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Il senso di inadeguatezza.
di Silvana Sposato  

21 luglio 2016






La vita di ogni uomo è una via verso se stesso, il tentativo di una via, l'accenno di un sentiero.


PianetaCounseling

‘Bisogna avere il coraggio di esistere come se stessi ed il coraggio di esistere come parte degli altri’ (Paul Tillich).

La sensazione di sentirsi non all’altezza, di esser fuori posto, estranei agli altri e soprattutto a se stessi, è un sentimento angosciante che si può provare a qualunque età e in qualsiasi momento della propria vita. Questo sentimento ci fa sentire inaccettabili, inadeguati. Chi vive o ha vissuto questa sensazione sa quanto è tremendamente estraniante, solo in mezzo ad altri che appaiono, invece perfettamente adattati, sempre capaci di gestire la situazione e quindi in parole povere più adeguati, più adatti ad affrontare i problemi del quotidiano.

Il senso di inadeguatezza è spesso molto condizionante e difficile da gestire, sfociando qualche volta in una vera e propria fobia sociale.

Ma da dove deriva questa sensazione?

Una delle caratteristiche peculiari della struttura neuronale del nostro cervello è senza dubbio la capacità plastica, ossia quella capacità di adattarsi ed evolversi in base alle condizioni di vita cui l’uomo è sottoposto. L’essere umano impara ad adattarsi all’ambiente fin da bambino; il suo lavoro di adattamento inizia appena dopo la nascita, dall’ambiente protetto dell’utero materno, dove non è necessario fare nulla affinché i propri bisogni siano soddisfatti, il bimbo si ritrova all’esterno e deve quindi necessariamente comunicare per garantire la propria sopravvivenza.

Ma cosa sono i bisogni?

I bisogni costituiscono una condizione di sofferenza o disagio, che si determina quando manca l’indispensabile o il necessario. I bisogni si distinguono in:

  • primari necessari indispensabili il cui mancato appagamento porta alla cessazione della vita,
  • primari necessari per uno sviluppo corretto della propria personalità,
  • secondari (fasi transitorie): fasi di passaggio durante le quali l’essere umano sviluppa le sue funzioni psicologiche e di conseguenza la sua identità.

Come per l’essere umano adulto anche per il neonato, i bisogni non sono solo quelli legati al suo sostentamento, ma il bambino ha anche bisogno di calore umano, di riconoscimento, di affetto. I genitori costituiscono in questo il primo riferimento, e il bambino dipende totalmente da loro. Il bambino piccolo impara presto ad assumere dei comportamenti in modo da garantirsi il riconoscimento e l’affetto dei genitori. Il timore di essere rifiutato o peggio la paura di non essere amato, un ambiente esterno percepito come ostile, può spingere il bambino a diventare "come tu mi vuoi" e questo può prendere il sopravvento su un corretto sviluppo dell’identità. Il bambino perde se stesso per diventare ciò che gli altri si aspettano da lui, perché percepisce questo comportamento come funzionale alla sua sopravvivenza.

Quest’aspetto può rafforzarsi durante l’adolescenza, dove non più i genitori ma il resto del mondo diventa il punto di riferimento per l’essere umano. Le fasi transitorie caratteristiche di questa fase della vita, quali l’identificazione con gli altri, la competizione, il bisogno di approvazione per sentirsi parte del gruppo, possono far rivolgere verso la collettività quel bisogno di sentirsi accettati che era prima rivolto solo ai genitori. S’innesca così una dipendenza dal giudizio degli altri che condiziona l’essere umano nella sua relazione con il mondo esterno, ma anche e soprattutto con il suo mondo interno.

A queste condizioni il valore che la persona attribuisce a se stessa dipende strettamente da quanto si sente stimato dagli altri, la propria stima diventa un rincorrere affannoso verso un riconoscimento esterno. Da questo ne deriva un senso d’inadeguatezza legato alla sensazione di non esser mai "abbastanza". Questa sensazione condiziona fortemente il dialogo dell’essere umano con il suo mondo interno ma anche quello con il mondo esterno.

L’uomo è continuamente in rapporto con se stesso e con tutto il mondo, la sua vita è un incessante rimodulare i propri pensieri, le proprie reazioni a una realtà interna ed esterna. Continuamente l’essere umano è portato a misurarsi con una realtà mutevole che riguarda il suo mondo interiore, cambiamenti modulati dagli apprendimenti che esso riceve e dalle esperienze che vive, ma è portato anche, relazionarsi con la realtà che lo circonda.

La necessità di adattarsi alla realtà, al mutare stesso degli eventi, può avvenire con due diversi meccanismi. Un meccanismo attivo in cui l’essere umano si adatta alla realtà che lo circonda promuovendo dentro di sé i cambianti utili ad accettare e rendere convenienti per se stesso le condizioni esterne, o può subire, quindi adeguarsi in maniera forzata. Nel primo caso si parla di adattamento, dal latino "ad aptare", che significa accomodare aggiustare convenientemente, nel secondo caso di adeguamento, dal latino "ad equare" cioè rendere equo, pareggiare ad ogni costo. La scelta tra adattamento e adeguamento è modulata dallo sviluppo della personalità. Se il senso d’inadeguatezza è legato a un carente sviluppo della personalità, allora si vivrà qualsiasi prova con la sensazione di non essere all’altezza, a prescindere dalla reale preparazione, in un’alternarsi infruttuoso di velleità e di profondo senso d’inferiorità. Ciò spinge spesso a non affrontare le proprie difficoltà, anche per paura di essere rifiutati o giudicati negativamente dagli altri, a subire gli eventi, e a produrre sofferenza.

