Care
figlie, come
spesso ho detto e scritto, mio zio Pietro (fratello di mia madre) mi
ha insegnato, ad esempio, quanto fosse importante, per lui (negli
anni cinquanta del secolo scorso) recarsi negli stabilimenti di
Arese, per ritirare personalmente le sue fiammanti Alfa Romeo. Lui,
infatti, non avrebbe tollerato, che "terga impure"
potessero violare la compagna di tanti momenti unici e irripetibili.
Comprenderete
che, cresciuto con simili principi, come ben ricordererete (anche se
tu, cara Valentina, avevi soltanto pochi mesi di vita) non appena ho
potuto (il 14 aprile del 2000), ho varcato la soglia di una porta di
cristallo dai battenti serigrafati con i due simboli di Milano in
evidenza: il serpente della famiglia Visconti su campo blu chiaro, e
la croce rossa su campo bianco.
Finalmente,
per me, la possibilità di provare ad assaporare lo stato
d’animo di “zio
Pietro” (a
cui, dicono, io somigli molto, fisicamente e come modo di pensare) e
coronare
il sogno di siglare un contratto con cui legarmi ad un simbolo:
l’operosità del genio italiano e il senso di
appartenenza a quella razza in estinzione che non chiude gli occhi
quando soffia il vento del pericolo ma, al contrario, continua a
cercare una soluzione.
Due
sentimenti contrastanti, in quel momento.
Stupore
nel notare che Mariarita si rifiutava di scendere da una fiammante
GTA nero metallizato, implorandomi di comprare proprio quel gioiello
e leggero
fastidio nell’osservare
che, chi
mi aveva accolto in concessionaria (cioè, il venditore),
ignorava che, dietro una modulistica prestampata, in realtà,
si celava l’opportunità di toccare con mano, quell’avvenimento
storico trasfigurato e arricchito di particolari inventati dalla
fantasia popolare, che si chiama leggenda.
Care
figlie,
a distanza di 15 anni da quello “storico” (per me)
momento, non
ho dimenticato che, la credibilità in se stessi si costruisce,
prevalentemente, attraverso la verifica delle qualità e dei
valori che siamo in grado di generare e trasmettere. Ciò che
continuo a vedere e ad ascoltare, proveniente da un Mondo che fatico
a riconoscere, mi ha fatto capire che, per evitare il freddo
interiore, un po’ tutti, non si possa fare a meno di parametrarsi,
magari inconsapevolmente, col proprio mondo bambino e con tutti i
riferimenti che, in quel caleidoscopio emotivo, finiscono col farti
credere vero, anche quello che, vero, non è.
Sono
d’accordo sul fatto che noi non siamo solo quello che mangiamo o
l’aria che respiriamo ma molto di più: i panorami che abbiamo
introiettato, le carezze che ci hanno donato, le favole con cui ci
hanno addormentato da bambini, i libri che abbiamo letto, la musica
che abbiamo ascoltato e le aspirazioni che ritenevamo adeguate al
nostro considerarci invincibili
Dov’è
il problema?
“Fra
le sagome degli alberi che si stagliavano sulle mura bianche dei
monasteri, vidi l’ombra di un passante riflessa dalla Luna.
Camminava lento, con la testa un po’ curva come chi, assorto
negli inutili pensieri sul senso della vita, segue un funerale. Ero
io”. (Tiziano Terzani)
La
disillusione,
l’essere costretti ad ammettere che, diventare grandi, significhi
assumersi quelle responsabilità che cancellano dal tuo volto,
anche l’ombra di quel sorriso che, prima, trasmettevi da ogni poro.
Care
figlie, un
po’ alla volta (ogni giorno che passa) mi accorgo che, esiste il
bisogno di divenire più liberi e leggeri dalla necessità
di costruire, con la propria fantasia, realtà a misura di
sostenibilità interiore. Quell’insieme di persone organizzate
a difendere il proprio egoismo a danno di chiunque che, spesso,
prende il nome di “Società civile”, infatti,
riconosce i sognatori e li marchia come psicotici e diversi da sé,
pretendendo di reinglobarli in un sistema paradossale, composto da un
sincizio in cui, ciascuno, vuole la sua nicchia.
Questo,
la Medicina, la chiama CURA.
Io
non
ho affatto dimenticato che quattro, sono le domande importanti della
vita:
Cosa
è sacro;
Di
cosa è fatto lo spirito;
Per
cosa vale la pena vivere;
Per
cosa vale la pena morire.
Resto
convinto anche del fatto che il minimo comune multiplo, sia l’Amore.
È
solo che non sento più il bisogno di sentirmi figlio di
qualcuno perchè i miei genitori (così come mio zio),
sono ormai parte integrante di me e i loro insegnamenti si modificano
contestualmente al mio divenire, ogni giorno, più forte e più
pronto a non provare a fermare il futuro e, con esso, quello che sarà
il mio Destino. Insomma non mi mancano gli elementi che mi hanno
lasciato o che lasciato alle mie spalle. Sono imprescendibilmente in
me.
Forse,
un giorno, mi concederò la libertà di reintegrarmi a
pieno con il mio bambino interiore. Vi chiedo solo di non credere a
quello che la Società, scioccamente definisce come il
risultato di un decadimento cognitivo.
Mio
zio, tra l’altro (come spesso scrivo), mi ha anche spiegato il valore
della Libertà come insieme di luoghi, persone e opportunità
che ci aiutano a crescere, collezionando esperienze che vanno a
definire il nostro carattere, insegnandoci la differenza fra ciò
che è giusto e ciò che non lo è... aiutandoci a
capire cosa essere e cosa diventare... legittimandoci nell’essere,
autenticamente, noi stessi.
Questo
valore, care
figlie,
se significa veramente qualcosa, ispira il modo in cui il mondo
cambia. E appartiene, quindi, a tutti. Ma non è di nessuno.
Nessuno
m’ha mai detto "Volerai". Nessuno m’ha promesso "Non
morirai". Eppur senz’ali ho già volato tanto e "ora"
senza alcun rimpianto, di promesse mancate, di cose incompiute, senza
pena aggiunta mi preparo a volare un’altra volta (Tiziano Terzani)
Giorgio
Marchese (Medico
Psicoterapeuta, Counselor) - Direttore "La Strad@"
P.S.
Comunque, chi disegna le Audi e ne progetta anche la strutturazione
globale, si Chiama Walter
’de Silva
e, un po’ di tempo fa, ispirava le ALFA ROMEO (proprio quando
acquistammo la NOSTRA). Siamo rimasti in famiglia, insomma.
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