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A Roma con la Calabria nel cuore.
di Maria Cipparrone  (  mariellacipparrone@libero.it )

18 luglio 2006





Dal Sud per affrontare e risolvere i problemi della gente.


Non è raro a Roma, città cosmopolita e multietnica, incontrare un calabrese, anzi... per dirla tutta, quella romana dei calabresi è una vera e propria colonia... Tra di loro c’è Nicola Galloro, calabrese doc o meglio ormai un calabrese romano, come a lui piace definirsi, Consigliere del Comune di Roma, con delega, del Sindaco Veltroni, all’emergenza abitativa ed alle relazioni con l’utenza. Votato all’impegno sociale, Galloro opera attivamente nella città di Roma da molti anni, già dai tempi dell’università e della sua militanza nel movimento studentesco. Eclettico negli interessi, fin da giovanissimo ha coltivato una sincera passione per le arti, a partire dal cinema ed a finire al teatro, letteratura e pittura. Come attivista nell’Arci, ha partecipato all’organizzazione dei primi cineforum creandosi varie occasioni di incontro con alcuni grandi miti ed artisti come Pasolini, Moravia, Cosulich e tanti altri dai nomi e dalle lezioni indimenticabili. Ma è nel campo politico e sociale che viene fuori la sua vocazione e la sua calabresità, nel perseguire con fantasia, creatività e caparbietà i difficili obiettivi che gli sono stati affidati. Ad interessarsi al problema "casa" ha iniziato come sindacalista nel S.U.N.I.A., l’associazione sindacale degli inquilini, ed è stata questa realtà così complessa e per certi aspetti dolorosa, a convincerlo che quella era la sua strada nella direzione dell’impegno anche politico a favore della gente, delle fasce di popolazione più esposte. Da allora non si è più fermato, affrontando con l’ostinazione e la fattività tipica della gente meridionale, questioni delicate relative al reperimento di alloggi in una città che conta ormai quasi 5 milioni di abitanti.

 

Politica e sindacato sono stati il substrato della sua formazione. Era inevitabile il salto a consigliere comunale di una grande città?

Penso di si, quando sono arrivato a Roma mi sono occupato del sindacato e del problema casa. Ero ancora studente universitario quando svolgevo questa attività. Il sindacato vuol dire politica, vuol dire tanti anni di lavoro su Roma, sulla gente, sui più poveri della città.

Da quando le è stata attribuita la delega per l’emergenza abitativa dal Sindaco Veltroni, come si è attivato? E in che cosa consiste il piano da lei ideato in questa direzione?

In questi anni ho cercato di affrontare il problema anche in maniera se vogliamo tradizionale, cercando di assegnare più alloggi possibili, togliendo dai residence le persone che da anni vi abitavano. Quindi mentre da una parte si è lavorato nella vecchia maniera dall’altra abbiamo inserito elementi nuovi di programmazione.

Per esempio, abbiamo trasformato i manufatti abbandonati in case, con l’opzione d’acquisto da parte del Comune di Roma. Solamente questo, ha portato 7400 appartamenti quando per noi il record d’assegnazione è stato 2500. Un altro e, ancora più importante, risultato è stato quello di aver inserito un piano regolatore, un’edilizia pubblica, in modo da destinare obbligatoriamente il 20% delle nuove case costruite alle locazioni che è il vero problema di questa città. L’emergenza abitativa non nasce solo dalla povertà, ma anche dalla grossa quantità di persone che non riesce a trovare una casa in affitto, così operando si sono creati oltre 20.000 alloggi da dare in locazione.

Cosa ha significato la chiusura dei residence a fine inverno 2006?

Questa è stata una scommessa, la gente abitava dentro questi residence dagli anni ’80. Erano 1600 famiglie che vivevano in città in queste condizioni.

Attualmente abbiamo risolto questo problema con la chiusura dell’ultimo residence.

Cosa ha portato l’incontro del 2005 tra le commissioni dell’Onu e le istituzioni locali qui a Roma?

L’invito era per l’Italia, non solo per Roma. Il problema casa è un problema nazionale. Abbiamo invitato l’Onu per studiare la situazione, per portare interventi, per lanciare un grido d’allarme ai governi nazionali, perchè il problema della casa continuava ad essere trascurato. Dopo quell’incontro, alcuni effetti positivi si sono avuti. Si è cominciato a parlare della casa come di un problema non marginale legato alle grandi citta’.

Dalla casa al cinema, altro suo settore di interesse, cosa ha prodotto la delibera "Nuovi Cinema Paradiso"?

