figlio di qualcuno perchè i miei genitori (così come mio zio), sono ormai parte integrante di me e i loro insegnamenti si modificano contestualmente al mio divenire, ogni giorno, più forte e più pronto a non provare a fermare il futuro e, con esso, quello che sarà il mio Destino. Insomma non mi mancano gli elementi che mi hanno lasciato o che lasciato alle mie spalle. Sono imprescendibilmente in me.

Forse, un giorno, mi concederò la libertà di reintegrarmi a pieno con il mio bambino interiore. Vi chiedo solo di non credere a quello che la Società, scioccamente definisce come il risultato di un decadimento cognitivo.

Mio zio, tra l’altro (come spesso scrivo), mi ha anche spiegato il valore della Libertà come insieme di luoghi, persone e opportunità che ci aiutano a crescere, collezionando esperienze che vanno a definire il nostro carattere, insegnandoci la differenza fra ciò che è giusto e ciò che non lo è... aiutandoci a capire cosa essere e cosa diventare... legittimandoci nell’essere, autenticamente, noi stessi.

Questo valore, care figlie, se significa veramente qualcosa, ispira il modo in cui il mondo cambia. E appartiene, quindi, a tutti. Ma non è di nessuno.


Nessuno m’ha mai detto "Volerai". Nessuno m’ha promesso "Non morirai". Eppur senz’ali ho già volato tanto e "ora" senza alcun rimpianto, di promesse mancate, di cose incompiute, senza pena aggiunta mi preparo a volare un’altra volta (Tiziano Terzani)


Giorgio Marchese (Medico Psicoterapeuta, Counselor) - Direttore "La Strad@"

P.S. Comunque, chi disegna le Audi e ne progetta anche la strutturazione globale, si Chiama Walter ’de Silva e, un po’ di tempo fa, ispirava le ALFA ROMEO (proprio quando acquistammo la NOSTRA). Siamo rimasti in famiglia, insomma.

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