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Liberismo o Socialismo?
di Giuseppe Chiaia  ( peppinochiaia@libero.it )

19 settembre 2006





Di chi fidarsi?


Fin dall’alba del mondo, i vari aggregati umani hanno sviluppato - sotto la spinta della necessità - sistemi di vita operativa al fine della sopravvivenza; da ciò, la concezione antropologica che l’egoismo è insito nella natura umana ( molte azioni violente dell’uomo sono giustificate dai codici, quando rientrano nello "stato di necessità" ).

Ma, allorché si persegue un interesse personale, anche il più arido degli egoisti necessita dell’aiuto altrui; anche quando si gioca una schedina del totocalcio, c’è il contemperamento di due egoismi: la cupidigia della vincita ed il guadagno quasi netto dello Stato che introita la disperazione dei moltissimi e premia solo qualche fortunato.

Allora si potrebbe concludere che l’ordine sociale nasce da una "coincidentia oppositorum " mentre la solidarietà umana è cosa rarissima ed appartiene agli asceti.

Da questo giudizio un po’ amaro deriva una delle teorie politiche più acclamate nella storia del pensiero moderno. Fu Adamo Smith ad ergersi tutore ed araldo di quella nascente borghesia che, già nel medio evo, decretò la fine del feudalesimo, rifiutando il dominio e la tutela dei grandi castelli.

Comincia l’età del mercantilismo, di coloro che, sotto la spinta dell’istinto egoista, mirarono, non solo alla ricchezza, ma a gestire anche il potere politico. Ed è da quel momento che il concetto di ricchezza si lega a quello della produzione e, quest’ultima, ai metodi del lavoro, organizzando le categorie operaie che ad esso si legano; per cui, Smith indica come lavoratori produttivi gli agricoltori, gli operai e gli industriali; al contrario, considera come lavoratori "improduttivi" il clero, i letterati, gli artisti di teatro, musicisti, comici e cantanti (Celentano, solo a titolo di esempio, potrebbe guadagnarsi il pane in qualche piazzetta di periferia): e non si salvano da tale marchio, ovviamente, sempre la teoria di Smith i politici. Solo chi produce ha il diritto anche di governare la comunità, per cui, pure le associazioni sindacali rappresentano un freno dannoso per la produzione, in quanto difendono interessi particolari, i quali sono contrari alle leggi generali della natura.

Un simile profeta continua a fare la gioia dei grandi gruppi industriali, ma si è attirato il vituperio dei vari capi delle congregazioni sindacali.

Il 1800, diventa, perciò, il secolo della grande borghesia; per la quale la vera ragione del progresso riposa solo sulla produzione di beni e servizi, da sviluppare nei maleodoranti opifici, nel rumore assordante delle macchine, negli orari di lavoro massacranti, nella mancanza assoluta di legislazione previdenziale, nello sfruttamento anche del lavoro minorile e femminile.

Un simile disagio sociale si diffuse anche per tutta la nostra penisola ed ebbe il suo punto di crisi più drammatica nella strage di Milano del 1888, ad opera del generale Bava Beccaris che fece falciare pacifici operai dimostranti - alla cui testa marciavano donne e bambini - e che contarono ben 82 morti; in compenso, quel generale ebbe l’avallo, al suo operato, dal primo ministro dell’epoca, il Rudinì, oltre a fregiarsi di una medaglia conferitagli dal Re Umberto per aver riportato l’ordine puibblico in Milano (di questa dinastia si salva solo Vittorio Emanuele II, ma i suoi attuali epigoni confermano quel giudizio severo dei nostri padri costituenti, allorchè sancirono il divieto di residenza in Italia ai discendenti maschi: e forse, stando alle cronache giornalistiche avevano visto giusto!).

Quel sangue innocente non rimase impunito, perché il giovane anarchico Gaetano Bresci, fulminò, con tre colpi di revolver, in quel di Monza, il Re: era il 29 luglio del 1900.

Ma le condizioni della classe operaia non mutarono, nonostante l’enciclica "Rerum novarum" emanata il 15 maggio del 1891 da papa Leone XIII; troppo forte era il potere della finanza e dei grandi industriali che avevano, nel parlamento, nutrite schiere di deputati (e continuano ad averle), pronti a varare leggi protezionistiche di quegli interessi e bloccare quelle più socialmente avanzate.

E qui bisogna fare un passo indietro nel tempo, per ritrovare il padre spirituale di questa ideologia economica che s’appunta in Giovanni Calvino che pose nella sola Fede la speranza della salvezza eterna, Fede che Dio riserva "ab aeterno" solo agli eletti, ai predestinati, riconoscibili per la ricchezza di cui godono, perché Dio, nella Sua onniscienza ed onnipotenza ha già predestinato al Paradiso i ricchi, mentre i poveri, i derelitti, gli affamati, già nella vita terrena condannati alla sofferenza, sono destinati all’Inferno. Questa dottrina della "giustificazione" si spiega, secondo Calvino, nell’incapacità dell’uomo ad agire da sé stesso, per la propria salvezza, per cui lo Stato diventa un’istituzione divina deputata solo a codificare la vita esteriore: la vita interiore e la coscienza umana è regolata da Dio e, quindi dalla Sua chiesa. E dalla seconda metà del 1500 che la ricchezza trova giustificazione nei precetti della chiesa protestante in genere, mentre i miseri, i reietti - già fin dalla costituzione romana serviana del IV secolo a.C. - lottarono e lottano per una migliore dignità della vita; e quanti si sono eretti paladini della civiltà del lavoro sono stati combattuti o uccisi, a partire dai fratelli Gracchi a Pio La Torre, o a Falcone o a Borsellino, tanto per citare i più noti, senza far torto ai disperati che morirono nei Gulag stalinisti,o negli Stalag nazisti, o ancora marciscono nelle tremende prigioni di Cuba o della Cina. C’è, pertanto da rivedere l’ideologia propugnata dal liberismo smithiano, da cui sono derivati i cosiddetti partiti liberali, considerati i disagi morali ed economici che i due terzi dell’umanità soffrono ancora oggi.

