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L’eloquenza nell’antica Grecia
di Giuseppe Chiaia  ( peppinochiaia@libero.it )

15 febbraio 2004





Inizia l'era degli avvocati...in tribunale


Come per la maggior parte delle arti, anche l’eloquenza non poteva che nascere in Grecia; perché i Greci amarono anche il parlare fiorito, elegante, adorno di metafore e similitudini, come fiorito era il loro senso architettonico, quel gusto del bello e dell’armonia che ancora oggi ammiriamo anche nelle raffigurazioni scultoree a noi pervenute.

Si badi bene, però, che culla del multiforme ingegno greco fu l’Attica, la cui perla più famosa fu Atene, protesa nel ceruleo mare Egeo, che, con i suoi tre porti diffuse la propria cultura per tutto il Mediterraneo, spingendosi anche ad oriente, avendo come viatico la poesia omerica ed i due capolavori del "grande cieco": l’Iliade e l’Odissea.

E proprio in Omero scopriamo l’arte del discorrere armonioso; gli eroi omerici non sono solo coraggiosi combattenti, ma sono capaci di affascinare l’uditorio con un linguaggio originale e limpido; Ulisse è non solo l’astuto per eccellenza, ma riesce a commuovere o infiammare i suoi ascoltatori; e così, anche il saggio Nestore; chi non ricorda l’addio di Ettore al figlio e alla moglie, o la dignitosa orazione del gran sacerdote Crise, o l’accorata preghiera del vecchio Priamo che supplica il tremendo Achille affinché gli restituisca la salma del figlio Ettore.

Questi esempi omerici furono i primi modelli di oratoria alla quale si ispirarono greci e romani; nella Teogonia di Esiodo, ad esempio, l’oratoria è considerata dono delle Muse, di cui beneficiarono, principalmente, gli ateniesi, grazie, soprattutto, alla loro costituzione democratica che la favorì.

L’assemblea popolare ateniese, la Bulè, era, pertanto, il luogo ove maggiormente era necessario dimostrare padronanza di linguaggio affinché le deliberazioni politiche fossero supportate dal più ampio consenso.

Accanto a questa forma di eloquenza politica o deliberativa, in Atene fiorì anche l’eloquenza giudiziaria, per i vari processi che venivano celebrati; ma vi era tenuta in gran conto anche l’eloquenza celebrativa, per onorare eroi caduti per la patria, oppure onorare un vincitore olimpico, o durante le celebrazioni in onore delle molte divinità che affollavano i magnifici templi dell’epoca.

Ovviamente, l’oratoria era uno studio profondo ed incessante per quanti si dedicavano all’agone politico, ed i più famosi politici di Atene furono tutti grandi ed originali oratori, che misuravano il proprio ingegno e la loro facondia in quelle assemblee pubbliche onde suscitare il voto deliberativo e favorevole alle tesi che sostenevano: in ciò era molto abile, ad esempio, Temistocle; mentre di Pericle si dice, ancora oggi, possedesse un eloquio splendido, al punto che la sua oratoria riusciva a dominare il popolo di Atene, grazie alle metafore di cui era ricca la sua parola, che spesso rendevano il suo discorso fluente come una recitazione poetica, specialmente quando pronunciava le orazioni funebri per i giovani morti in guerra, arrivando a paragonarli agli dei della patria, che, ancorché invisibili, sovrintendono alla tutela della città; e la commozione stringeva le gole ed i cuori quando piangeva la desolazione della città per i figli caduti in battaglia ; così, Pericle infiammava gli animi : "La città ha perduto la sua giovinezza; l’anno ha perduto la sua primavera...".

