Ebbene,
non credo proprio si tratti di una festa, dell’obbligatorieta’
a festeggiare un avvenimento, o della necessita’ a rammendare
una ricorrenza.
Forse
e’ tempo di innalzare ben altro vessillo, perche’ quello
della donna come mio pari, appare drammaticamente obsoleto, alla luce
di chi soccombe, di quante rimangono con gli occhi spalancati, di
coloro con le braccia a terra non e’ dato ascolto ad alcuna
preghiera.
Questa
e’ la stagione nuova in cui occorre smettere di scandalizzarsi,
di rimanere con la bocca spalancata, con l’incredulita’
dell’accadimento a farla da padrona.
Quando
una donna arranca, cade, muore, c’e’ bisogno di uno
scatto, di uno scarto, della mano alzata a tagliare il vento, non di
parole dai congiuntivi educati, di interrogativi logorati e
impolverati, piuttosto di presenze che non consentono passi indietro,
non abbandonano metri allo scossone in agguato, prostrati alla
possibilita’ che accada ancora, ancora e ancora.
Mia
madre, mia sorella, mia figlia, mia moglie, la mia compagna, tutte le
donne del mondo, debbono diventare compagne nella battaglia,
affinche’ nessuna di loro venga piu’ offesa, umiliata,
ferita, uccisa, peggio, nella consuetudine lacerata e disperante
dentro un’aula di tribunale, sempre che un imputato sia
presente alla sbarra.
La
bufera del dolore e della giustizia dovra’ esser combattuta
strada dopo strada, vicolo per vicolo, fino ad arrivare nelle anse
che circondano il cuore di ognuno e di ciascuno.
Non
ci saranno piu’ contumelie ne’ liturgie di nuovo conio,
ma la consapevolezza che troppo amore e’ sempre troppo poco, e
avere cura, attenzione per la donna, per tutte le donne, per chi
iinocente rimane sempre a terra, riceve il colpo, la vita depredata,
non e’ soltanto un dovere, un diritto, la responsabilita’
della liberta’, ma rispetto profondo per un preciso segno della
natura.
Vincenzo
Androus - Counselor,
Tutor Comunità "Casa del Giovane" Pavia
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