Né ha avuto fortuna il proclama di quel grande profeta del Proletariato : Carlo Marx.

Il suo pensiero è stato il vessillo di grandi rivoluzioni, di sovvertimenti politici, ed a lui si sono rivolte le speranze di riscatto di milioni di persone. Oggi, il marxismo è in disuso: perfino la Cina si è convertita al Capitalismo; mentre, sopravvive a Cuba e nella Corea del Nord. Ma non passerà molto tempo che in questi paesi la Coca-Cola - inteso solo quale simbolo dell’occidente - avrà il sopravvento.

Marx è insuperabile nella critica lucida e feroce che fa del Capitalismo, nel quale vede un "Moloch" che strappa gli operai dai villaggi, che li irregimenta nelle "fumanti baracche" delle città dove gli opifici ammorbano l’aria, dove malattie, miserie falciano vite umane, dove anche i fanciulli subiscono la stessa sorte.

I grandi telai dello Yorkshaire, mossi dalle centrali a vapore, non si fermavano se macinavano le esili dita dei bambini costretti a riannodare i fili di cotone che si spezzavano, negli aghi dei rocchetti: la produzione non aveva di queste pietà e spesso il sangue lubrificò quegli ingranaggi. La nascente rivoluzione industriale si alimentò di queste crudeltà.

L’errore di Marx, a parere di chi scrive evidentemente, fu di aver bene evidenziato nella parte "distruens" la sua teoria sulle pecche del Capitalismo, ma di essere stato vago ed insufficiente nell’individuare nuove prospettive di riscatto e rinascita della classe operaia. E così, alla lunga, Smith ha vinto Marx.

Ne è riprova il fallimento dell’economia pianificata dell’ ex U.R.S.S.

Ma il vero Socialismo dal volto umano non è nato per iniziativa di "Solidarnosch"; esso ha avuto i natali nella liberistica e conservatrice Inghilterra, per merito di un illuminato piccolo industriale, tale Robert Owen ( 1771 - 1858 ), il quale, dopo varie esperienze lavorative, rilevata una fabbrica di filati, la "New Lanark" riuscì, in pochi anni, a portare l’organico degli operai da duemila a ventimila, grazie ai nuovi ritmi di lavoro che prevedevano - cosa inusitata per quel tempo - la riduzione delle ore lavorative da 16 a 12, l’esclusione dei fanciulli inferiori a 14 anni da ogni forma di lavoro in fabbrica, installò macchinari nuovi e più affidabili, organizzò scuole nelle adiacenze delle sue fabbriche, affinchè i figli dei lavoratori conseguissero una educazione culturale adeguata, aumentò il salario dei suoi operai, lottò l’alcolismo, vera piaga del tempo, e premiò gli operai più impegnati sul lavoro con un semplice espediente: dipinse, su ciascuno dei quattro lati di vari pezzi di legno, quattro colori: nero, blu, giallo e bianco : Il nero segnalava il cattivo lavoro, l’azzurro la mediocrità, il giallo la bontà e il bianco l’ottima qualità del prodotto. In tal modo, ogni operaio, sotto la spinta dell’emulazione, si sforzava di superare i propri compagni, determinando,così, la precisione e l’alta rifinitura del prodotto, superando ogni concorrenza, sviluppando le commesse e il conseguente incremento della produzione e l’aumento dei profitti; ma non finiva qui l’attività illuminata di Owen: egli coinvolse gli operai nella vita della fabbrica, al punto di renderli compartecipi degli utili: nasceva la prima forma di attività cooperativistica che altrettanta fortuna non ha nel nostro tempo.

Se spostiamo questa semplice analisi economica al nostro tempo ed in Italia, notiamo che lo scontro politico in materia vede coinvolti, in una "impasse" insormontabile, sia la Destra che la Sinistra sul problema della Spesa Pubblica: La Destra cerca di limitare il più possibile la spesa; la Sinistra vede, in questa parsimonia, una contrazione dei servizi sociali; resta il fatto che sui cittadini italiani attuali e sulle future generazioni pesa un debito pubblico macroscopico, e nessun governo sarà capace di annullarlo se non si rivede il problema della spesa a partire dai costi elefantiaci della Politica. Buona parte del bilancio pubblico viene assorbito dalle retribuzione dei politici ai vari livelli istituzionali, a partire dalla Presidenza della Repubblica, passando per il Parlamento, per le Regioni, per le Province, per migliaia di Comuni e circoscrizioni.

I deficit di bilancio trovano molta allegra finanza nell’irresponabile politica spendereccia dei nostri pubblici rappresentanti, quando non si tratti di veri illeciti penali, di cui sono piene le cronache giudiziarie.

Ed allora ? Io, una proposta l’avrei: a me piace; non so se riscuoterà successo (come diceva Totò in un suo sketch); Tutti coloro che percepiscono retribuzioni, sia pubbliche che private, sia per attività lavorative che pensionistiche, dovrebbero versare, "spontaneamente " un quinto di una sola retribuzione netta mensile, a patto che tutti i sunnominati politici rinuncino a due mensilità complete dei loro appannaggi, e riducano le loro competenze di un buon 50% : sarebbe una gran bella somma disponibile per decurtare, sostanziosamente, la montagna del debito pubblico!!! Anche le utopie hanno fatto lievitare la civiltà ! Ma, per il momento, di chi possiamo fidarci?

In merito, ci manca la risposta risolutiva ! ! !

Giuseppe Chiaia (preside)

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