Questa era una mia fantasia fin dal 1995. Appena eletto consigliere comunale, mi sono reso conto che a Roma il cinema era ridotto a 58 sale in tutta la città. Sale vecchie, dove non si vedeva e non si sentiva nulla. Cinecittà e la De Paolis, le grandi case di produzione degli anni d’oro del cinema italiano, stavano vendendo i loro spazi ai centri commerciali.Questa delibera, che ho voluto simbolicamente chiamare Nuovi Cinema Paradiso, ha portato in pochi mesi all’apertura di circa 300 sale moderne dotate di impianti audiovisivi a livello della tecnologia americana più all’avanguardia. La gente ha ricominciato ad andare al cinema. Con la riapertura degli schermi abbiamo anche rilanciato la produzione nazionale. Cinecittà non ha più venduto i suoi terreni e addirittura, non sa attualmente come ospitare le nuove produzioni di film. Lo stesso ha fatto la De Paolis; oltre a queste due strutture si è riaperta anche la Titanus che era ormai chiusa da anni e la DINO CITTA’ di De Laurentis che aveva funzionato solamente per pochi mesi agli inizi degli anni ‘50. Oggi, invece, è uno dei grandi centri di produzione.Ciò ha contribuito a migliorare la qualità della vita perchè le sale cinematografiche sono nate anche in periferia, poi con l’aumento della produzione, è cresciuto il lavoro per attori e per le varie maestranze."Nuovi Cinema Paradiso", dunque, ha portato lavoro, economia e cultura.

In tutto questo, quanto conta la calabresità di cui lei va molto fiero?

Conta, conta. Quando, come me, si è vissuti in un microcosmo, in un piccolo paese della Calabria, si riescono a vedere più cose rispetto a coloro che nascono a Roma. Sono paesi in cui obbligatoriamente bisogna sviluppare la fantasia e la fantasia serve per creare, per inventarsi qualcosa. In una grande città dove ci sono tante cose accessibili, non c’è molta necessità di industriarsi tanto.

Cos’è il Calabria Day?

Una giornata dedicata ai calabresi di Roma. Un momento per ritrovarsi fuori dalle singole associazioni cui più o meno ognuno fa parte, in maniera un po’ più libera, per rivivere la propria Calabria, le proprie tradizioni. Un modo per incontrarsi e per raccontarsi. Siamo arrivati alla terza edizione con grande partecipazione. Dobbiamo dare la continuità annuale in modo che diventi una tradizione.

Lei si definisce un " calabrese romano", cosa intende?

Che fino a 20 anni sono cresciuto in Calabria, poi mi sono trasferito a Roma, città che amo in maniera particolare e che è aperta ad ogni forma di immigrazione. Se vogliamo, ho cercato di mettere a frutto nel macrocosmo che è Roma ciò che avevo imparato nel mio microcosmo di provenienza.

Lei non dimentica di tornare in Calabria, d’estate, infatti, organizza un grande festival...

Fin da piccolo mi davo da fare in questo senso al mio paese, ero nel Comitato organizzativo già all’età di 14 anni. Organizzavamo grandi appuntamenti musicali con Ezio Radaelli, Daniele Piombi. Oggi continuo a realizzare una festa, iniziata negli anni ‘70. Negli ultimi anni ho coniugato questa festa con il cabaret e la musica. Anche su Roma ho molto lavorato affinché il cabaret uscisse fuori dai locali e si trasferisse nelle piazze. Nel 1996 è stata mia l’idea di portare alla festa dell’Unità invece della solita musica il cabaret.. Da quel momento in poi tutta l’estate romana si svolge così.

Nella stessa data e con la stessa puntualità, questa cosa l’ho fatta in Calabria, con gli stessi protagonisti. Inizialmente è stato più difficile, invece poi ha avuto un successo incredibile tanto da avere i più grandi protagonisti ospiti di questo Festival.

Cosa ha in serbo per il futuro?

Continuare ad occuparmi dei problemi della gente, di coloro che mi hanno ridato fiducia anche alle ultime elezioni. E’ da quando lavoravo al S.U.N.I.A., il sindacato degli inquilini, che mi sono reso conto di questa sorta di vocazione all’impegno sociale, da allora non ho mai smesso, neanche da consigliere, non a caso ho avuto dal sindaco la delega all’emergenza abitativa. Da quando "ho sbattuto la faccia" sul problema casa, ho capito che la mancanza di essa è il punto di partenza per una china in discesa verso il degrado morale e che l’emancipazione di un individuo e di una comunità inizia da un lavoro e prima di tutto da una casa.

Grazie Consigliere ed arrivederci.

 

Maria Cipparrone

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