In questo contesto una personalità rigida è meno incline ad adattarsi a cercare dentro di sé le soluzioni per superare la propria inadeguatezza rispetto all’ambiente in cui vive o alle difficoltà del quotidiano. Per una persona rigida è molto difficile accettare i cambiamenti e ancora di più adattarsi ad essi. La persona rigida attua una strenua difesa di se stessa nei confronti di un mondo che percepisce come ostile e nei confronti del quale, di conseguenza, alza un muro. Adattarsi agli eventi, cambiare le proprie idee significa accettare che ciò che si pensa o la propria condotta di vita non sono adeguate, significa consapevolizzare di dover attuare un cambiamento che è invece visto come un attacco alla propria identità.

Uno scarso sviluppo dell’autostima, una bassa fiducia in se stessi, l’ancorare la considerazione che si ha di sé al giudizio degli altri, fa si che la sensazione d’inadeguatezza diventi sempre più forte, perché più ci si sente inadeguati meno ci si stima, meno si ha la fiducia di affrontare ciò che ci fa sentire inadeguati o comunque di mettersi nelle condizioni di lavorare ed adoperarsi per superare le proprie difficoltà.

In realtà chi si sente inadeguato teme innanzitutto il proprio giudizio, il confronto con un se stesso che non piace e che non risulta all’altezza delle proprie aspettative. In questo contesto diviene particolarmente sofferente il rapporto con gli altri, specchio della nostra inadeguatezza, fino a generare un vero e proprio disagio sociale. Questo disagio può portare a cercare la solitudine come fuga dagli altri fino all’isolamento o andare incontro agli altri fino ad annullare la propria identità, trovandosi così inchiodati a una solitudine distruttiva o impossibilitati a prendere le giuste distanze da una società che aliena.

Per affrontare il disagio sociale è necessario affrontare un cammino, che non può essere né quello dell’isolamento, né quella del conformismo, ma piuttosto un percorso di consapevolezza e di conoscenza di sé, che passa anche attraverso il rapporto con gli altri, e che si realizza attraverso la conoscenza della realtà dell’essere umano e dei bisogni necessari per sviluppare una corretta identità. La solitudine in quest’ottica diventa un valore, perché si trasforma in un luogo che permette di realizzare un vero incontro con il proprio sé e quindi un incontro autentico anche con gli altri. La solitudine feconda è connessa al concetto di autonomia, intesa come capacità di distinguere tra sé e gli altri con chiarezza. Quando è chiaro chi siamo, quali sono i nostri bisogni diviene possibile un incontro vero con gli altri, un confronto che non si percepisce più come distruttivo ma come un’occasione di crescita personale.

Indispensabile perché ciò si realizzi è lo sviluppo di una sana autostima, che si crea superando le fasi transitorie e rendendosi conto della validità che, il proprio operato, rappresenta all’interno della realtà in cui si vive, utilizzando al meglio le proprie capacità, e considerandosi continuamente responsabili del proprio agire. E’ inoltre indispensabile un continuo confronto con la realtà dei propri limiti e delle proprie capacità, non nell’ottica di un’infruttuosa competizione con gli altri, ma nella prospettiva di migliorare continuamente se stessi partendo da quello che realmente si è, realmente si conosce. Il senso d’inadeguatezza è in fondo un meccanismo di difesa, l’essere umano cerca di difendere la propria identità non mettendosi mai alla prova, proteggendosi dall’eventuale fallimento che sente come inevitabile e distruttivo. E’ indispensabile quindi riappropriarsi del diritto all’errore e convincersi del fatto che nella vita non esistono "fallimenti" ma solo modi diversi di imparare da ciò che ci succede, l’errore non va vissuto come qualcosa d’irreparabile, ma come qualcosa di connaturato alla realtà finita e limitata come quella in cui si vive, e soprattutto come l’occasione per comprendere meglio se stessi e ciò che ci circonda.

Nel momento in cui si riesce a dare un valore a se stessi, al proprio operato e si riesce a godere dei risultati raggiunti, si realizza una vera difesa di se stessi, che consiste nell’affrontare le difficoltà che si incontrano, non sentendosi demoliti dall’eventuale insuccesso e non temendo il giudizio degli altri, ma preoccupandosi dell’opinione dell’unica persona, che a conti fatti, può sapere realmente quanto valore attribuire al nostro operato, ovvero noi.

In questi termini, il senso d’inadeguatezza può cambiare totalmente aspetto e divenire un’assunzione di responsabilità, la consapevolezza di non avere i mezzi per affrontare la sfida cui ci si vuole sottoporre, non un freno alla nostra realizzazione, piuttosto un incentivo a prepararsi meglio, ad impegnare le proprie risorse per migliorare ed evolversi. L’individuo diviene l’unico metro della propria crescita e l’adattamento non un fine, ma un mezzo per la propria evoluzione.

 

"La vita di ogni uomo è una via verso se stesso, il tentativo di una via, l’accenno di un sentiero" ( Hermann Hesse ).

Silvana Sposato (22 aprile 2012)

 

Bibliografia

  • Giorgio Marchese "Il senso di inadeguatezza" www.lastradaweb.it
  • Giovanni Russo "L’essere umano per una vita migliore"
  • Vittorio Luigi Castellazzi "Dentro la solitudine" Ed. Magi
  • Alice Miller "Il dramma del bambino dotato e la ricerca del vero sé" Ed. Bollati Boringhieri.
  • Maria Cipparrone "Tecniche di colloquio con minori adulti anziani"
  • Giorgio Marchese "Autostima" www.lastrada.it
  • Giorgio Marchese "L’epopea del salmone" www.lastradaweb.it

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