Ma molti altri furono gli oratori d’Atene; certamente il più antico fu Antifonte di Ramnunte, perché fu il primo a pubblicare le proprie orazione; visse tra il 480 e il 405 circa a. C., fu uomo politico e maestro di retorica, ma fu considerato anche "logografo", vale a dire un estensore di discorsi per iscritto, a richiesta di quanti avessero necessità di esporre le proprie ragioni in tribunale, perché la legge ateniese imponeva che sia l’accusatore che l’accusato dovessero sostenere le proprie argomentazioni personalmente; in quel tempo non c’era ancora il patrocinio legale, né erano molti coloro che erano capaci di difendersi da se stessi, per cui ci si rivolgeva a qualche retore per farsi stendere l’atto di citazione o la comparsa di difesa. Naturalmente questo sistema procedurale, sia in tribunale che in politica, favorì il sorgere di vere scuole di logografi, fra i quali grande fama ebbero i Sofisti; e come tutti sanno, i più famosi furono Protagora di Abdera e Gorgia da Lentini; il primo, meglio ricordato per il noto aforisma: "l’uomo è misura di tutte le cose; delle cose che sono in quanto sono e delle cose che non sono in quanto non sono"; come dire, che non c’è una sola verità, che la stessa non è assoluta, né oggettiva; che solo l’uomo può riconoscere o disconoscere quella realtà che, a proprio parere, gli convenga, per cui ciò che è vero al mattino, può essere considerato falso al pomeriggio: Ma Protagora fu anche un agnostico, al punto che mise in discussione la stessa esistenza degli dei del suo tempo affermando: "non posso affermare che esistano o non esistano, né quale aspetto essi abbiano; questa mia impossibilità è determinata da due valutazioni: l’impossibilità di penetrare questo mistero e la brevità della vita".

Ma, a parte questa aneddotica, Protagora fu maestro rispettato ed esaltato dai suoi contemporanei e dai suoi discepoli, e lo stesso Platone, nel dialogo relativo a questo sofista, lo ammira per la sua eloquenza, per la sua personalità di pensatore oltre che di padronanza della lingua, tanto da essere considerato il padre della grammatica; infatti è grazie a lui se distinguiamo, ancora oggi, il genere dei nomi ed usiamo con correttezza i tempi verbali; ovviamente, alla sua scuola si avvicendavano i figli dei notabili ateniesi e quanti avevano necessità di argomentazioni serrate per riuscire vincitori nei processi giuridici; se oggi ai professionisti e agli avvocati si deve l’onorario per le loro prestazioni, ciò ha avuto come iniziatore il nostro Protagora.

Diverso, per cultura, fu, invece, Gorgia, nato a Lentini, presso la nostra Catania, verso il 485 a. C.; piuttosto filosofo, mise al servizio della retorica il suo sapere enciclopedico, ma evitò che la sua arte si esplicasse nei tribunali, per cui, la sua eloquenza fu di natura "epidittica" , cioè dimostrativa; famoso è il suo "Encomio di Elena" nel quale sostiene l’innocenza della bella moglie di Menelao dall’essere stata la causa scatenante della guerra degli Achei contro Troia.

Fu, a nostro avviso, meno venale di Protagora, se non altro per la sua concezione dell’arte intesa come maestra di morale, al punto che considerava le rappresentazioni teatrali delle tragedie come "un inganno" benefico per quello spettatore che si lasciava ingannare dalla trama della tragedia proprio per ricavarne precetti di vita operosa e saggia. Da questo punto di vista, Gorgia può essere considerato degnamente come l’iniziatore della critica letteraria.

L’arte della parola , anzi, l’abilità forense devono, pertanto, molto alla retorica greca, e più ancora ai sofisti, a Gorgia e a Protagora, che insegnarono ad esporre, nella musicalità dell’orazione, le forme più sottili del ragionamento, ad esprimere la passionalità dell’animo nel confronto di tesi politiche.

Ma, proprio per questo, nacquero i primi raggruppamenti politici che coinvolsero masse di cittadini nelle violenti passioni ideologiche; in tale situazione tempestosa, grande importanza ebbero i grandi oratori come Isocrate, Eschine e il più famoso di tutti, Demostene.

Se così non fosse stato, Roma si sarebbe privata di un Cicerone.

 

Giuseppe Chiaia (preside)

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